Biden: Il Presidente virtuale

Perché “Sleepy Joe” non sarà il presidente degli americani.

Il 20 gennaio il mondo è entrato nell’era Biden il cui giuramento, e la conseguente entrata in carica del 46° presidente americano, segnano infatti un punto di svolta non solo per gli Stati Uniti ma per l’intero assetto politico ed economico planetario.

Ma una domanda sorge spontanea: sarà veramente “era Biden” o qualcos’altro? In altri termini, sarà Sleepy Joe, Joe l’addormentato, o saranno altre persone e altri poteri a condurre la politica statunitense nei prossimi quattro anni?

Senza andare a scomodare la “maledizione dell’anno zero” per cui ben sette presidenti eletti in un anno terminante con lo zero (Harrison, Lincoln, Garfield, McKinley, Harding, Roosevelt, Kennedy) sono deceduti prima del compimento del mandato, e di questi ben quattro assassinati, non si può non notare come anche Biden, con la sua età di settantotto anni che lo rende il più vecchio fra i presidenti eletti USA, e una brillantezza intellettuale molto discussa e discutibile, non appaia come un uomo perfettamente in grado di reggere la presidenza in uno dei momenti più drammatici della storia americana.

Naturalmente auguriamo a Biden di arrivare al 2024 in piena salute, sconfessando una volta per tutte quella lugubre leggenda metropolitana, ma non possiamo non porci qualche interrogativo su quanto egli sia in grado di portare a compimento il mandato che gli elettori gli hanno conferito. Mandato non certo ineccepibile, dal momento che diverse decine di milioni di americani ritengono che la sua elezione non sia stata proprio limpida o forse addirittura un colossale furto di consenso.

Ormai è del tutto inutile andare a indagare se e quanto quella consultazione elettorale sia stata regolare: quello che stupisce è come tale regolarità sia stata affermata in modo furibondo e sbrigativo, più dai mezzi di comunicazione che non dagli organi giudiziari la cui unanime e frettolosa tassatività nel rigettare i ricorsi repubblicani è apparsa quanto meno sospetta. L’impressione è che il deep state e le suscettibili oligarchie americane, enfaticamente supportate dalla grande stampa statunitense e internazionale, dalle televisioni, dai social media e dal circo equestre hollywoodiano, avessero una fretta bruciante di sbarazzarsi di Trump, l’alieno.

Ed è proprio questa situazione di profonda lacerazione della società americana a rendere problematica una presidenza come quella di Biden. Nonostante la solita banale affermazione di voler essere il presidente di tutti gli americani, Biden non sarà mai il presidente di tutti gli americani. E questo è già dimostrato dai suoi primi atti tesi sin dall’inizio -e anche qui con una frettolosità un po’ fanatica- a demolire l’eredità trumpiana: immigrazionismo, ecologismo, abortismo, genderismo e tutto il culturame del politicamente corretto. Non si può iniziare un mandato con queste scelte altamente divisive e pretendere di rappresentare tutta l’America, predicando per di più anche coesione e riconciliazione.

Scelte che oltretutto danno una forte sovra-rappresentazione a quegli ambienti liberal e di sinistra che negli States sono una minoranza ma che appaiono maggioranza solo perché la grande comunicazione conformista ingigantisce la loro ideologia e le loro narrazioni, come avviene un po’ in tutto il mondo occidentale. In questo senso Biden è per ora un presidente di minoranza, nonostante una ambigua vittoria elettorale, e dovrà dimostrare di saper cogliere le idee e le aspettative di quell’America profonda che invece rifiuta il favoloso mondo dei liberals fatto di intellettualismo, narcisismo, e perenne rivendicazione.

L’America profonda, l’America di ogni giorno, con la sua fatica di vivere, che parla delle cose è oggi schierata contro l’America giocosa mediatica e sussiegosa che parla di parole. E quell’America profonda, con l’assalto a Capitol Hill, ha dimostrato minacciosamente di conoscere e volere imporre le sue ragioni semplici e forti a quell’altra America indignata, ma in fondo impaurita, dalla inaspettata reazione dei trumpiani.

Il giuramento blindato e militarizzato di Biden è altrettanto sconcertante, e perfino più triste, dello sciamano seminudo e cornuto che incitava la folla davanti al Campidoglio di Washington, il quale in fondo interpretava a modo suo, certo in maniera rozza e folcloristica, la Dichiarazione di indipendenza del 1776 nella parte in cui si afferma il diritto del popolo a sovvertire l’ordine esistente quando si senta tradito nei suoi diritti fondamentali.

Ed è proprio questa America tradita, forse minoritaria o forse no, che impedirà a Biden di realizzare pienamente il suo programma, e continuerà a dare a Trump la sua fiducia magari fanatica ma vera, continuando a vedere in lui il presidente che non ha fatto guerre, ha creato una infinità di posti di lavoro, ha prodotto ricchezza reale, ha contrastato i grandi poteri finanziari e ha tenuto testa all’arroganza della comunicazione ideologizzata.

Ma c’è un’altra considerazione che impedisce di vedere in Biden il vero leader di cui l’America ha bisogno. Abbiamo già detto che è un presidente vecchio e intellettualmente modesto, senza una vera e originale ossatura culturale che lo caratterizzi. Biden vive di idee altrui e dovrà circondarsi di uomini e donne che rappresentano i grandi interessi e i grandi centri di influenza degli Stati Uniti oltre che delle minoranze che amano definirsi emarginate ma che in realtà sono entrate a pieno titolo nel circuito del potere: neri, femministe, gay, lesbiche, altre varietà sessuali, ispanici, pronipoti dei nativi americani e altro ancora.

Ma poi, e sopratutto, le grandi lobbies del potere finanziario, bancario, industriale, militare che in Biden hanno trovato un uomo abbastanza inconsistente da essere perfettamente manipolabile e utilizzabile per i loro fini, spesso molto inquietanti.

La rappresentante del primo gruppo di interessi è il vice-presidente Kamala Harris, donna ferrea nella sua testardaggine  di sinistra, che di fatto è la badante ideologica e politica del presidente al punto che molti hanno già ipotizzato la sua ascesa alla presidenza stessa non appena Biden dovesse dimostrare un qualche cedimento o qualche probabile inadeguatezza, magari anche fisica. La rappresentante del secondo gruppo  di interessi è invece Hillary Clinton, con relativo principe consorte, la grande elemosiniera dei democratici,  raccoglitrice dei dollari e degli appoggi del lobbismo economico e finanziario statunitense -quella che hanno definito Clinton machine- e che dunque diverrà naturalmente, con la Harris, la seconda presidente-ombra.

Chi dunque governerà gli Stati Uniti durante il mandato di Biden? Non certo questo signore impacciato e  scialbo ma quella che David Rothkopf nel suo famoso saggio del 2008 ha chiamato la superclass assieme ai  mercanti di quella fiera delle vanità che invece Tom Wolfe chiamava radical chic. Un binomio deprimente dopo quattro anni di ruvida e spoglia concretezza trumpiana, che mancava certo di stile ma che almeno inseguiva  una direzione politica chiara e comprensibile alla maggioranza degli americani e del mondo.

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 28/01/2021