Perché è così difficile ammettere di aver sbagliato?

Quando ci difendiamo ad oltranza senza che sia necessario.

Per la maggior parte di noi comuni mortali, ammettere di aver sbagliato è molto difficile, anche nelle migliori circostanze. A volte ci accendiamo per questioni banali, anche con i nostri cari o i nostri amici. In questi casi, potremmo notare come, quando non vogliamo ammettere di aver sbagliato, sottolineiamo rapidamente come l'altra persona si sia sbagliata su qualcos'altro: «Oh, sì, forse ho dimenticato di comprare il pane, ma tu non mi aiuti mai in nulla!».

Quando si tratta di questioni più sostanziali, come ad esempio la politica o le questioni sociali, spesso discutiamo così animatamente come se la nostra vita stessa fosse in pericolo in quel preciso istante.

I politici sono famosi per non ammettere le loro malefatte e in parte, questo potrebbe spiegare l'ossimoro di "politico onesto". Tuttavia, molti di noi hanno difficoltà ad ammettere piccoli errori, quindi possiamo solo immaginare quanto sia difficile per un leader sotto i riflettori della politica. È importante notare che questo vale per qualsiasi forza politica o carica dello Stato che sia.

Ma anche noi siamo alla stessa stregua imperterriti nel non riconoscere come magari ci siamo sbagliati votandoli. La nostra difficoltà ad ammettere di aver sbagliato è un problema umano che trascende le nostre linee di battaglia ideologica, ma che contribuisce alla loro esistenza.

Il nostro apprendimento e la nostra crescita dipendono dal riconoscimento dei nostri errori e dall'introduzione di cambiamenti per correggerli.

Questo mondo complicato è in continua evoluzione, il che fa parte di ciò che lo rende così complicato, tanto per cominciare! Anche se cerchiamo di afferrare la realtà, essa ci scivola tra le dita come se stessimo cercando di trattenere l'acqua.

Per esperienza personale sappiamo che il cambiamento è costante; i nostri figli invecchiano, cambiamo lavoro e carriera, la tecnologia si evolve, i pensieri e i sentimenti vanno e vengono, la terra compie regolarmente la sua rivoluzione attorno al sole noncurante di tutte le istanze umane e persino le stelle e le galassie nascono e muoiono.

Ad ogni palpito, il nostro presente diventa istantaneamente passato. Aderire a una posizione mentale fissa del tipo "io ho ragione e tu hai torto" è in contrasto con la natura dinamica e mutevole dell'universo e della vita.

Il mondo degli esseri umani moderni è enormemente più complicato di quello dei nostri antenati, anche solo di pochi decenni fa. Sapere chi siamo e di cosa ci occupiamo impone una forza organizzativa al caos. Inconsciamente, ci sentiamo costretti a classificare noi stessi e gli altri in compagini. Vogliamo identificarci con ruoli, squadre e gruppi perché questo ci aiuta a sentirci più connessi, più radicati e più sicuri. Sappiamo da che parte stare e chi sta con noi. Questo semplifica la complessità e rafforza il nostro senso di appartenenza, facendoci sentire meno isolati.

Il senso di sé, altrimenti detto ego, trova conforto nelle nostre molteplici identità. Così come abbiamo istinti di lotta, fuga o congelamento per proteggere la nostra incolumità, difendiamo il nostro senso psicologico di sé quando le nostre varie identità sono minacciate. Ecco perché se qualcuno prende in giro la nostra squadra di calcio preferita, la nostra città, il nostro Stato, il nostro Paese, il nostro artista musicale, il nostro partito politico, il nostro eroe, la nostra religione, le nostre idee e così via, proviamo un'ondata di emozioni per difenderli.

In un certo senso, questo è piuttosto curioso. Perché la nostra squadra di calcio o il nostro gruppo musicale preferito hanno bisogno di essere difesi? In realtà non sono sotto attacco. Non hanno bisogno della nostra protezione, eppure proviamo questo impulso quasi irresistibile a difenderli.

Il nostro ego, o senso di sé, si affeziona all'avere ragione nello stesso modo in cui si affeziona a vari ruoli, gruppi e identità. Essere giusti ci permette di sentirci superiori agli altri, mentre essere sbagliati ci fa sentire inferiori. Quando il nostro senso di sé, la nostra proiezione psicologica di chi siamo, viene minacciato, ci difendiamo o addirittura andiamo all'attacco.

Bene o male, giusto o sbagliato, vincere o perdere, diventano una necessità esistenziale. La lotta tra giusto e sbagliato può sembrare quasi una questione di vita o di morte. Si attiva il nostro istinto evolutivo di lotta/fuga/congelamento. Discutiamo, neghiamo e distorciamo la realtà per proteggere il nostro status e il nostro senso di sé. È importante notare che l'ego (senso di sé) che ci spinge a difendere le nostre posizioni mentali e le nostre identità è lo stesso ego che ci spinge a gongolare quando abbiamo ragione.

Siamo tutti favorevoli all'equità, al ragionamento e all'imparzialità quando questo ci avvantaggia. Maggiore è il livello di investimento psicologico che abbiamo in un'idea, in un'opinione, in un partito politico, in una causa e così via, più saremo inclini a difenderli quando sono minacciati.

Quando è in gioco la nostra identità personale o sociale, siamo più propensi a distorcere la realtà e a negare di aver sbagliato per difendere tali identità. Se pensiamo al nostro investimento psicologico come se stessimo scendendo la scala in un pozzo molto profondo, man mano che procediamo diventa più facile scendere di un ulteriore gradino per vedere dove ci porta, piuttosto che risalire fino in cima.

Così, se abbiamo sostenuto un movimento, una causa, un gruppo o una convinzione, è estremamente difficile fare marcia indietro e dire: «Ehm, sì, ho sbagliato a spendere tutto il tempo, il denaro e l'energia per promuovere quella causa in questi ultimi anni. Sono terribilmente dispiaciuto di aver sprecato parte della mia vita e della vostra, per averlo fatto! Ora tenterò di porvi rimedio».

Inoltre, se all'interno del nostro gruppo sociale ci sono altri con cui siamo ben collegati, ammettere di aver sbagliato ha un costo sociale molto doloroso. Quando non ci conformiamo agli ideali e all'identità del nostro gruppo, veniamo scacciati. Dal punto di vista evolutivo, la perdita della tribù, del clan, sovente significava la morte. Questo fatto da solo è spesso sufficiente per indurci a intraprendere varie circonvoluzioni cognitive per convincerci di essere nel giusto, in modo da poter rimanere all'interno della nostra cerchia e mantenere sia i legami sociali, che la nostra identità.

Ammettere di avere torto è difficile perché attribuiamo il nostro senso di sé a un'idea, a una causa o a un gruppo. Quando sentiamo che quell'idea di sé, la nostra identità, è minacciata, si attiva il nostro meccanismo di sopravvivenza evolutivamente legato alla lotta, alla fuga o al congelamento. Ci difendiamo dall'idea di essere sbagliati e lottiamo per avere ragione. Tuttavia, questo crea un grosso problema.

Il cambiamento è la natura dell'universo e il cambiamento è lo scopo evolutivo della nostra vita. Dobbiamo essere flessibili per imparare e crescere e questo richiede che riconosciamo quando sbagliamo. Quando ci rifiutiamo, ostinatamente, inflessibilmente, di accettare quando sbagliamo siamo in disarmonia con il cambiamento che è insito nell'universo. A sua volta, questa disarmonia, questa incongruenza fondamentale, crea sofferenza per noi e per coloro che ci circondano.

C'è un grande potere, non sfruttato, nella flessibilità insita nell'ammissione: "Mi sbaglio". E se c'è una cosa di cui abbiamo altamente bisogno in questo momento è una maggiore flessibilità, per uscire dall'odio di parte tossico e rigido che sta dilaniando il nostro mondo.

                                                                                             luca rosso

 

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Articolo pubblicato il 27/12/2023