La Pace necessaria

Perché la crisi ucraina deve terminare in tempi brevi

Ci stiamo avviando verso un punto di svolta nella crisi ucraina?

E’ altamente probabile, dopo un anno di stasi e una guerra che può definirsi “di posizione” in un duplice senso: in senso diplomatico, in quanto nessuna delle parti in conflitto, NATO compresa, ha abbandonato le sue posizioni intransigenti e belliciste; e poi in senso militare, in quanto i due eserciti che si confrontano hanno modificato pochissimo le loro posizioni territoriali.

Ma oggi qualcosa sembra muoversi sul piano della necessità, se non proprio della volontà, negoziale.

Intanto, nonostante l’asfissiante propaganda bellicista dell’occidente e l’enorme appoggio a Zelensky in termini di aiuti economici, militari, politici, mediatici, sembra veramente che l’Ucraina si stia avviando verso la sconfitta militare, o quantomeno verso un suo pesante arretramento strategico; cosa che però non permette di parlare di una vera vittoria di Putin, viste le pesanti perdite e le enormi difficoltà dell’esercito russo pur nella sua evidente ma lentissima avanzata.

L’impressione è che entrambe le parti stiano soffrendo lo stress materiale, ma anche psicologico, di una guerra che le sta logorando pesantemente e che ha deluso le iniziali aspettative putiniane di una blitzkrieg rapida e chirurgica in territorio ucraino, così come quelle zelenskiane di una vittoriosa resistenza e poi di un respingimento dell’invasore oltre i confini.

 Né gli eroici proclami di Zelensky, né quelli trionfalistici di Putin hanno sortito gli effetti desiderati, anche se non era pensabile, sin dall’inizio,  che l’Ucraina potesse realisticamente contrastare nel lungo periodo una superpotenza militare come la Russia, nonostante la mole impressionante di aiuti occidentali. E anche perché non era ugualmente pensabile, sin dall’inizio, che  gli Stati Uniti e la NATO avrebbero spinto il loro impegno sino al punto di non ritorno caratterizzato da uno scontro diretto, scontro che poteva facilmente oltrepassare la soglia nucleare.

Sembra cioè che si stia lentamente affermando la convinzione che sia necessaria, e sopratutto inevitabile, l’accettazione di uno status quo che riconosca ai russi una sostanziale vittoria sul campo, e quindi una ridefinizione dei confini che attribuisca a loro, almeno per il momento, i territori conquistati in attesa di futuri accordi, e che costringa gli ucraini ad accettare tale situazione accantonando i loro sogni di vittoria e di riconquista territoriale, almeno nell’immediato.

Il realismo politico non può che prevalere al di là e al di sopra dell’ondata di propaganda, di retorica, di indignazione, di dichiarazioni di principio che ci ha sommerso nell’ultimo anno, comprese le parole -non si sa quanto sincere o quanto imposte dalla ragion di stato- pronunciate dalla nostra Giorgia Meloni nel suo abbraccio stretto e appassionato alla causa ucraina, parole che non hanno convinto molti di coloro che l’hanno votata.

Ma c’è qualcos’altro, al di là di queste ciniche considerazioni, che conforta la nostra percezione di un punto di svolta ormai imminente, un qualcosa maturato ai livelli alti, anzi altissimi, del deep state statunitense, e  che ci viene trasmesso da tre sensibilissime antenne che ne raccolgono gli umori: una è la Rand Corporation, forse il più prestigioso pensatoio sulla sicurezza nazionale USA, l’altra il Wall Street Journal, sicuramente la voce più attendibile dell’establishment finanziario americano, e la terza il Council on Foreign Relations che, sin dalla fine della prima guerra mondiale, è il grande suggeritore della politica estera statunitense.

Nel suo ultimo rapporto di gennaio (Avoiding a long war), la Rand sfata il mito secondo cui le guerre finiscono perché l’opinione pubblica si oppone ad esse: le guerre finiscono quando emerge una spaccatura significativa fra le élites, che sono le uniche in grado di imporre un cambiamento delle politiche governative.

 E in questo momento le élites più potenti ritengono che l’attuale politica di Biden stia danneggiando gli Stati Uniti e stanno avanzando una richiesta più assertiva di negoziati. “I costi e i rischi di una lunga guerra in Ucraina”, scrive il rapporto, “sono significativi e i suoi possibili sviluppi superano i probabili benefici per gli Stati Uniti”.

In altre parole, secondo la Rand, la rottura delle linee di approvvigionamento, l’aumento dell’inflazione, la crescente carenza di energia e di cibo e la diminuzione delle scorte di armi non sono un “giusto compromesso” per indebolire la Russia. Dunque devono prevalere gli interessi statunitensi e si deve necessariamente giungere a una pace in quei territori, o almeno a un compromesso diplomatico, in tempi brevi.

Il Wall Street Journal ha invece riferito nei giorni scorsi (NATO’s biggest european members float defense pact with Ukraine) che i governi di Germania, Francia, Gran Bretagna stanno spingendo il governo ucraino ad avviare negoziati di pace con la Russia dal momento che le perdite ucraine stanno diventando insostenibili.

Gli stessi Macron e Scholtz, durante l’incontro con Zelensky a Parigi  all’inizio di febbraio, avevano già sollecitato il presidente ucraino in tal senso ricordandogli curiosamente come anche Francia e Germania, nemici mortali durante la seconda guerra mondiale furono costretti alla pace dopo la fine del conflitto.

E infine Foreign affairs di marzo (rivista del Council on Foreign Relations) titola: Perché l’America è rimasta intrappolata nei falsi sogni di egemonia, rimproverando a Biden e ai suoi consiglieri guerrafondai come Victoria Nuland di aver riproposto il mito di un’America imperiale in cui l’esercito ha abdicato al suo ruolo di forza progettata per proteggere il popolo americano diventando impropriamente uno strumento di proiezione di potenza globale.

 Un fallimento evidente, anche perché la resa dei conti ai danni della Russia non c’è stata e non sembra probabile che ci sia in futuro, un fallimento da cui emerge la necessità di abbandonare l’idea “che il destino dell’umanità dipende dall’esito di una lotta cosmica tra democrazia e autocrazia” come invece sembra credere l’attuale amministrazione democratica. Un’opinione non proprio trascurabile, visto che il Council è comunque espressione del circolo di  miliardari che ruota attorno ai Rockefeller e in passato ha espresso personaggi della levatura di George Kennan, Henry Kissinger, Zbigniew Brzezinski.

Ora, alla luce di tutte queste considerazioni e di queste prese di posizione ai vertici dell’establishment occidentale è ancora possibile credere alle ingenuità che ci vengono imposte ogni giorno dai mezzi di comunicazione secondo cui tutto si riduce a una guerra “cosmica”, per riprendere l’espressione di Foreign affairs, tra il Bene incarnato dall’Occidente e il male incarnato dalla Russia putiniana? Tra aggressori e aggrediti? Tra democrazia e tirannide? Tra immancabili vittorie e inevitabili sconfitte?

Il tutto al prezzo di morti, distruzioni, sofferenze inenarrabili? O, più banalmente, brutalmente ed egoisticamente, al prezzo di un enorme ridimensionamento della nostra ricchezza, del nostro benessere, della nostra crescita economica?

Ecco perché, forse, una qualche pace immediata è semplicemente necessaria, ed è semplicemente ciò che avverrà perché cominciano a volerlo proprio i “piani alti” del potere mondiale.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 07/03/2023