Giochi di guerra

Quanta realtà e quanta rappresentazione nel dramma ucraino?

Guerra? Non guerra? Quasi guerra?

Non siamo esperti di geopolitica, e tantomeno della geopolitica che riguarda quelle terre fra Europa ed Asia che da secoli sono il crocevia di tensioni politiche, ambizioni territoriali, appetiti di potere mischiati a complesse questioni etniche loro proprie ma anche di potenze ben più in alto e ben più estese.

Parliamo, ovviamente, della crisi ucraina che da settimane si trascina su due piani che in apparenza dovrebbero coincidere ma che in realtà costituiscono mondi radicalmente diversi: quello fattuale degli eventi e quello virtuale della comunicazione.

Non possiamo sapere come la situazione evolverà e pertanto non facciamo previsioni. Ma vorremmo soffermarci su come quello scenario viene rappresentato da noi, in Occidente, cosa che invece possiamo facilmente vedere, sentire, capire, toccare con mano.

E l’impressione è che in questi giorni la guerra si stia già combattendo, sia già in atto: è combattuta sugli schermi televisivi e sulle pagine dei giornali attraverso una rappresentazione che raramente è stata così unanime, così schierata, così assertiva e a senso unico. Il messaggio granitico che ci viene proposto è uno solo: la Russia è una potenza aggressiva e minacciosa, una realtà più militare che politica il cui unico scopo è quello di inglobare le terre che reputa sue, e la cui unica occupazione in questo preciso momento è quella di affilare il coltello con cui sgozzare la sua vittima designata, e cioè la democratica e civilissima Ucraina, colpevole solo di sognare e desiderare la magnifica democrazia occidentale rappresentata da Europa e Stati Uniti.

L’idea che una ex super-potenza come la Russia possa sentirsi minacciata da un atto conclusivo dell’espansione NATO ai suoi confini come quello rappresentato dall’adesione dell’Ucraina (praticamente il suo cortile di casa) all’Alleanza atlantica, con tutta la sua minacciosa potenzialità militare, non trova grande spazio nel giornalismo occidentale.

Nessuno sembra domandarsi se per caso i carri armati russi in manovra ai confini ucraini siano la normale risposta al potenziale dislocamento di missili strategici occidentali alle porte della Russia, come già avvenuto in Polonia con gli armamenti strategici dell’Alleanza.

Ma, ripetiamo, non è questo il punto, che lasciamo dibattere agli esperti di strategia internazionale. Il punto è che, ancora una volta, dopo la narrazione pandemica, assistiamo ad uno schieramento perfetto, uniforme, omogeneo e aggressivo dei mezzi di comunicazione internazionali, a cui quelli italiani, con tutto il loro conformismo, si sono adeguati senza eccezioni.

Non c’è un telegiornale, non c’è una testata cartacea o digitale che ogni giorno, con insistenza ossessiva, parli di guerra imminente, praticamente certa, di un conflitto che avrebbe già dovuto scoppiare.

Immagini ripetitive di carri armati, truppe speciali, aerei in decollo, missili in volo farebbero pensare che la guerra è iniziata. Ma così non è: forse inizierà -è certamente possibile- ma sta di fatto che a oggi ci sono, al massimo, le classiche scaramucce di confine, come in ogni situazione di tensione, ma i media si comportano come se si fosse già nel pieno di un conflitto mondiale.

Si avverte quasi, in queste cronache, il rimpianto che la guerra non sia ancora esplosa, un’ansia mentaniana pronta alla “maratona” televisiva.

Si noti poi come quelle immagini sono sempre e solo delle forze militari russe. Non compare mai una visualizzazione di quelle occidentali che, seppure non schierate, sono comunque ampiamente presenti su quello scenario, e pronte all’intervento.

E per certi versi è stata pure divertente la fake news venduta dai servizi informativi americani, e ripresa allegramente da Biden, che fissavano per il 18 febbraio la data dell’attacco russo mentre alcune televisioni indipendenti mostravano una Kiev serena e allegra e dai caffè pieni di gente.

C’era veramente da chiedersi come mai i diretti interessati, le potenziali vittime designate, ignoravano un fatto così tragico e imminente che angosciava invece l’intero occidente.

La ragione è che oggi non esiste più la realtà, sostituita dalla sua rappresentazione mediatica, un velo di Maya steso da tempo sui nostri occhi.

Ma la rappresentazione è efficace ed assolve ai compiti per cui viene instancabilmente concepita, costruita e imposta all’opinione pubblica solo se è compatta e uniforme. E questo è possibile solo se il potere ne controlla i fondamenti, la struttura, il funzionamento.

Cosa che è sempre avvenuta, ma in passato le narrazioni erano meno plumbee, meno disciplinate, più vivacemente e coloritamente difformi. Chi non ricorda l’atteggiamento della stampa nazionale e internazionale, ad esempio, di fronte all’intervento americano nelle due guerre del Golfo o a quello occidentale nei Balcani?

L’opinione pubblica rappresentata dai mezzi di comunicazione fu fortemente divisa, variegata, critica, cosa che oggi non succede.

Sembra quasi che, tranne qualche rara eccezione relegata nei sotterranei del web, l’informazione ufficiale sia realmente convinta che Putin non desideri altro che lo scoppio di una guerra per riaffermare il primato politico e militare della Santa Madre Russia.

E sembra pure che quell’informazione lavori deliberatamente per creare il clima di paura e di tensione che la possa far scoppiare, quasi fosse mossa e guidata da forze occulte in cerca di un conflitto che non si sa chi potrà avvantaggiare.

E in tutto questa fiera mediatica appaiono evidentissimi tre aspetti: la tradizionale volontà guerrafondaia dei democratici americani, oggi rappresentati da un Biden sempre più evanescente e in mano ai poteri forti del deep state; un’Europa putinofoba, vassalla e schierata sul Washington consensus sotto il profilo economico e su una ostinata psicosi anti russa sotto quello politico; e poi un’Italietta senza arte né parte, senza midollo e senza visione, che sa solo accompagnare con deferenza e riverenza le politiche dei due protagonisti precedenti. E naturalmente, anche in Italia, una stampa ansiogena diffonde lampi di guerra, stampa in cui, ad esempio, il Corriere della Sera si distingue per catastrofismo.

Tutto questo ci deve far riflettere sulla cosa di cui dicevamo all’inizio: l’allineamento dell’informazione non più solo a livello nazionale, ma internazionale.

Una esperienza che abbiamo vissuto drammaticamente, in questi ultimi due anni, con la propaganda covidaria e vaccinista e che ci conduce ad una semplice conclusione.

I mezzi di informazione sono ormai controllati a livello planetario dai grandi gruppi editoriali che, a loro volta, sono controllati dai grandi investitori finanziari: da Blackrock a Vanguard, da State Street a Goldman Sachs, da Merryl Linch a Barclays, secondo il famoso studio condotto nel 2011 dall’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo (The network of global corporate control).

Niente di più logico quindi che l’informazione si muova come uno stormo di uccelli che virano istantaneamente, tutti insieme, quando il capo-stormo cambia direzione ogni volta che cambiano i suoi interessi.

E purtroppo non sono mai interessi tranquillizzanti.

 

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Articolo pubblicato il 23/02/2022