Non esiste solo ciò che possiamo percepire con i sensi.

Certamente però possiamo renderci conto più facilmente solo di quello che percepiamo in tal modo, che è solo una minima parte di ciò che esiste.

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 67 del 14.12.2021 che è stato suddiviso in 8 articoli. Questo è il n°5.

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La maggior parte delle cose che accadono e ci accadono avvengono senza che ce ne rendiamo conto. Sembra che la nostra esistenza si svolga in una bolla personale, separata dal resto, in cui ogni cosa avviene solo ed esclusivamente in funzione di quello che crediamo di essere, cosicché, quasi del tutto erroneamente, pensiamo e crediamo di poter intervenire per modificare il tutto a nostro piacimento e misura. Salvo poi scontrarsi con la realtà che è molto diversa perché tiene conto di tutto e non solo di noi (il più delle volte anche a nostro vantaggio anche se non lo percepiamo come tale). Per nostra fortuna!

 

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Mi viene di fare questa obiezione. A mio avviso non serve la sofferenza fisica e psichica quando una persona è giunta ad un livello in cui consente un processo di crescita, di evoluzione della coscienza. Ho la sensazione che certi livelli di sofferenza addirittura mantengano nella cecità e invece varie forme di medicina non troppo invasive e applicate con criterio, se la coscienza di colui che interviene è di un certo tipo vicino al cuore, a mio avviso invece sono un aiuto che può trasformare la sofferenza in progresso, in evoluzione. Altrimenti dovremmo nascere già tutti medici. Ma quante volte in una condizione di malattia ci siamo chiesti quale sia la causa e quale il fine? E anche a distanza di anni non siamo riusciti né a capire le cause né a capire il fine. E invece a me personalmente è capitato talvolta e grazie ad un colloquio, certo con gente esperta, grazie magari anche ad un intervento di tipo energetico di altro tipo, di avere come un balzo, un guizzo. E quindi ribadisco, certa sofferenza stagnante ti fa stare lì, ti fa soffrire ma non provoca apertura di coscienza a meno che, allora io non ho ancora compreso nulla, anche la sofferenza fisica o psichica di certi livelli costituisca di per sé una evoluzione della coscienza, una trasformazione ma che nel corso della nostra vita non siamo in grado di cogliere. Non so se sono stata chiara.

 

Certamente! Hai espresso chiaramente alcuni concetti. Quando in precedenza dicevo che tutto è sempre relativo ad uno stato di coscienza significa che la verità non è una sola ed assoluta ma è sempre relativa ad uno stato di coscienza per cui è tale. Quella dell’individuo a cui la vita ha riservato tale esperienza. La sofferenza, quindi non necessariamente dolore, che può essere evitato e che a certi livelli impedisce alla coscienza di agire correttamente, quindi la sofferenza entro la quale ci può stare un certo grado di dolore, coinvolge tutti i nostri corpi, non solo quello fisico, ma anche quelli sottili; lavora sull’intero complesso del nostro organismo, non solo su una sua parte. In quel tipo di sofferenza ognuno lavora con la sua coscienza al livello in cui essa si trova e non può fare altrimenti, perché non può saltare alcuna fase del processo in cui essa si trova. Può però ridurne tempi, modi e gravità, di permanenza in tale stato del suo sistema, può ridurne l’intensità, non opponendosi, ma senza fare come se non ci fossero. Spesso quando mi trovo a parlare di questo argomento a tu per tu con una persona sono costretto a dire delle cose che in un contesto appena un po’ più ampio evito di dire in tali termini, a volte molto crudi, a cuor leggero. Quindi in questo momento stiamo parlando in termini un po’ più blandi, meno incisivi, di cose enormi. Ma fondamentalmente quello che noi facciamo agendo direttamente su quella condizione, che abbiamo individuato come malattia o come un ostacolo, non funziona se non come un palliativo. Condizioni e reazioni simili che possono anche protrarsi per un certo numero di vite. Come se si trattasse di uno stato di ipnosi che si trascina per il tempo che comprende molte vite. Se ipnotizzo la mia coscienza deliberatamente, mediante determinate pratiche, posso non sentire più una serie di impulsi che arriveranno comunque alla coscienza senza essere rilevati e quindi senza che producano effetti immediatamente percepibili. E trasmettere, come fanno i monaci tibetani, tale stato per generazioni successive fino a quando programmato volontariamente. Allo stesso modo in cui personalmente ho sperimentato come si fa ad eliminare il dolore mentre mi venivano cavati i nervi dai denti o mi è stato riattaccato a vivo un ossicino interno del naso dopo un incidente. Sono tutte cose che si possono fare mediante una tecnica adatta, si possono fare con tecniche che funzionano benissimo, con le quali si può agire anche su livelli molto molto elevati, come facevano i mistici che si flagellavano senza sentire quel dolore che noi penseremo si debba provare in tali circostanze, poiché mettersi in tale stato significa entrare in un ordine di relazione con i sensi assai diverso dal normale. Perciò nei prossimi incontri tratteranno argomenti più pratici, pur facendo ogni volta riferimento alle leggi fondamentali che abbiamo fino qui evidenziato. Anche se non saranno sempre chiari ed immediati i dettagli dei collegamenti tra di essi. Però potranno essere sempre recuperati quando le esperienze ce lo richiederanno e sarà quindi possibile, e forse anche più facile, comprenderne il senso generale. Quindi la sofferenza eccessiva può essere inutile ed evitabile, ma può anche essere l’unico modo per arrivare ad un punto di rottura in cui si stacca completamente tutto, come nel caso di alcuni mistici, e si compie un balzo temporaneo in una condizione o livello differente. Il dolore è un’altra cosa e lo si può trattare come si tratta un bicchiere d’acqua. Un bicchiere d’acqua posso avercelo pieno o mezzo pieno o con solo quanto basta per un sorso; sono poi io che scelgo se svuotarlo, riempirlo o utilizzare quel sorso. Con il dolore noi possiamo fare così, possiamo regolarlo come regoliamo uno sforzo fisico, facendo più o meno attenzione ad evitare ciò che lo aggrava, invece la sofferenza diventa uno stato d’essere che pervade l’intero sistema e ne determina le caratteristiche funzionali come un aspetto caratteriale di base, in grado quindi di modificare a priori la qualità delle percezioni che possono giungervi ed essere comprese. Nessuno troverà qualcosa di strano, neppure a livello della coscienza, se uno di fronte ad un mal di denti prenderà un calmante per trovare un temporaneo sollievo. Ma altra cosa è se noi volontariamente ci mettiamo nelle condizioni di essere sedati a vita. Non tanto quando ci si trova in una condizione terminale, ma in una condizione normale, solo per non correre il rischio di avvertire dolore per una qualsiasi ragione. Che è quello che stiamo facendo, come umanità, in questo momento. Non vogliamo affrontare la realtà dei fatti che noi stessi abbiamo chiamato, fatti che risultano essere velenosi e quindi vogliamo il controveleno, l’antidoto, nella speranza che basti per allontanare da noi gli effetti del veleno che abbiamo chiamato noi stessi, che abbiamo assunto volontariamente. Possiamo fare tutto, ma gli esiti, le conseguenze, sono scontate: azione-reazione, bene-male, causa-effetto, sono inscindibili. Per cui in ogni caso il destino verrà comunque perseguito ma il karma, il modo in cui esso verrà perseguito, diventerà un macello cosmico. Vorrà dire che andrò sempre nella stessa direzione, sì, certamente, ma durante il percorso per arrivare alla meta verrò preso a calci e pugni ad ogni passo da qualunque cosa si trovi intorno a me sul mio cammino. Non mi sembra una cosa sana e sensata da fare.

 

Ma se uno aveva un polipo e questo sparisce, oppure le vene varicose e queste spariscono, quando ero un credente avevo pensato alla fede, a me sono capitate queste cose, è dovuto a quello che dicevi prima? Non so spiegarmi.

 

Se noi fossimo tenuti sotto controllo, mediante una ecografia continua o un altro esame diagnostico, reso visibile ai nostro occhi, ogni istante della nostra vita, vedremo nascere e sparire continuamente dentro di noi non solo cisti, non solo diverticoli, non solo ragadi, non solo ferite o infezioni di vario genere, ma anche processi tumorali. Ma noi non abbiamo queste possibilità di indagine continua e quindi se un processo in atto non ci crea disturbo percepibile dai sensi non ce ne accorgiamo, non ci accorgiamo né della sua nascita, né del suo sviluppo, né della sua scomparsa. Al contrario, se sentiamo un disturbo di qualsiasi genere, allora cominciamo ad indagare e alla fine scopriamo che qualcosa c’è da qualche parte e quindi decidiamo di intervenire, imputando a ciò che abbiamo scoperto la causa del disturbo, per porvi rimedio. Il guaio avviene quando noi interveniamo immediatamente per eliminare il disturbo. Così anziché lasciargli fare il suo corso e sparire come normalmente avviene biologicamente, secondo il suo ciclo naturale, visto che il nostro corpo è ancora vivo e funzionante, attacchiamo tale processo (che avrebbe portato alla morte del disturbo e il suo riassorbimento nel complesso biologico) e lo cristallizziamo in quella condizione irrisolta e per noi patologica. Creiamo una cicatrice dura e permanente che, magari in un’altra maniera, continuerà a dare disturbo (per esempio le aderenze post operatorie). Costituirà la memoria permanente di quel disturbo. Che altrimenti sarebbe svanito così come è arrivato. In un altro caso non avremmo neppure saputo di averlo avuto e chissà quante volte ciò è già avvenuto senza dare segnali percepibili, come invece è avvenuto per altri.

 

 

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prosegue nei prossimi articoli …

 

foto e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 23/01/2023