L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Elio Ambrogio: ma che ci stiamo a fare in Europa?

Difficile amare un’istituzione che non ci ama

Proviamo a porci una domanda eversiva, sperando di non essere inquisiti per il reato di “pensiero difforme”  da qualche magistratura mediatica. La domanda è questa: che ci sta a fare l’Italia in un’Europa nemica?

Per decenni ci hanno raccontato di un’Europa santa e benevola in cui, secondo un grande statista italiano, si lavora un giorno in meno e si è pagati un giorno in più; un’Europa che ha preservato la pace in un continente pieno di passate ostilità reciproche e ferocemente armate; un’Europa democratica, liberale, economicamente prospera, madre tutelare dei diritti civili, umani, sociali; un’Europa aperta e impregnata di sussidiarietà, incardinata nei grandi valori occidentali, punto di arrivo di una storia e una cultura millenarie che, partendo dalla classicità greco-romana, sono transitate attraverso l’umanesimo cristiano per poi realizzarsi pienamente nel mondo della modernità illuministica, della tolleranza, della libertà, della fraternità fra i popoli, cioè nell’Unione europea di oggi.

E se tutto ciò fosse semplicemente falso, o quantomeno viziato -diciamo così- da gravi inesattezze?

Lasciamo agli storici professionisti l’elaborazione di una risposta argomentata. Limitiamoci invece a qualche notazione più superficiale, ma non meno evidente, sopratutto alla luce dei fatti più recenti in cui traspare l’immagine di un’Europa assolutamente inattendibile sotto il profilo etico, politico, democratico, in buona parte nemica dei suoi popoli e, in particolare, della nostra nazione italiana.

Intanto esiste un drammatico problema di democraticità, peraltro rilevato da molti studiosi, che rende le istituzioni dell’UE scarsamente rispondenti alle aspirazioni dei popoli europei, i quali hanno come solo possibile e ipotetico referente un parlamento che sostanzialmente si fa i fatti suoi, preda, ad un tempo, di una narcisistica considerazione di sé stesso e delle mode politiche più inconsistenti e politicamente corrette, nonché di massicci apparati lobbistici -nazionali e globalisti- che gli impongono i loro arroganti interessi economici.

Non dimentichiamo che, con un’evidente e patologica deviazione dalle regole costituzionali normalmente accettate, si tratta di un parlamento privo di iniziativa legislativa, che invece è concentrata  esclusivamente nella Commissione; cosa che la dice lunga non solo sul “deficit democratico” prima accennato ma anche sulla natura oligarchica della Commissione stessa, impermeabile a ogni istanza e aspirazione popolare ma assai permeabile a quegli enormi interessi lobbistici di cui parlavamo. Interessi lobbistici che però sono riusciti a penetrare profondamente anche nel Parlamento europeo, come il recente caso Qatar, con annessi e connessi risvolti penalistici e scandalistici, ha dimostrato ampiamente.

Facciamo alcuni esempi plastici e istruttivi.

Primo esempio. La follia ambientalista sembra essersi impadronita delle istituzioni europee, Parlamento e Commissione, dove un eco-invasato senza se e senza ma come l’olandese Frans Timmermans, vicepresidente di Ursula von der Leyen, si sente chiamato a preservare il mondo dall’inquinamento e dal surriscaldamento climatico, salvando forse piante, pesci, uccelli e mammiferi assortiti dall’estinzione ma uccidendo una gran parte di quelle attività economiche che danno da mangiare agli uomini.

Pensiamo al bando dei motori endotermici entro il 2035, provvedimento contro cui si è rivoltata gran parte dell’industria automobilistica europea ma poi accantonato grazie anche al rinsavimento (speriamo non temporaneo) di alcuni paesi tra cui l’Italia di Giorgia Meloni, a cui deve sicuramente andare il grazie di tutti i cittadini italiani, e non solo italiani.

Pensiamo alla battaglia dura e senza paura degli agricoltori europei -su cui la stampa conformista ovviamente tace con ostinazione- che da giorni bloccano il Belgio e Bruxelles con i loro trattori sfidando le cariche della polizia, solo per poter sopravvivere ai demenziali provvedimenti UE riguardanti la limitazione dell’azoto nei fertilizzanti; una protesta a cui si uniranno senz’altro e presto anche gli agricoltori italiani che incredibilmente chiedono solo di poter continuare ad esistere.

Secondo esempio. Anche la follia sanitaria sembra ormai spadroneggiare in Europa, una follia che va dal totalitarismo vaccinale che abbiamo recentemente sperimentato alla messa al bando di prodotti alimentari ritenuti “nocivi” e che va sopratutto ad investire la nostra produzione agroalimentare nazionale, in particolare quella dieta mediterranea che da secoli, nella mente e nel corpo degli italiani, è simbolo e sostanza  di un’alimentazione sana, popolare, e anche di una raffinata cultura materiale basata sulla convivialità, sulla gioia di vivere, sul gusto di una tradizione civile di altissima qualità, anche etica ed estetica. Non parliamo, per rispetto dello stomaco dei lettori, del via libera dell’UE al cibo sintetico e a quello a base di insetti e lombrichi...

Ma la follia e l’arroganza sanitarie, venate di notevoli e appariscenti tratti di illegalità, hanno raggiunto il loro apice durante l’emergenza covidaria in cui la trattativa sulle forniture vaccinali ha mostrato tutti i suoi aspetti lobbistici e antidemocratici diventando un oscuro affare privato fra la Von del Leyen e Albert Bourla, CEO di Pfizer, un affare condotto tramite messaggi telefonici segretati, trattative segretate, contratti segretati, rapporti personali segretati anche se riguardanti le finanze europee per miliardi di euro e la salute di milioni e milioni di cittadini dell’Unione. Contatti e contratti inaccessibili persino al Difensore civico europeo Emily O’Reilly e su cui persiste una fitta nebbia di inconfessabili interessi privati, almeno fino a quando la baronessa tedesca non deciderà di aprire i contenuti di questa vicenda all’opinione pubblica, cosa che presuppone però una correttezza democratica e istituzionale che evidentemente non le appartiene.

Terzo esempio. La vicenda delle concessioni balneari, che riguarda profondamente l’Italia, un paese che dal turismo e dalle sue strutture ricava un grande contributo al reddito nazionale, ma che l’Unione sembra voler punire seguendo l’interpretazione tendenziosa (la direttiva Bolkestein, che è alla base del contenzioso, riguarda la concessione dei servizi e non dei beni demaniali) di una normativa europea che, anche in questo caso, sembra studiata apposta per danneggiare i nostri interessi economici e favorire quelli   delle multinazionali della balneazione.

Si pensi solo alla diversa durata della stagione turistica nei paesi nordici e in quelli mediterranei per capire quanto vantaggiose siano le norme in questione per quelle multinazionali. E anche qui, un grazie al governo italiano, quantomeno per aver provato a mettere un po’ di sabbia nelle perverse rotelle del meccanismo decisionale europeo.

Quarto esempio, probabilmente il più spaventoso: la politica bellica. "Siamo arrivati a un momento cruciale del nostro sostegno per l'Ucraina”, ha dichiarato nei giorni scorsi il commissario europeo Thierry Breton al Consiglio informale di Difesa a Stoccolma, “è assolutamente obbligatorio che ci si muova in una sorta di economia di guerra per l'industria della difesa, dobbiamo fare 'whatever it takes' per fornire l'Ucraina di munizioni”. Economia di guerra? E’ un’affermazione che ci pone davanti agli occhi una notizia incredibile: i pazzi hanno preso il controllo del manicomio...

Chi sia Breton e che cosa rappresenti ci interessa poco, quello che ci terrorizza è che l’Europa oggi pretenda di appropriarsi anche della politica di difesa che però, in questo caso, e nelle parole del commissario, è politica di guerra tout court; una politica che non compete assolutamente all’Unione e che travalica i suoi Trattati istitutivi e mette a rischio l’intera popolazione del continente, Italia in prima linea, gettandola in una possibile guerra che non ci appartiene e che i popoli d’Europa non vogliono.

Fermiamoci qui e chiediamoci nuovamente: ma che ci stiamo a fare in un’Europa come questa?

E’ vero che Costituzione italiana impedisce, all’articolo 75, un referendum sulla nostra appartenenza all’Unione in quanto basata su trattati internazionali, e che la procedura di uscita dalla stessa Unione previsto da un complesso articolo 50 del Trattato di Lisbona comporterebbe per l’Italia difficoltà drammatiche e in buona parte insormontabili, non tanto per impedimenti giuridici ma per il prevedibile e spietato assalto di tutti quei poteri nazionali e sovranazionali che dall’Unione traggono oggi enormi benefici materiali. Ma perché non provare almeno a parlarne? Magari ipotizzando diverse architetture istituzionali per un pachiderma europeo ormai incontrollabile?

Oppure dobbiamo credere ad ogni costo a una nostra condanna perpetua all’appartenenza europea, o almeno a questo tipo di appartenenza europea? Appartenenza ad una istituzione che non ci ama e che non perde occasione di attaccare le nostre peculiarità più belle e significative, sopratutto quelle produttive, radicate nella storia di un popolo che, per secoli, ha probabilmente dato al mondo più di quanto ha ricevuto.

In fondo, se proprio vogliamo essere antipatici e irrispettosi, ricordiamo che Roma ha come simboli il Colosseo, la basilica di San Pietro, la Cappella Sistina e Bruxelles il Manneken pis, una statuetta in bronzo alta cinquanta centimetri raffigurante un bambino che fa la pipì...

Vorrà pur dire qualcosa.

Civico20News

Elio Ambrogio

 Vicedirettore

 

 

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Articolo pubblicato il 12/03/2023