Covid e Big Data

Siamo nell'epoca dei Big Data, ma il Governo sembra non riuscire a utilizzarli

Molti avranno presente cosa voglia dire avere a disposizione le serie storiche di dati su un certo argomento e di come essere in grado di utilizzarli per predire possibili situazioni.

Il caso forse più conosciuto è quello delle previsioni meteo, tanto che sfruttando al meglio i dati di passato sui fenomeni climatici, i computer sono in grado di elaborare approssimazioni sempre più precise sulla situazione meteo di certe zone in funzione dei dati attuali paragonati a quelli degli ultimi cento anni.

Oggi, si parla sempre più di Big Data, ossia di quella enorme quantità di dati da cui, con opportune elaborazioni, si possa estrapolare informazione con l'obiettivo di effettuare studi, pronostici, che ci si trovi in campo medico oppure in quello di marketing, e attorno a questo settore informatico si vanno sviluppando vere e proprie figure professionali con esperti di Business Intelligene e Data Analysis.

Il 2020 è stato caratterizzato dalla pandemia di cui tutti siamo a conoscenza e, dopo averci preso alla sprovvista a inizio anno, tutti noi, cittadini, politici, medici, abbiamo via via accumulato esperienza e quindi dati al punto da poterci organizzare meglio, tanto da indossare mascherine, lavarci le mani con gel disinfettanti, creare la App Immuni per raccogliere informazioni su dove si diffonde maggiormente il virus, creare portali, come quello della sanità in cui giornalmente è possibile seguire la crescita esponenziali dei contagiati, raccogliere dati statistici sui luoghi di maggiore assembramento come l'azienda torinese 5T sull'affluenza sui mezzi di trasporto pubblico.

Ciò nonostante, con l'arrivo del primo autunno siamo ripiombati nell'esplosione dell'epidemia, con il Governo preso in affanno su chiusure trasversali, generalizzate che evidentemente non hanno tenuto conto nella maniera più efficace dei dati raccolti dopo mesi di pandemia, durante i quali si era ad esempio visto che il contagio avveniva maggiormente nei luoghi della movida e non in teatri e cinema che invece sono stati comunque chiusi, mentre nessuno ha ancora capito perché le Chiese debbano continuare a riempirsi di fedeli.

Di recente, poi, per decidere quale colore attribuire alle varie zone d'Italia a seconda del grado di rischio, si sta cadendo nella trappola dei dati obsoleti o camuffati inviati da alcune Regioni, dati fondamentali su cui basarsi per comprendere se si debba finire in zona rossa o arancione o gialla.

Insomma, tutta quella enorme quantità di Big Data sino ad ora accumulati sembra essere stata utilizzata non nel migliore dei modi ed è proprio su quel terreno che si sarebbe dovuto e potuto combattere più efficacemente il virus, analizzando meglio i suoi spostamenti, i luoghi e i modi con cui si è diffuso per otto mesi, e invece ci ritroviamo a poco più di un mese dall'inizio del periodo natalizio senza una strategia chiara e tanto meno condivisa, visto il continuo scarica barile tra Istituzioni centrali e locali.

 

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Articolo pubblicato il 10/11/2020