Craxi e il Socialismo tricolore - I Parte

L’avvento del Craxismo e di un Socialismo che conciliava capitale e lavoro

L’arrivo di Craxi al potere del Partito Socialista coincise con l’ascesa della classe media, fatta di impiegati e liberi professionisti, dove il benessere sembrava alla portata di tutti, e dove le idee dei “partiti dogmatici” (PCI-DC) si stavano oramai ridimensionando. Il grande leader socialista fu il primo a comprendere il cambiamento in atto nel paese. Il Socialismo per Craxi non aveva nulla a che vedere con la natura totalitaria, religiosa e “messianica” che ne dava Gramsci e Lenin. Esso doveva essere piuttosto antidogmatico e riformista, democratico e pluralista, umanista e patriottico. Craxi aveva costruito un Socialismo che meglio si adattava alle democrazie dell’Europa occidentale, un Socialismo come lui stesso definiva “adatto ai tempi moderni”.

Obbiettivo iniziale fu quello di svecchiare la classe politica interna al PSI, eccessivamente ancorata alla cultura massimalista e veteromarxista, rinnovando la comunicazione di Partito col fine di acquisire consensi fra la piccola e media borghesia. L’obiettivo era farsi strada fra i due partiti “Chiesa” del PCI e della DC, per rinnovare la proposta autonomista e riformista in Italia.

Il Compromesso Storico fra Moro e Berlinguer fu uno degli anatemi al quale Craxi guardò sempre con ostilità. L’accordo fra PCI e DC avrebbe infatti escluso il PSI da qualunque esecutivo, o per lo meno, lo avrebbe reso subalterno ai due.

Craxi aprì agli uomini dell’Industria e della Televisione, capendo che da quest’ultimi avrebbe potuto ricavare maggior vantaggio politico. Tutta la politica del Socialismo craxiano fu perennemente volta ad affrancarsi dall’ombra del Partito Comunista.

Il non voler abbandonare la visione ottocentesca e l’incapacità di non guardare al passato di Enrico Berlinguer, fu una delle concause del successo politico di Craxi. Il PCI da allora perse per sempre il “treno del riformismo” , e persino dopo il crollo del Muro di Berlino non abbraccerà mai fino in fondo l’identità socialdemocratica.

Craxi negli anni ‘80 dovette affrontare una forte inflazione e le bolle speculative venute da oltre oceano. Bettino Craxi non solo resse l’urto, ma con il PSI al governo riuscirà ad accrescere enormemente il potere d’acquisto degli italiani e il PIL nazionale, facendo dell’Italia la quarta potenza economica mondiale, davanti persino al Regno Unito, alla Francia e alla Germania Ovest.

Le politiche neoliberiste arrivarono in Italia un decennio più tardi rispetto agli Usa e al Regno Unito. Questo per via della forte opposizione del PSI di Craxi e della volontà dello stesso di mantenere viva e attiva l’economia mista di mercato, la quale aveva contribuito a garantire il “miracolo” economico al Paese.

Craxi fu anche fra i primi a comprendere la natura fortemente limitante e restrittiva dei parametri europei di Maastricht verso l’economia italiana, la quale col limite del 3% di spesa pubblica si vide privare del forte strumento del moltiplicatore keynesiano, atto ad aiutare nei periodi di deflazione e di decrescita.

Ministri socialisti come Rino Formica, difesero a spada tratta gli interessi nazionali da quelli finanziari. L'aspra lotta con i tecnocrati e la sinistra DC, capeggiata da Andreatta, De Mita e Prodi, fu totale. Era chiaro che una corretta applicazione della politica riformista non poteva escludere gli interessi sociali e nazionali, o peggio, non poteva coincidere con la svendita dell’IRI e dello SME, né poteva avallare la privatizzazione della Banca d’Italia, rendendo così la politica economica del Paese ininfluente e vulnerabile.

Va anche detto che il Socialismo tricolore di Craxi non si opponeva all’idea di privatizzazione in sé, ma solo a quelle ritenute da lui dannose per gli interessi dello Stato; in particolar modo nel settore chimico ed energetico, dove con l’aiuto della destra democristiana cercò sempre di salvaguardare.

Craxi prese un partito del 9% e lo rese parte integrante del sistema di governo del Paese. Il PSI con lui funse da “ago della bilancia” per gran parte delle compagini governative degli anni 80’. L’accordo fra laici e cattolici puntava proprio ad escludere i comunisti dalle componenti dei possibili esecutivi.

Bettino Craxi ebbe anche il merito di far guardare a se stesso, più che al Partito, la figura su cui ci si poteva fidare. Anticipando in questo modo il leaderismo italiano di decenni. La differenza rispetto ad oggi consiste però nel fatto che il leader politico da lui incarnato era al servizio di una grande idea riformista, una grande visione del Mondo. Oggi, purtroppo, assistiamo invece ad un “leaderismo” spogliato delle idee, al servizio di meri slogan demagogici volti solo esclusivamente alla propria affermazione personale.

 

Conclusione

L’orrendo golpe giudiziario, perpetrato a danno dei socialisti, aprì la strada negli anni 90’ alle privatizzazioni selvagge e al monetarismo neo-lib di matrice anglosassone. La finanza finì per prendere il posto della politica; e moralizzatori e demagoghi sostituirono i grandi statisti cattolici e socialisti del passato. Finì la cosiddetta “Prima Repubblica”, e con essa l’economia mista di mercato e l’esperimento craxiano del Socialismo tricolore.

Alla luce di questi fatti, è possibile dunque operare una sintesi tra Patria e giustizia sociale, senza cadere nella trappola della stantia contrapposizione fascismo-antifascismo? Sì, se si osserva la storia italiana da una prospettiva che vada oltre il Novecento, per ritrovare nel pensiero socialista le radici di un’idea che non ha mai finito di offrire speranza.

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Articolo pubblicato il 20/04/2021