Se la nostra vita non diventa una continua meditazione cosciente,

… allora non è altro che una parodia di vita!

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 65 del 30.11.2021 che è stato suddiviso in 11 articoli. Questo è il n°7.

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Quante strane idee ci siamo fatti sull’origine delle cose. Praticamente ognuno di noi ha la sua idea in proposito, anche quando si ritrova a seguire una particolare dottrina insieme ad altri che dicono di pensarla come lui. Ma in verità nessuno si cura veramente di approfondire l’argomento, né di sentire il bisogno di comprendere perché tale diversità sia permessa. Oppure ammettendo implicitamente che si tratta di una necessità fondamentale sulla quale è impossibile indagare. Dicendo in tal modo che “l’origine” ha dovuto permettere tutto ciò per acquisire coscienza di sé allo stesso modo in cui noi stiamo facendo lo stesso (ma ancora troppo inconsapevolmente), cioè tutti gli sforzi per acquisire in qualche modo coscienza di noi stessi. Esattamente la stessa cosa. Che detto in questi termini suona come un’eresia; in altri tempi ha mandato al rogo un sacco di gente. E anche oggi seppure in modo diverso, tutti quelli che la pensano diversamente da quanto condiviso e consolidato nella massa e nei suoi leader.

 

E quando finisce questa prova?

 

Mai! È l’eterno divenire delle cose e della vita! Mettiti l’anima in pace! Ma solo perché ciò che noi sentiamo sulla nostra pelle, quasi come una punizione, è semplicemente dovuto al nostro punto di osservazione di questo processo e al fatto che noi vogliamo intervenire modificando questo processo secondo le nostre intenzioni o desideri. In altri termini, quando ci rendiamo conto che questo processo sta servendo anche noi nel migliore dei modi possibili per giungere a quella felicità e quella salute a cui accennava prima R., in un istante infinitesimo noi potremo essere in quella condizione. Non sarebbe cambiato niente, ma noi lo percepiremmo come assolutamente diverso. Quello che in oriente viene indicata come illuminazione, ciò che in oriente si tenta di raggiungere con tecniche meditative, ciò che in occidente si imita con tecniche di altro tipo, esisteva anche in occidente sotto altre forme ancor prima che le mettessimo in evidenza. Sotto forma di meditazione e preghiera che non hanno nulla a che vedere con formule, ripetizioni rituali o altro, così come riportato dalla cultura e tradizione e facenti ormai parte del nostro immaginario, occupandolo totalmente, senza lasciare spazio e possibilità di concepire, lasciare nascere, nuove suggestioni della realtà. Ma è la vita intera che deve diventare meditazione e preghiera in ogni senso, non può essere attività riservata solo a qualche istante particolare, individuato come pieno di quei valori, di quella valenza. La vita in ogni sua espressione deve diventare tale. Senza che debba essere riconosciuta come tale, ma perché è diventata tale e non può essere distinta da essa. Senza possibilità di dover identificare un certo momento della vita come tale ed un altro no. Tutta la vita deve essere, è questo. E nel momento in cui diventa questo, la relazione con la vita diventa una relazione totale ed onnicomprensiva, onnisciente. Ovvero ti mette nelle condizioni di comprendere ogni cosa e situazione senza bisogno di studiarla nella maniera in cui siamo soliti fare, perché noi siamo fatti della stessa materia, della stessa sostanza di quella comprensione, noi siamo fatti di quell’idea di comprensione, di quell’idea originale, siamo fatti di tutto quello che serve per lasciar divenire ogni cosa nel suo aspetto corrispondente ad una nuova matematica applicabile ad un nuovo livello di comprensione totale. Nuovi criteri matematici e nuove relazioni tra funzioni, in un divenire continuo ed inarrestabile, senza limiti. Ecco perché, superata una fase come questa, ed entrati in un diverso stato di coscienza, non sarà finito il compito. Si trasformerà lo strumento di realizzazione per poter svolgere un altro compito e poi di nuovo e di nuovo. Tutto qui! Semplice da dire, a partire dai quei tre soli principi che abbiamo più volte menzionato, ma diventa difficile da realizzare a causa di tutto ciò che carichiamo su questa semplicità, alterandola e rendendola quasi del tutto impossibile. Aspettative, desideri, volontà di affermarsi prevaricando questo o quello, distorcendone i principi a nostro favore, e quanto altro siamo capaci di mettere in atto, quasi del tutto incoscientemente, per il nostro presunto tornaconto in ogni relazione con tutto e tutti.

 

In fondo la storia dell’uomo è questa. Ed è quasi una provocazione. Noi stiamo analizzando un comportamento che ci ha portati fino a qui, mettendolo sostanzialmente in dubbio. La considerazione è questa. È strano, o comunque particolare, perché guardandoci indietro ci pare di essere migliorati molto, riferendoci ai parametri odierni, popolazione aumentata, tecnologia evoluta, miglioramento delle condizioni di vita, sistemi di comunicazione come quello che stiamo utilizzando ora che in qualche modo ci avvicinano.

 

Certo! Ma osservando in conseguenza di questo intervento è possibile comprendere come un essere umano potrà diventare felice e sano secondo questi presupposti: quando sarà diventato tutto di latta e sarà totalmente programmato per fare sempre e solo quelle cose che lo rendono felice e sano. Quelle cose a cui ha aspirato secondo i principi dell’evoluzione storica. Indipendentemente dal fatto che gli apportino gioia realmente, ma riterrà, accettandola completamente, che quella sia la gioia. Come stiamo già facendo tutti noi in ogni cosa che facciamo. È ciò a cui stiamo tendendo noi. Stiamo tendendo ad autolobotomizzarci per non sentire sofferenza, a renderci insensibili a ciò che ci fa soffrire anche se ciò è un passaggio obbligatorio per la guarigione da uno stato patologico cronico. Preferiamo lo stato di anestesia totale o uno stato di coma irreversibile autoimposto. Uno stato di sterilizzazione da ogni aspetto vitale. Per evitare i grattacapi che un seppur minimo grado di libertà e responsabilità conseguente comportano. Per evitare le variabili che non possiamo prevedere e gestire e quindi ci fanno stare male, ci mettono a disagio, non ci permettono di essere felici (anche se non certo sani). Pazzesco.

 

Per me c’è stato un peggioramento non un miglioramento.

 

Infatti R., stava dicendo una cosa a proposito del miglioramento che abbiamo avuto. Abbiamo migliorato tutto ciò che possiamo vedere con i nostri occhi al di fuori, al nostro esterno, ma tutto ciò lo abbiamo fatto perché non siamo stati capaci di farlo, di migliorare quello che c’era dentro di noi. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di farlo all’esterno (come se fosse una protesi di un pezzo mancante). Perché avremmo avuto comunque la vita ed anche se solo avessimo avuto per un solo istante quella felicità e salute sarebbe bastato a darci, a farci provare la pienezza del senso della vita.

 

Dopodiché, che senso avrebbe dover mantenere quello stato se non come base per poter andare di nuovo oltre?

 

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prosegue nei prossimi articoli …

 

foto e testo

pietro cartella

 

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Articolo pubblicato il 17/09/2022