La politica fatta dagli scienziati

Dal clima al coronavirus: quando i tecnici contano più dei politici

Il Novecento ci aveva abituato a fare completo affidamento sui politici per affrontare qualsiasi problema e così la politica si era sempre occupata di tutto, dalla salute al lavoro, dall'istruzione alla gestione delle emergenze.

Poi, negli ultimi decenni, la stessa politica si era per così dire convertita, rinnovata, tanto che abbiamo iniziato a sentir parlare di governi tecnici (si pensi agli esecutivi di Ciampi tra il 1993 e il 1994, di Dini tra il 1995 e il 1996, di Monti tra il 2011 e il 2013) scaturiti da particolari congiunture politico-economiche che richiedevano specialisti in economia.

Abbiamo anche assistito a governi fatti da politici non di razza, come nel caso di Silvio Berlusconi anch'egli per così dire un tecnico, nel suo caso dell'imprenditoria, in grado di trascinare il Paese nella Seconda Repubblica.

Negli ultimi anni, è iniziato ad accadere qualcosa di diverso: una sorta di parziale abdicazione della politica a favore della scienza, con climatologi e medici in prima linea a dare consigli, supporto, indicazione su come muoversi in un mondo che richiede un know how sepre più specifico per affrontare i problemi, soprattutto perché, a differenza del periodo post bellico della Seconda Guerra Mondiale, ora i problema diventano non più locali ma globali, come nel caso dei cambiamenti climatici e del coronavirus.

Sul fronte dei disastri climatici, climatologi e geologi di ogni dove hanno iniziato a riempire le pagine dei giornali, sia da intervistati che da opinionisti (si pensi solo a Luca Mercalli, Telmo Pievani e Mario Tozzi su La Stampa) o dei palinsesti televisivi (lo stesso Mario Tozzi con un suo programma su RAI3 al sabato sera), cui si sono aggiunti persino orde di studenti capeggiati da Greta Thunberg, riuscita persino a parlare nei maggiori summit mondiali sul clima, tanto da essere stata definita persona dell'anno dalla rivista Time.

Recentemente, il disastroso coronavirus ha portato alla ribalta schiere di medici, infettologi, virologi, pronti a dare consiglio a chi ci governa e a riempire i talk show con consigli, punti di vista, suggerimenti, poiché ci si è trovati dinnanzi a un nuovo tipo di emergenza che inevitabilmente richiede un'alta competenza e soprattutto una condivisione di idee a livello mondiale, cosa che gli uomini di scienza spesso riescono a fare più di quanto non avvenga tra i politici.

Su quest'ultimo punto, sono sotto gli occhi di tutti le divergenze in campo, dall'agognato comune punto di vista sulla riduzione di CO2 e della ricerca di un antivirale al coronavirus, entrambi disattesi dall'autarchico Trump che se ne frega dell'inquinamento e vorrebbe un antivirale solo per gli USA, sino alla proposta di corona-bond per sostenere i Paesi in difficoltà, proposta avanzata a Conte e Macron ma che non sembra avere i favori del Nord Europa.

Ecco che in un modo sempre più globalizzato, anche nelle nuove emergenze, ma sempre più "glocalizzato" nella visione di molti politici recintati nella propria ottusità, economisti, scienziati, intellettuali possono rappresentare un punto di vista assolutamente imprescindibile per affrontare le prossime sfide.

 

 

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Articolo pubblicato il 29/03/2020