Craxi e il Socialismo tricolore - II Parte

Il Socialismo tricolore declinato nella politica estera craxiana: Il Socialismo mediterraneo.

Molto spesso nella sinistra italiana il tema della Patria è visto come un tabù. La vulgata marxista l’ ha sempre voluta accostare ai vari fascismi e nazionalismi.

 

Bettino Craxi fu eretico e rinnovatore anche in questo. Il grande statista, nel nome di Garibaldi, ha sempre cercato di conciliare i valori del Socialismo con gli interessi della Nazione.

 

Anche in politica estera, i governi Craxi si caratterizzarono per le scelte coraggiose volte a sollecitare e portare avanti il processo d’integrazione europea, cercando però sempre di mettere al primo posto gli interessi dell’Italia.

 

 

Anche il sostegno di Craxi agli Euromissili, che fu visto dai comunisti come un asservimento degli interessi italiani verso quelli americani; in realtà si rivelò un importante opportunità, l’installazione a Comiso poteva essere infatti l’occasione per far valere "la voce" dell’Italia nel campo delle relazioni internazionali.

 

Craxi ha sempre avuto a cuore gli interessi nazionali e strategici dell’Italia.

 

 

Il Socialismo tricolore integrato in un più ampio Socialismo mediterraneo

 

Craxi in politica estera mantenne sempre una linea autonoma e di grande attenzione verso alcune cause terzomondiste. Ciò, molte volte, gli causò forti attriti con i suoi alleati di Governo laici e repubblicani.

Fornì un convinto appoggio alla causa palestinese, intrecciando relazioni diplomatiche con l’OLP ed il suo leader, Yasser Arafat, di cui divenne amico personale, sostenendone le iniziative. Obiettivo dichiarato dell’amministrazione craxiana, era quello di fare dell’Italia una potenza regionale nell’area del Mar Mediterraneo e del Vicino Oriente. Queste posizioni avverse ad Israele, oltre che ai repubblicani, non piacquero nemmeno alle destre filo-sioniste presenti nel MSI e nel PLI.

La cosiddetta “Crisi di Sigonella” rappresentò forse l’episodio più noto a livello internazionale della politica estera craxiana. Il complesso e delicato caso diplomatico avvenne nell’ottobre del 1985, appunto nella base NATO di Sigonella, in Sicilia, quando si rischiò di sfociare in uno scontro armato tra VAM (Vigilanza Aeronautica Militare) e Carabinieri di stanza all’aeroporto da una parte e gli uomini della Delta Force (reparto speciale delle forze armate statunitensi) dall’altra, all’indomani di una rottura politica, poi ricomposta, tra Craxi e l'allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan; circa la sorte dei sequestratori della nave da crociera italiana Achille Lauro, che avevano ucciso Leon Klinghoffer, un passeggero disabile, statunitense ed ebreo. Craxi riteneva che i terroristi andassero processati sotto la giurisdizione italiana, e così avvenne.

La sovranità dell’Italia fu rispettata. Quella fu una delle poche pagine della nostra storia repubblicana dove gli interessi di Roma prevalsero su quelli di Washington.

L’Italia craxiana stipulò accordi con i governi non allineati della Jugoslavia e della Turchia; sostenne anche il Presidente della Somalia Mohammed Siad Barre, segretario del Partito Socialista Rivoluzionario Somalo e uomo chiave per gli interessi italiani nell'ex colonia del Corno d’Africa.

Di altrettanto interesse strategico per l’Italia craxiana fu il sostegno a Ben Alì in Tunisia.

Nel novembre del 1987, la senescenza fisica e mentale di Habib Bourguiba, “padre della patria” e dittatore tunisino, indusse la diplomazia francese a cercare di “teleguidare” un proprio candidato alla successione, ma ventiquattr’ore prima della mossa francese la successione di Bourghiba avvenne con l’avvento di Zine El-Abidine Ben Ali; il quale prese il potere mantenendolo per oltre 23 anni (fino al gennaio 2011, deposto dalle tristi e ben poco primaverili “rivoluzioni arabe”), il PSI offrì immediatamente a Ben Ali il necessario sostegno internazionale.

Grazie al PSI di Craxi non solo si riuscì ad allontanare il fondamentalismo islamico dalla regione, ma si sostenne un leader laico e socialista volto alla modernizzazione del paese magrebino. L’Italia craxiana allargava così la sua sfera d’influenza nel Mediterraneo. Un altro successo del Socialismo Tricolore.

Dieci anni dopo, le memorie dell’ammiraglio Fulvio Martini, allora capo del Sismi, rivelarono che non solo si era avuto il prematuro e concordato riconoscimento internazionale italiano del nuovo governo tunisino, ma addirittura si era deciso sulla scelta del nuovo Presidente, “bruciando sul tempo” il candidato di Parigi.

L’Italia ha sempre visto la Libia, e i socialismi arabi in genere, come validi alleati, per ricostruire una strategia mediterranea valida come alternativa ai due blocchi della Guerra Fredda. Risulta quindi naturale che anche gli esecutivi di Craxi proseguirono in quella direzione.

Difatti, all’epoca del bombardamento statunitense contro Tripoli, avvenuto il 14 aprile del 1986, Craxi condannò duramente l’alleato americano. E quando si trattò di rispondere ai missili libici inviati per ritorsione contro la base militare di Lampedusa, non fece assolutamente nulla. Dimostrando chiaramente come gli interessi Nazionali venissero prima di qualunque alleato straniero. Tuttavia, la stampa di allora criticò aspramente l’accaduto, avrebbero preferito vedere Craxi al fianco degli americani.

Oltre venti anni dopo è emersa una diversa descrizione dei fatti, secondo cui Craxi avvertì preventivamente Gheddafi dell’imminente attacco statunitense su Tripoli, consentendogli in tal modo di salvarsi la vita.

Si tratta di una ricostruzione conforme con le note posizioni del governo italiano che considerava la dura ritorsione statunitense come un atto improprio che non doveva coinvolgere come base di partenza dell’attacco il suolo italiano(cose che avverrà tristemente nel 2011). Tale versione è coerente anche con alcune ricostruzioni dei missili su Lampedusa, segnatamente quella secondo cui i missili sarebbero stati un espediente per coprire “l’amico italiano” agli occhi degli statunitensi: lo dimostrerebbe la scarsa capacità offensiva di penetrazione dei missili libici, che per altro sarebbero caduti in mare senza cagionare alcun danno.

 

CONCLUSIONE

L’orrendo golpe giudiziario di Mani Pulite, perpetrato a danno dei socialisti e dei cattolici di destra, segnò progressivamente la fine di ogni interesse geostrategico italiano.

Usando gli organi giudiziari per elimininare politicamente due personalità ingombranti come Craxi e Andreotti, si potè legare l'Italia ai vincoli europei, ridimensionandone l'importanza internazionale, e rendendola vulnerabile agli attacchi speculativi di quegli anni (il famoso "mercoledì nero" del '92). 

Alla luce di questi fatti, è ancora possibile operare una sintesi tra Patria e Socialismo, senza cadere nella trappola della stantia quanto dannosa contrapposizione fascismo-antifascismo? Sì, se si osserva la storia italiana da una prospettiva che vada oltre il Novecento, per ritrovare nel pensiero socialista e patriottico le radici di un’idea che non ha mai finito di offrire speranza.

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Articolo pubblicato il 27/04/2021