Per cambiare non basta voler cambiare …

… occorre prima scoprire come si fa e poi accettare di fare quello che serve per cambiare.

 

 

Parte sesta del dodicesimo incontro dei dialoghi sul senso della vita tenutosi nel pomeriggio del giorno 29 novembre 2013 presso la biblioteca di San Raffaele Cimena (To) sede dell’UNITRE locale.

 

 

Ogni essere umano tenta, con ogni mezzo disponibile, di trovare un modo per rispondere ad una necessità ancestrale proveniente dalla sua essenza.

 

Le scelte che egli opera naturalmente sono riferite alle due differenti modalità di funzionamento tra tecniche orientali e pratiche occidentali; vi è una precisa collocazione spazio temporale per due diverse procedure funzionali. Per gli orientali è stato possibile, per un lungo periodo di tempo, agire attraverso atti fisici ripetitivi per giungere a modificare i propri corpi sottili. Per noi occidentali, più individualizzati e mentali, è necessaria una modalità operativa molto differente. Anche se insistiamo applicando la modalità orientale, bene che vada, questa può persistere solo per un certo tempo. Poi il nostro corpo di razza, che funziona in un altro modo, analogamente a come ripara i danni fisici, “ripara” anche queste modifiche, riportando il sistema ad una situazione “normale”.

 

Chiedo scusa anticipatamente a chi tra di noi pratica yoga; sebbene usino queste pratiche in modo diverso, molte volte più come una ginnastica che come originariamente previsto, occorre tenere conto di una particolarità fondamentale. Quando si utilizzano pratiche non adatte alla coscienza di razza, questa in qualche modo provvede a riportare tutto alle proprie caratteristiche predefinite. Questo continuerà ad avvenire fin quando nell’essere umano in questione non subentra un vero cambiamento stabile che possa farlo sfuggire alla riconversione automatica attuata dal corpo di razza che cerca di difendersi da tale forzatura. Avviene esattamente come nel nostro corpo; l’elemento riconosciuto come estraneo subisce un processo di riadattamento e se questo non riesce, viene fagocitato o espulso!

 

Se si insiste oltre un certo limite, possono verificarsi condizioni anomale in cui si rimane a metà di una trasformazione, senza più essere come prima e senza poter cambiare definitivamente; un bel pasticcio, insomma, dal quale è spesso difficile trovare una via di uscita. 

 

Circa il fatto che nessuna trasformazione non in linea con il corpo di razza possa mantenersi basti osservare quanto ci accade da un giorno all’altro: possiamo andare a dormire intenzionati ad operare un cambiamento a partire da domani; poi ci svegliamo e ricominciamo a fare le stesse cose nello stesso modo!

 

IDP … ma … faccio sempre riferimento a mie esperienze … io ho passato le mie … il neurochirurgo che mi ha avuto in cura mi ha detto: lei mette etichette nere anche quando potrebbero essere grigie, quando non addirittura bianche … perché nel suo io … forse pessimismo … o quello che è … tende a guardare le cose da quel punto di vista … ed ha cercato di farmelo capire … ed è quanto mi è ritornato in mente mentre lei parlava … io ho cercato di cambiare … sto meglio … è vero che, come dicevo alla mia amica, vorrei lasciare i farmaci … e il medico me li farà lasciare poco per volta … e sì, effettivamente un po’ sono cambiata, ma non … perché dobbiamo cambiare … siamo noi stessi … però anche se hai dei propositi poi non riesci a metterli in pratica … o almeno io non riesco … poi non so se altri …

 

È un argomento molto interessante perché ci dà modo di capire come noi interveniamo nei processi vitali, considerandoli solamente processi biochimici, anche quando utilizziamo medicine che non usano solo la biochimica o non escludiamo nessun tipo di intervento alternativo, compreso l’uso della volontà o del ragionamento.

 

Bene! Partiamo da un fatto incontrovertibile: noi non possiamo intervenire sui nostri processi vitali in maniera puntuale! Se lo facciamo è come se mettessimo un piccolo puntello di legno contro una diga enorme che sta per cedere; differiremo solo, per qualche istante nel tempo, ciò che deve per forza accadere! Il crollo della diga non può essere evitato a lungo con un semplice puntello! 

 

Riprendiamo il discorso dell’etichetta nera che possiamo applicare ad ogni cosa.  Se noi siamo così, una ragione c’è! Se mi trovassi di fronte a qualcuno che fa una simile affermazione per me la risoluzione sarebbe semplice poiché alcuni problemi simili ai suoi li ho vissuti direttamente e sono stati risolti o ridimensionati in una maniera “assurda”, propostami da un medico. Quindi non è vero che tutti i medici sono uguali; alcuni non si limitano alle procedure standard e fanno appello a ciò che conoscono anche se implica prendersi alcune responsabilità in più. 

 

IDP … tutto sta ad imbroccare quello giusto! …

 

Vediamo cosa significa mettere una etichetta nera a qualcosa usando la nostra lavagna; … ecco qui in basso a sinistra disegno la nostra bella etichetta nera … Che cosa notiamo immediatamente? …

 

Il resto della lavagna è rimasto bianco!

 

È evidente che, nonostante tutti gli sforzi che lei può fare, non riuscirà tanto facilmente a far diventare nera tutta la lavagna! E comunque sotto il nero la lavagna continuerà ad essere bianca! Ovvero sarà sempre una lavagna bianca coperta di nero e mai una lavagna nera!

 

È chiaro il concetto?

 

Lei parta da dove vuole, faccia pure la sua azione “etichetta nera”, ma il resto del suo complesso rimane “lavagna bianca”!

 

Il nostro vero problema è che tendiamo a voler mantenere fermo il nostro sguardo solo sulla zona temporaneamente nera fino ad arrivare a credere che non ci sia altro intorno! A non voler vedere che tutto intorno il colore è diverso! A voler stare in quella situazione!

 

IDP … in qualche maniera manca la convinzione che possa essere diverso …

 

… no, al contrario; facciamo tutti gli sforzi per stare proprio in quella condizione! …

 

IDP … quindi ci sforziamo di negare l’evidenza! …

 

Esatto! Quindi in tal caso i medici cercano di dare uno spunto, una scarica elettrica biochimica, per fare in modo che, almeno per un istante, tale persona possa riuscire a muoversi da quella posizione e riesca a vedere il resto. Sarà poi una decisione personale a farla scegliere tra continuare a muoversi o tornare a rifugiarsi nella propria “comoda” prigione.

 

Però non potrà più negare l’evidenza: esiste anche il bianco!

 

Chiaro no?!

 

IDP … in sostanza non vogliamo aprire quella famosa porta! …

IDP … è il cambiamento che fa paura! …

IDP … la storia è quella! …

IDP … ma come fa a far paura il cambiamento se è solo così che si può stare meglio? … bisogna mettercela tutta per cambiare! …

 

Non basta!

Il meccanismo del “chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia e non sa quello che trova” è molto forte e profondamente radicato in ognuno di noi. Ricordi, memorie, tradizioni, complicità, abitudini, emozioni, pensieri ossessivi sono concentrati in esso e sfuggono alla nostra capacità di osservazione e di messa in pratica di un processo di modifica della situazione sotto la direzione della coscienza.

 

IDP … i proverbi sono precisi! …

 

Precisissimi! Specie se detti al momento giusto in relazione alla situazione giusta!

Possiamo stare veramente male in una situazione, ma ci fa “piacere” stare così! Anche se è una situazione aberrante! Però, … il medico si occupa di noi, … nella nostra famiglia tutti hanno un occhio di riguardo per noi …

Così noi, più o meno inconsciamente, ci costruiamo il nostro nido di rovi!

 

IDP … sì, ma se uno va contro il medico … cosa succede!

IDP … basta non andarci più … andare da un altro! …

 

Questa è una lezione dell’Unitre, ma è anche un incontro tra persone, è anche un qualcosa di diverso che ognuno di noi può sperimentare, se vuole, in relazione a ciò che egli è e gli serve.

Essendo tutti qui riuniti e disponibili, stiamo reciprocamente ascoltando, oltre agli altri, anche noi stessi!

 

Il medico a questo punto può servire, può esercitare la sua funzione, perché noi stessi abbiamo aperto la porta con le nostre chiavi.

Poi siamo andati fino dal medico a chiedere il suo aiuto, dopo aver fatto la nostra parte, cioè ci siamo prima ascoltati a sufficienza per sapere per che cosa chiediamo aiuto. Insieme a ciò siamo disposti a fare quello che occorre per metterlo in pratica, accompagnando con un sforzo di cambiamento l’aiuto biochimico, o simile o alternativo, che il medico ci darà per aiutarci a farlo.

 

Nel fare quanto appena evidenziato, avremo preso atto anche di quante altre cose funzionino, e continuino a farlo, anche in presenza di quella cosa che non funziona e ci procura fastidio.  E potremo comprendere più facilmente come sia possibile che, proprio grazie al fatto che tutte le altre cose continuino a funzionare, si possa risolvere anche quella situazione!

 

Se ho male ad un dito non smetto di respirare! Continuando a respirare prima o poi il male al dito passa! Lapalissiano direi!

 

Il medico poi ci aiuterà come necessario:

a meglio comprendere la situazione,

a usare la giusta medicina di supporto,

a fare la nostra parte non ripetendo gli stessi comportamenti che hanno determinato la situazione di fastidio!

 

Così la situazione non diventerà patologica e cronica, ma …

 

IDP … transitoria! …

 

… durerà il tempo necessario a fare il suo lavoro! …

 

Se mi pesto un callo, posso vedere per un istante il mondo completamente nero; però il mondo potrà restare così solo se non smetterò di pestarmi il callo un istante dopo l’altro. Non credo di aver conosciuto qualcuno che ci sia riuscito!

 

IDP … Infatti non è il medico che mi dice come sto io … ma chiede a me come sto … dalla mia risposta dipenderà se devo ancora prendere farmaci o … non è che debba restare così in eterno! …

… anche lei dice delle cose … mi ricordo l’anno scorso … è stato il primo anno in cui ho partecipato … e mi dispiace, perché mi interessa l’argomento … ma lei stesso non dice che sono giuste e noi dobbiamo credere … lei dice delle cose … noi ascoltiamo e partecipiamo alla discussione … ognuno con la propria esperienza o quello che gli viene in mente di dire … e poi ognuno fa quello che sente dentro di sé … ognuno in una maniera diversa …

 

… per me avviene lo stesso moltiplicato per quanti siete …

 

IDP … io la chiamo professore, non nel senso di una persona che vuole insegnare … ma in quanto dice delle cose … che rimangono impresse come questa frase che lei aveva detto …  “io dico delle cose però non è detto che siano vere o che voi dobbiate credere che lo siano; voi le interpreterete nel modo che riterrete”

 

Questo è un punto fondamentale per voi ed anche per me! …

Pensate altrimenti a quale responsabilità sarei chiamato! Impossibile da sostenere poiché ancora non conosco me stesso, meno ancora voi; come farei a conoscere cosa sia vero? Ho comunque, come chiunque, la responsabilità di quello che dico; ma con (almeno) il beneficio dell’attenuante generica costituita dalla certezza che in ciò possano esserci errori e lacune dovuti alla mia grande ignoranza rispetto alla verità.

 

… prosegue nel prossimo articolo.

 

 

foto e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 17/02/2021