Scarsità di cibo?

Scenario di crisi che si ripropone ciclicamente in ogni secolo per suggerire alla coscienza umana un’altra direzione.

Solo i vegetali e gli animali sono costretti a subire passivamente gli eventi naturali che determinano scarsità di cibo?

O anche l’essere umano?

La prima risposta parrebbe confermare che anche l’essere umano subisca gli eventi naturali allo stesso modo dei vegetali e degli animali.

Con una piccola, importante, differenza: non li subisce passivamente!

 

Infatti fa di tutto per concorrere a tale risultato!

Ben sapendo che siccità, calamità atmosferiche, malattie e un gran numero di altre variabili imprevedibili possono incidere grandemente sulla disponibilità di cibo, ci mette del suo per rendere ancora più problematica la situazione.

 

Come ebbi a ricordare circa due anni fa negli articoli “Scenari di crisi possibili in questo secolo” https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=37156 e “Crisi del cibo” https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=37505 , ogni crisi ricorre ciclicamente, contiene in sé il seme della successiva ed è contenuta in seme nella precedente, poiché fa parte delle lezioni di base per stimolare la coscienza umana ad andare oltre il tentativo di mantenere lo stato delle cose in una condizione bloccata entro la quale provare a trovare un equilibrio duraturo in cui prosperare secondo i principi ritenuti più giusti e produttivi per il benessere del maggior numero di persone possibili.

 

Peccato però che questi tentativi umani siano in aperta distonia con le leggi ed i cicli naturali. Infatti, indipendentemente dalle cause scatenanti, a questi tentativi umani è la stessa natura che si contrappone provvedendo a ripristinare il corso delle cose così come devono essere.

 

Vediamo per esempio cosa sta succedendo in questo momento in relazione alla produzione, vendita, trasporto e distribuzione di generi alimentari di prima necessità quali conseguenze del conflitto in atto in Europa tra i loro due maggiori produttori. A causa di tale conflitto, coloro che prima si dedicavano alla coltivazione del terreno sono stati costretti ad imbracciare le armi, il terreno non è più stato coltivato, quando non addirittura bombardato o minato, il trasporto su navi è stato bloccato nei porti ed il prodotto non arriva più alla distribuzione anche per altri problemi dovuti all’aumento spropositato dei costi del carburante. Risultato: minore disponibilità di cibo sul mercato e costi moltiplicati di quello ancora disponibile.

 

Risulta quindi evidente quale ruolo comprimario sostenga l’essere umano con tutte le sue attività in questa situazione, ma, anche se difficile da comprendere di primo acchito, esso è in subordine ad una forza maggiore di cui non si rende facilmente conto, credendo, non del tutto a ragione, di essere l’artefice unico di quanto accade. O, almeno, in funzione di tale assunto, una parte dell’umanità accusa l’altra di esserlo in maniera distruttiva.

 

Ma è proprio davvero così, “sic et simpliciter”?

O c’è qualcosa d’altro da prendere in considerazione?

 

Se proviamo ad osservare e riflettere un po’ più articolatamente su come la vita si svolge sul pianeta, sulla distribuzione della sua popolazione, sulle caratteristiche che si evidenziano nelle relazioni tra popolazione e luogo in cui si essa trova a vivere, appena un po’ sotto il livello più superficiale di quanto siamo abituati a considerare, troviamo questa per lo meno curiosa simbiosi.

 

Ogni popolazione si trova in un luogo specifico in cui si evidenzia una perenne condizione di crisi relativa ad un particolare aspetto primario da cui discendono gli altri sei aspetti secondari, cioè i sette scenari crisi prevedibili ciclicamente nel corso approssimativamente di un secolo. Tali scenari di crisi si riferiscono alla sicurezza, all’economia, alla salute, al cibo, all’acqua, all’aria e alla luce solare. Chiunque, se solo vuole fare lo sforzo di trovare queste relazioni, lo può fare e approfondirne le conseguenze per trarne informazioni e conoscenze che rendono più comprensibili i comportamenti di tali popoli.

 

È chiaro a tutti, ad esempio, quanto la particolare condizione di alternanza di luce solare tra giorno e notte, in due lunghi cicli di approssimativamente sei mesi invece di circa 12 ore, influisca sull’umore e la strutturazione sociale di alcune popolazioni nordiche, così come la cronica mancanza di acqua in alcuni luoghi desertici equatoriali, costringano le popolazioni locali a collaborare per trovare, salvaguardare e rendere accessibile tale bene prezioso, quando non li costringa ad una vita nomade in funzione di tale reperibilità. Similmente subordinate per altri motivi altre popolazioni risentono specificatamente di altri fattori di crisi che ne determinano le caratteristiche comportamentali più macroscopiche. Scarsità di cibo disponibile condizionano la durata della vita delle popolazioni di vaste aree geografiche del pianeta, inquinamento atmosferico ed emotivo di particolari zone in cui si concentrano popolazioni tecnologicamente avanzate ne determinano lo stato di salute psicofisico, paura e terrore attentano alla sicurezza fisica e mentale di alcuni luoghi in cui guerre e sopraffazioni sono il filo conduttore della quotidianità e così via. Ogni gruppo, etnia, comunità, paese, stato o continente sembra non poter sfuggire a questa regola. E, nonostante tutti gli sforzi che molte organizzazioni fanno per porvi rimedio, sembra addirittura che più si cerca di agire in tal senso, più le cose peggiorano.

 

Basterebbe che tali popolazioni cambiassero luogo in cui vivere per risolvere tali situazioni?

Oppure in tutto ciò c’è qualcosa che ci sfugge?

 

A questi interrogativi può rispondere solo una coscienza matura per farlo. La speranza è che lo faccia in tempo!

 

grafica e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 06/04/2022