Chi ha tempo non aspetti tempo …

… per non correre il rischio, anzi aver certezza, di non averne più quando si presenta a noi l’unica cosa importante che dovevamo fare nella nostra vita!

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 65 del 30.11.2021 che è stato suddiviso in 11 articoli. Questo è il n°9.

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Si guarda alle persone che detengono un potere come a qualcuno che se ne è appropriato senza il nostro consenso, specialmente quando non lo abbiamo manifestato in modo evidente. Tuttavia quel potere gli è stato conferito da noi prima ancora che ne entrassero in possesso o lo reclamassero per sé. Glielo hanno dato gli esseri umani che se ne sono privati perché ritenevano più semplice, comodo e redditizio affidarlo a loro (ricordate Pinocchio che affida i suoi denari al gatto e la volpe?). Ma se non ci fosse stato qualcuno che ha agito per conferire loro un potere non ci sarebbe nessun detentore di potere! È chiaro che è assurdo, ma rende l’idea. Infatti se noi andiamo ad analizzare quello che desideriamo nel nostro piccolo, lo ritroveremo moltiplicato in quello che ci accade intorno. Vogliamo sicurezza? Eccoti il vaccino! Vogliamo sicurezza? Eccoti questo lavoro! Scavare in miniera! Vogliamo sicurezza? Eccoti servito! Non importa quello che dovrai pagare di conseguenza! Non vedere mai il sole, perdere la salute! Non importa! Però ad ogni nostro desiderio la risposta è puntuale e coerente, anche se non è quella che noi crediamo o desideriamo. È esattamente quella in più stretta relazione con tutto ciò che noi siamo veramente e non solo con ciò che crediamo di essere o con ciò in cui ci identifichiamo. Con ciò che siamo realmente, non con quella nostra immagine che appare allo specchio.

 

E allora come uscirne?

 

Esattamente come stiamo facendo ora! Rispondendo a tutte queste sollecitazioni anziché nascondere sempre la testa nella sabbia, rispondendo nell’unico modo sano di farlo, facendo lavorare la nostra coscienza e accettando dentro di noi tutte quelle paure dalle quali vorremmo fuggire, facendo in modo che anziché eleggerle nostri carnefici diventino semplici compagne di viaggio, tra tutti e insieme a tutti gli altri compagni di viaggio. Senza farcene dominare come abbiamo sempre fatto. Facendole diventare alleate in positivo nell’evitare cose realmente dannose per noi. Anziché lasciarle o dare loro il potere di un padrone, farle lavorare con noi e per noi, per la nostra vita, anziché ostacolarla. Dicevo prima: ho paura di andare in auto e allora stipulo un’assicurazione apposta; ho paura che mi cada un vaso in testa e allora mi assicuro contro tale evenienza; ho paura di cadere in casa ed allora mi assicuro contro gli incidenti domestici; ho paura che mio figlio si droghi e allora mi assicuro contro i danni conseguenti e mi permetta di mandarlo in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Ragazzi, i primi tossicodipendenti siamo noi! Tossicodipendenti da una situazione che abbiamo creato o lasciato nascere e che ora ci costringe a vivere malati e impauriti. Ce ne rendiamo conto? Basta solo prendere coscienza dello stato in cui ci troviamo per avere già qualche possibilità di fare qualcosa di diverso. Ma se non ci rendiamo prima conto che questo è il nostro stato, allora non cercheremo neppure di uscirne. Ed invece occorre arrivare a poter dire questo: con tutte queste paure e con tutte queste limitazioni eccomi ancora qua! E continuo ad essere qua e ad andare avanti senza farmi troppo condizionare dalle mie paure e nonostante ci provino tutti a fermarmi, ad annientarmi, come io credo. Potrà anche succedere così fisicamente, ma cosa significa veramente ciò. Se mi annientassero l’automobile, sapendo che se ne costruiscono milioni al giorno, di cosa mi dovrei preoccupare? Che importa, ne prenderò un’altra. E poi farò lo stesso ciò che devo fare. Dobbiamo comprendere che noi non siamo né la nostra forma né siamo limitati definitivamente dalla nostra forma. Non solo, ma che se mettiamo in atto tutte le nostre differenze anziché cercare di uniformarci ad un unico modello, pur avendo tutti la stessa matrice di base, potremo fare molto di più di quanto è stato fatto finora e negli ultimi 200 anni in modo particolare, anche ripartendo da zero, ma solo in relazione a ciò che ci serve davvero. E non per mostrare la bravura di architetto continuare a costruire grattacieli di un chilometro, la cui punta oscilla di più o meno 10 metri, facendo venire a tutti gli abitanti il mal di mare senza esserci. Ma che bella vittoria tecnologica, ma che bravo architetto! Non faremmo, non saremmo costretti a fare un sacco di cose, senza che per questo la vita sia qualitativamente inferiore, lasciando esprimere la necessaria qualità della vita che noi potremmo vivere coerentemente. Ma soprattutto significherebbe aver compreso lo scopo per il quale fare queste cose. Nella mia vita ho fatto il progettista, quindi anche io ho fatto cose assurde. Assurde perfino nel funzionamento. Cose sbagliate che però ho scoperto che funzionavano in una maniera incomprensibile immediatamente ed imprevedibile tecnicamente, tanto da brevettarle. Significa che ogni cosa funziona come anche quelle contrarie ad essa, quindi non c’è giusto e sbagliato, ma solo cose diverse, più o meno utili. Perfino una cosa sbagliata può funzionare ed essere brevettata. Quindi non c’è una sola logica, non c’è una sola verità incontrovertibile. Non c’è una regola seguendo la quale si è nel giusto o sbagliato. Perché le leggi fondamentali della gravità e polarità si applicano indistintamente a ciò che noi riteniamo giusto o sbagliato. Facendo funzionare sempre tutto comunque. Grazie anche al nostro apporto, cosciente o incosciente che sia. Perché, fra tanti altri, noi siamo elementi catalizzatori specifici di processi creativi e funzionali specifici. Catalizzatori in grado di accelerare e rendere più visibili tali processi. Catalizzatori così potenti e pericolosi da dover essere confinati all’interno di quel laboratorio che è la terra, schermati da un sistema di sicurezza supersicuro. Altro che virus! Trattenuti all’interno di un luogo isolato per evitare di infettare l’universo. Perché, altro che entropia del nostro contesto vitale, siamo in grado di far collassare l’intero universo, mentre ci dedichiamo a ravanare (agire senza considerare il disturbo procurato ad altri) nel nostro paese dei balocchi. Capaci di liberare una potenza incontrollata ed incontrollabile in grado di destabilizzare l’intero universo impropriamente, senza una vera ragione e senza coerenza verso una funzione (ma qualcuno potrebbe dire che andrebbe bene così lo stesso, ovvero che avrebbe una qualche ragione lo stesso, visto che nulla va mai perduto davvero). Lo so che vi ho lasciato senza parole ma perdonatemi. Non è perché questo abbia un valore diverso da quello che c’è in ognuno di noi. È solo diverso il punto di osservazione e di esposizione dei fatti.

 

Non mi hai lasciato senza parole ma senza l’eleganza delle parole. Avrei tanti epiteti, perché la situazione è complicata. Sì, è forse nascondersi tra i giovani e le parolacce che descrive tutto questo. Diciamo che chi è qua sicuramente, o chi comunque sta facendo azioni simili a questa in altri contesti, è perché si sta ponendo delle domande e quindi sta cambiando la polarità. Però comunque siamo una minoranza, adesso nessuno può parlare di quale sia la percentuale che permetterà alla massa critica di spostarsi perché, per quanto, comunque, giocando sempre con la chimica, il protone ha una massa più grande dell’elettrone e quindi per assurdo bastano meno protoni che elettroni, però è complicato. Io invidio la tua tranquillità nell’affrontare tutto questo perché mentre tu parlavi mi sono reso conto che … lasciatemelo dire vista l’ora tarda … so’ cavoli!

 

Certamente! Questa è una sintesi pratica. Però lasciatemi dire una cosa che sfugge ai più. Tu hai detto: siamo in pochi. Prova ad osservare una volta che tu sia in salute precaria per una malattia qualsiasi, cosa avviene intorno a te. Fino a quel momento non ti rendevi conto di quanti avessero la tua stessa malattia. Ma appena per questa ragione vai all’ospedale, per trovare una cura, ti accorgi dell’esistenza di una fila di persone che attendono di entrarvi per lo stesso tuo motivo. Hanno tutti la tua stessa malattia. E subito dopo guardando dietro di te scopri che la fila si è allungata al punto che non ne vedi la fine. Certo, se stavi a casa non avresti potuto vederla. Ma c’era già anche prima che tu arrivassi all’ospedale, anche prima che tu pensassi di andare all’ospedale, ancora prima che ti rendessi conto di essere malato e di aver bisogno di cure. Niente di ciò che esiste è visibile se non si è attivata la nostra attenzione nei suoi riguardi. Ma esiste comunque con o senza la nostra attenzione e soprattutto ci coinvolge volenti o nolenti, anche se continuiamo a non rendercene conto, a non pensarci affatto. Tuttavia non a caso una situazione come questa si chiama pandemia, ovvero colpisce ed interessa l’intero globo e la sua popolazione umana. Allo stesso modo queste domande sono il sintomo di una pandemia relativa a tali argomenti e necessità, sono attive in modo asintomatico dentro più persone di quante possiamo credere. Rifaccio un esempio molto semplice già utilizzato nel secondo incontro. Quante persone hai sentito dire: sono talmente occupato che non ho tempo per pensare! Allora ecco che l’unico modo per avere ciò che ci mancava e desideravamo, cioè avere più tempo per pensare, ci è stato dato, siamo stati esauditi in toto, in pieno, perfino costringendoci, perché non avessimo altre scuse, a stare a casa per mesi, senza doversi occupare di quelle cose che ci hanno sempre rubato il tempo necessario per pensare. A non dover fare niente altro che quelle poche cose che servivano veramente per sopravvivere. A sospendere tutto ciò che dicevano fosse assolutamente indispensabile per la nostra vita. No, siamo stati reclusi in casa e abbiamo vissuto lo stesso.

 

Abbiamo avuto tempo per pensare a determinate cose e cosa ne abbiamo fatto?

 

 

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prosegue nei prossimi articoli …

 

foto e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 21/09/2022