Dal ratto delle Sabine agli stupri delle Ucraine

Crimini di guerra che non hanno fine

Tra vittime di maltrattamenti fisici e violentatori possono nascere talvolta legami affettivi traumatici, riferiti nel parlar comune a Sindrome di Stoccolma, che potrebbero addirittura portare una donna violentata a innamorarsi di chi l’ha stuprata; la vita, infatti, ci insegna che la strada dell’amore è spesso lastricata di sofferenze e che le vittime di soprusi sono per lo più donne, dalla notte dei tempi.

La nostra civiltà comincia con uno stupro collettivo; ma sui libri di scuola si scrive che, per popolare la sua città appena fondata, Romolo invitò i vicini Sabini a una grande festa perché, sul far della sera, i Romani potessero rapire le Sabine presenti e costringerle quindi a diventare loro mogli. Per i ragazzi smaliziati, “ratto” delle Sabine significa che quella sera “gli hanno fatto la festa” alle Sabine, 30 per Plutarco, il quale in un plauso ai propri avi disse che le avevano prese vergini, ma non disse come le avevano prese; comunque, pensare a un ludico consenso di quelle ragazze o ad una Sindrome di Stoccolma è assai improbabile: quello fu uno stupro collettivo e non il primo, d’una serie aberrante, che continua.

“Vim licet appelles: grata est vis ista puellis”, leggeranno un giorno nell’Ars amatoria di Ovidio quei ragazzi smaliziati ed è sperabile che, semplificato il verso nell’ormai comune espressione “Vis grata puellae”, oltre il significato letterale traducano così: l’insistenza è gradita alla propria ragazza; la violenza no; non è gradita.

Ma non si posero certo questi pensieri i Romani che presero le Sabine, così come, durante la Grande Guerra, non se li posero i soldati del Kaiser Guglielmo II, ai quali gli ufficiali, che avevano letto i manuali di Carl von Clausevitz, per vincere la resistenza inaspettata e sorprendente del nemico e fiaccarne il morale colpendolo negli affetti, concessero gli stupri, che sono un crimine di guerra, passati alla storia come Belgium humiliation.

Non stupisce, quindi, che nella Seconda guerra mondiale i nazisti hanno poi preso ad adescare soldati, da mandare a combattere in Russia, con la lusinga di poter prendere a piacimento le decantate femmine di quella terra, intriganti anche perché straniere.

Se questa è la cultura storica dello stupro a ristoro di truppe abbrutite, annichiliti dal passato, ancor più lo siamo dagli stupri perpetrati nel presente in Ucraina dove, per medievale legge del taglione, sono ora soldati russi quelli che stuprano le donne dei pretesi nazisti locali. Se la Storia degli orrori di conflitti passati ti lascia brutte cicatrici e il cattivo tempo ne risveglia le fitte, i misfatti della Cronaca d’una guerra presente sono sciabolate che aprono piaghe orrende e lancinanti, di infinito dolore; e quando prendi atto del fatto che non puoi curarle, ti chiedi se potessero essere evitate quelle ferite così esposte e tremende.

Lo stupro è un vulnus momentaneo del corpo, che nella mente non finisce mai; è una ombra opprimente, che non abbandona più la vittima neanche per un istante e la avvolge in una cortina di continua paura; è un trauma che spesso rende insopportabile la vita.

Per questo, quando dalle zone di questa guerra così vicina si scorrono velocemente, pensando che così facciano meno male, le notizie raccapriccianti di donne stuprate e poi finite con un colpo alla nuca, quelle morti a seguire, tra mille dubbi angoscianti, finiscono talvolta per essere considerate gli ultimi atti di crudeltà inaudita, ma di estrema pietà, d’una bestia che improvvisamente scopre d’essere ancora uomo, mentre la vittima ringrazia, esalando l’ultimo respiro.

Si vales, vàleo.

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Articolo pubblicato il 15/05/2022