Il fattore “scuola”.

L’OTTAVO dei fattori essenziali del comportamento umano.

Proseguendo nella nostra indagine, subito dopo per importanza rispetto alla famiglia, tra i fattori che possono distorcere il piano di vita di un essere umano troviamo:

B – IL FATTORE SCUOLA, in cui si sia tutti obbligati ad ingoiare le stesse nozioni, negli stessi tempi e stessi modi, senza tenere conto delle evidenti differenze individuali (ad esempio tutti gli alunni o studenti di una scuola, indipendentemente dall’età e livello di apprendimento possano essere presenti insieme mentre tutti gli insegnanti svolgono le proprie lezioni contemporaneamente. Così facendo ogni bambino potrà seguire ciò che più gli interessa e, facendo comunque parte integrante dell’intero corpo scolastico, per osmosi lo trasmetterà anche alle altre parti impegnate diversamente su altri fronti, allo stesso modo in cui nel corpo umano ogni singola cellula apprende e svolge un proprio compito i cui risultati saranno acquisiti anche dal resto delle parti e degli organi del corpo di appartenenza).

 

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Proprio così! Laddove, teoricamente e praticamente, non è riuscita la famiglia a risolvere tutti i punti della necessaria “istruzione” del bambino, si cerca e si spera di poterlo fare delegando l’istituzione scolastica a provvedere alla loro integrazione o a raddrizzarne le storture in nome di una sua futura introduzione nella società. Ma, piccolo insignificante particolare, non si è ancora capito bene in che modo dovrebbe farlo. Infatti gli insegnanti sono prima di tutto figli e/o genitori essi stessi. Genitori e figli il più delle volte irrisolti e quindi problematici. Veicoli di problemi profondamente radicati e non del tutto bilanciati dalla preparazione al ruolo e funzione loro richiesta mediante una formazione dedicata. Una formazione emotiva e razionale che come abbiamo visto in precedenza, non è quasi mai coerente con quanto si muove nel profondo di essi, nel loro inconscio. Di conseguenza gli insegnanti manifestano in modo facilmente riscontrabile dagli scolari ed alunni, specie quando formano un sovracorpo temporaneo coerente, tutte le contraddizioni da cui essi sono dominati. Contraddizioni che saltano fuori e vengono esasperate quando il bambino riporta ai genitori eventuali torti subiti nel contesto scolastico. Così vengono a fronteggiarsi genitori-famigliari e genitori-scolastici su tutti gli aspetti irrisolti in ciascuno, di cui ignorano ragioni e funzioni, scatenando situazioni incredibili e violenze assurde in nome del diritto, del giusto e del vero. Perché ciò che non è stato risolto nell’ambito famigliare non si risolverà mai in altri ambiti per quanti sforzi ben intenzionati si profondano. E più sforzi si producono senza averne comprese le cause più il problema si accentua.

 

 

Cosa succede infatti? Se non si risolve una situazione problematica tra gli attori del problema a tempo debito, rimandandone i tempi e delegando altri a farlo in vece propria si rischia (anzi, è certo) di vederne gli effetti quando è ormai troppo tardi per intraprendere qualsiasi azione correttiva adeguata.

 

 

E allora come se ne esce? Se fosse così semplice rispondere qualcuno lo avrebbe già fatto ma abbiamo visto quanti tentativi di riformare la scuola sono andati in fumo lasciando strascichi e ferite di cui sentiamo gli effetti continuamente. Ritengo inutile elencarne alcuni visto che sono all’ordine del giorno anche adesso. Basta ascoltare un tiggì o leggere un giornale e troverete sempre qualcosa in merito. Però, giusto per non scagliare la pietra e nascondere la mano, ecco alcune riflessioni in materia tratte direttamente dalla mia esperienza; magari possono servire (anche se non so bene come, dove, quando, a chi e per chi). Si tratta di un’esperienza estemporanea svolta all’interno di due classi di prima e terza elementare in occasione della prima edizione di un concorso per suggerimenti relativi alle auto del futuro, bandito dal Salone dell’auto di Torino (anno scolastico 2016/17). Ecco in sintesi il risultato del lavoro che si è basato su uno scambio a tutto campo non solo attraverso i disegni che gli alunni hanno fatto, ma anche allo scambio “molto sottilmente fisico” che ne è stato veicolo. Da questo ultimo aspetto scaturiscono le suggestioni che riporto di seguito.

 

MOLTO SOTTILMENTE FISICO.

 

È un modo di definire qualcosa di tangibilmente indefinibile che arriva fino al coinvolgimento fisico e produce interazioni imprevedibili “nel presente realmente vivente”, in grado di permettere alla vita di esprimersi senza aspettative fuorvianti o deludenti insoddisfazioni, senza che, come al solito, ci mettiamo per traverso con la nostra supponente arroganza. Questo è il regalo che mi è stato concesso, indipendentemente da me, e che desidero, ma dovrei dire “sono molto gentilmente costretto” dal mio intero essere, a ricambiare con chi lo ha vissuto insieme a me oppure semplicemente si trova a leggere queste righe.

 

COME UN UNICO CORPO.

 

I fisicamente piccoli Esseri con i quali ho interagito hanno mostrato grandi doti che non siamo più avvezzi a notare. Ben mantenendo la propria caratteristica individuale, si sono comportati come un essere unico in grado di esprimere, in qualunque direzione, un potenziale che non si poteva semplicemente ascrivere alla somma dei presenti, ma piuttosto come una funzione esponenziale, esattamente come il nostro corpo esprime potenziali che non sono solo il risultato finale delle caratteristiche esprimibili dalla somma del numero delle cellule che lo compongono. Le caratteristiche di questo corpo unico sono peculiari e terapeutiche; infatti:

 

punto 1: una volta che uno dei suoi componenti accetta l’intruso, anche gli altri lo fanno;

 

punto 2: se uno dei suoi componenti ha particolari problematiche in altri ambiti (siamo tutti normalmente schizofrenici – vedi DSM V ed.), e nessuno interviene d’autorità, in questo contesto la forza del gruppo lo equilibra e sintonizza;

 

punto 3: se uno dei suoi componenti mostra di volersi isolare, la forza del gruppo lo richiama a sé gentilmente;

Per il punto 1 ho giocato in casa in quanto l’insegnante aveva creato una aspettativa rispetto a qualcuno che doveva venire e non appena mi sono presentato sono stato fagocitato letteralmente dal loro corpo di gruppo.

Per il punto 2 il problema è la paura di chi è preposto a “gestire” la situazione. La paura di non essere all’altezza, dei giudizi altrui, delle responsabilità che derivano se qualcuno dovesse farsi male, etc etc.

Per il punto 3 si è visto chiaramente che chi non voleva cantare o agire insieme al gruppo, isolandosi, ha poi repentinamente cambiato idea, reintegrandosi e sostenendo positivamente tale azione, oppure, chi ha voluto restare in disparte ha comunque cantato o agito insieme agli altri. Quindi perché qualcuno faccia ciò che gli viene chiesto di fare non occorre che rispetti tempi e modi imposti. Il risultato è buono comunque.

 

BISOGNO DI RIFERIMENTI NON LIMITATIVI.

 

Un aspetto che mi sta particolarmente a cuore è questo: gli insegnanti sono o uomini o donne, inoltre sono quasi sempre soli, e questo è un limite fondamentale che dovrebbe essere superato. Infatti la percezione dello stato delle cose e la risposta correlata finiscono per essere unilaterali, limitati, poiché escludono una parte essenziale della visione d’insieme. L’istituzione scolastica mostra di aver intuito qualcosa del genere quando propone insegnanti di sostegno; tuttavia non è nel giusto senso perché si racchiude ancora qualcosa di più particolare nel particolare, anziché aprire all’insieme, al tutto.

 

Quale alternativa ci può essere?

 

Personalmente credo che la cosa più sensata sia aprire la classe, o le classi insieme, in una open life school, ovvero tutti gli alunni presenti con tutte/i gli insegnanti.

 

  • Ogni insegnante spiega il proprio programma senza preoccuparsi di chi lo segue.

 

  • Ogni alunno prenderà quello che gli interessa nei suoi tempi e nei suoi modi.

 

Ho avuto modo di sperimentare questo metodo sia nel lavoro che nell’insegnamento, in contesti diversi nel mondo e con persone provenienti da ogni luogo, e devo dire che, senza merito da parte mia, ho potuto trarre informazioni utili circa le leggi che governano tali interazioni. Particolarmente significativo è il presente episodio, sempre tratto da questa esperienza: mentre stavo parlando, al termine del lavoro congiunto, con la camerawoman che ha videoregistrato tutto, mi si è avvicinato, un piccolo o una piccola (non lo saprò mai perché non mi ha chiesto niente e non gli dato attenzione non richiesta) che ha abbracciato per alcuni istanti la mia gamba per poi andare a fare altro. Aveva semplicemente preso quello che gli o le serviva da chi lo metteva a disposizione senza riserve. Il tutto in un attimo, come richiede il continuo cambiamento che è la caratteristica della vita, in antitesi alla necessità di interazione strutturata di cui noi adulti sentiamo il bisogno e imponiamo a chi non serve.

 

NECESSITÀ DI PRENDERE LE MISURE.

 

I bambini devono prendere le misure delle cose e degli altri; per questo si sfidano anche con rischio di farsi male ed necessario che lo facciano e glielo si lasci fare. Questo è inevitabile e più si cerca di evitarlo, più si sposta in età avanzata, più cresce come il livello dell’acqua trattenuta dietro una diga fino a tracimare disastrosamente o sgretolare la diga, dilagando senza ritegno. Certamente le cose non devono essere lasciate degenerare: “est modus in rebus” ("esiste una misura nelle cose” oppure “ogni cosa ha la sua misura”), dicevano i latini. Se il confronto/conflitto supera un certo limite (ognuno può capirlo da sé) occorre intervenire senza costringerli a schierarsi da una parte o dall’altra (giusta o sbagliata non importa) perché in tal modo si accentuerebbe comunque la ragione del contendere o del confrontarsi. Anche in questo caso un episodio ne spiegherà meglio il senso: mentre stavo parlando con l’insegnante, due alunni si stavano spintonando; ad un certo momento mi sono avvicinato e ho chiesto a uno di loro (normalmente conviene farlo con chi sta subendo) di fare una cosa per me. Questo ha interrotto l’azione senza richiedere schieramenti. L’aggressore di turno è rimasto interdetto dalla repentina scomparsa dell’antagonista/vittima che la vita aveva chiamato ad altri compiti. Chi ha dovuto togliersi dall’impiccio, perché chiamato a farlo dalla vita, non ne è uscito con senso di inferiorità o colpa o frustrazione; semplicemente è stato chiamato a fare altro. Così tutto si concluse senza strascichi di vendetta/rivalsa o altro ancora.

 

ELIMINARE LE ETICHETTE.

 

Quello è un bullo! Se tutti la pensano così sarà molto difficile che colui che è stato in tal modo etichettato possa uscire dal ruolo che gli è stato cucito addosso, mantenuto attivo dall’attenzione (troppo particolare, malata oserei dire) che gli viene dedicata dagli osservatori. Certo è più comodo per chi osserva condividere e sostenere tale condizione, più facile da gestire, per poter giustificare in ogni evenienza la propria impossibilità o incapacità a fare altro.

 

PER INSEGNARE A VOLARE MANCANO I CORTILI.

 

Avete mai visto un uccellino mentre cerca di insegnare a volare al proprio piccolo? Non lo fa mettendolo in una scatola per proteggerlo, ma, con tutta la circospezione e attenzione necessaria, all’aperto, dove sono presenti tutti i pericoli connessi alla libertà di volare. Solo così il piccolo può veramente imparare a volare, altrimenti alla prima occasione non sfuggirà al gatto in agguato. Abbiamo eliminato i cortili dove ogni cosa interagiva e si amalgamava fuori dalla portata limitativa delle regole degli adulti e i piccoli potevano fare le loro necessarie esperienze. Forse occorre correre ai ripari.

 

BISOGNO DI SPAZIO, SILENZIO E CONTATTO CON SÈ STESSI.

 

Per attivare e mantenere attiva la propria capacità di autonomia occorre trovare un modo iniziale; poi ognuno troverà il suo. Tuttavia ci sono requisiti necessari, come l’aria che respiriamo in ogni istante della nostra vita, per poter vivere. La scuola è parte della vita e come tale ha bisogno di coerenza con essi. Ed è responsabilità di ognuno scoprirli, proporli e sostenerli responsabilmente, senza sostituirli con procedure e programmi standardizzati che non possono più e non potranno mai più essere proposti in egual modo ad individui sempre più diversi, provenienti da condizioni diverse e proiettati verso obiettivi diversi, come previsto dal loro programma di vita personale. Il bisogno di spazio (e di movimento), pause di silenzio (e tranquillità) e attività propedeutiche al contatto con sé stessi, sarebbero momenti capaci di produrre effetti sanificanti preventivi e terapeutici a prescindere dalle necessità più o meno evidenti del singolo o dell’insieme dei componenti di una comunità scolastica. Senza fondamenta solide un edificio può facilmente crollare al minimo scossone o sotto un alito di vento. Inutile stupircene quando accade.

 

Perché ho raccontato tutto questo?

 

Perché può servire a chi ha mantenuto ancora un po’ del suo essere bambino originale (… non rimbambito!) in grado di percepire e cogliere le meravigliose suggestioni presenti dentro ognuno di noi indipendentemente dalle convenienze, abitudini, aspettative, paure, luoghi, condizioni, e non tema di sentirsi ridicolo, deficiente, inadeguato, credulone, mettendosi in una semplice situazione 

 

… cinque minuti di silenzio

 

È il mistero della creazione continua della vita che origina dal silenzio.

 

schema e testo

pietro cartella

 

PS: giusto per la cronaca, i suggerimenti degli scolari o alunni che hanno agito in tale contesto sono stati classificati al primo posto, sopravvanzando una concorrenza ben più accreditata e specializzata.

 

 

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Articolo pubblicato il 11/01/2022