Sapere di non sapere è un presupposto salutare …

… per evitare di scoprire in malo modo quali danni derivano dalle nostre presunzioni in merito alle cose, ponendo sempre la dovuta attenzione a qualunque situazione ci venga proposta o imposta dalla vita al fine di farne esperienza per sviluppare coscienza!

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 69 del 04.01.2022 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°2.

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Non solo il fuoco brucia, ma anche il ghiaccio, e ci può essere una temperatura ambiente di molti gradi sotto zero nonostante il sole splenda alto nel cielo inviandoci i suoi caldi raggi come sempre. Un uomo grande e grosso può essere impedito nei movimenti ed incapace di difendersi da aggressioni esterne, mentre un gracile vecchietto può rivelarsi un raffinato maestro di arti marziali e sorprenderci per la sua capacità di sfuggire al pericolo incombente. Così, il più delle volte, scambiamo per amore una relazione malata tra genitori e figli, o tra partner, e un falso sorriso per una rassicurazione certa. Oppure siamo convinti che alcuni comportamenti, non in linea con il pensiero comune, siano evidenti prove di errore o almeno di insensibilità, mentre sono segnali misconosciuti di un vero amore che non siamo in grado di cogliere per nostra ignoranza o comodità. E quindi …

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Il capitolo famiglia non finisce nei primi anni di vita. Man mano che l’individuo va avanti tutti quei processi che si sono iniziati a sviluppare attraverso le varie relazioni con i componenti della famiglia si allargano a tutti i componenti che via via entreranno nell’orbita delle relazioni di questo nuovo individuo. Per esempio prendiamo il contesto “asilo”. Se al posto di affidarlo ai nonni mettiamo questo bambino all’interno di un asilo, l’esperienza sarà completamente diversa. Non tanto per i valori, perché potrebbero trovare nell’asilo persone che hanno l’età dei loro nonni, visto che lo si può diventare anche sotto i 50 anni, e quindi una pari esperienza, ma perché in quel caso quei nonni non saranno soli, i soli interlocutori e riferimenti, e soprattutto anche l’individuo, quel bambino, si troverà all’interno di un gruppo eterogeneo di altri bambini che tenderà, comunque e sempre, a diventare, per tutto il tempo in cui questi bambini sono riuniti insieme nello stesso spazio e tempo, un “supercorpo”, un corpo unico avente caratteristiche proprie, con capacità di interagire diversamente dal singolo bambino, sia verso sé stesso che verso i suoi componenti e il contesto in cui si trova. Un corpo unico in grado di sovrastare e guidare l’attività del singolo bambino, anche quando questo cerca di ribellarsi. Infatti pur avendo quest’ultimo le proprie caratteristiche ed inclinazioni comportamentali, dovute al carattere, al proprio piano di vita che dovrà svolgere, alla propria eredità sanguigna famigliare, dovrà però soggiacere dalla forza del gruppo che si è temporaneamente costituito e che lo domina. La forza del gruppo sovrasterà sempre quella del singolo. Si dice che l’unione fa la forza, sia nel male che nel bene, in ogni circostanza, negativa o positiva. E qui si possono osservare due diverse direzioni di reazione del singolo, ovvero la sua immediata integrazione nel flusso generale degli avvenimenti e attività del gruppo o nel rifiuto di questa possibilità. Sappiamo di non essere tutti uguali, sappiamo che i tempi e i modi di reazione sono diversi per ognuno di noi, che interpretiamo le cose in modo diverso gli uni dagli altri, ma questo è il primo degli approcci pratici che ci fanno comprendere che le relazioni con gli altri sono costantemente variabili. Varia la relazione con i propri genitori, varia verso il contesto famigliare, varia con le componenti operative dell’asilo, e continuerà a variare in ogni circostanza che via via si presenterà lungo il corso della vita, innestandosi nelle relazioni verso quell’individuo ed anche di quell’individuo verso tutte le relazioni in cui è coinvolto e si porta appresso. In poche parole si può dire che più andiamo avanti nella vita e più tutto si complica ed ingarbuglia. Perché è fuori discussione che, nel corso del tempo, le relazioni si modificano non solo attraverso quell’individuo ma anche in sé stesse, indipendentemente da lui. Per esempio tra i suoi genitori e all’interno dell’asilo tali relazioni gestiscono il gruppo dei bambini. Già solo questo ci può far comprendere che se noi non conosciamo le regole naturali ancora prima che nasca una vita e dopo il suo inizio, e non le abbiamo chiare davanti alla coscienza, rischiamo di procurare danno ad ogni nostra azione. Perché noi siamo convinti che tutti seguano le regole di cui noi siamo certi e quindi cerchiamo di scambiarci attraverso quelle modalità che sono in stretta relazione con quelle regole, mentre in altri ambienti esistono regole differenti che si basano su presupposti differenti e su conoscenze differenti. Tanto è vero che per una persona che lavora all’asilo, molte delle quali hanno studiato e seguito corsi di formazione, è chiaro come si deve interagire con bambini che non hanno ancora la possibilità di relazionarsi compiutamente con un adulto nelle modalità di un adulto, mentre per un famigliare un bambino di tre anni è semplicemente un bambino di tre anni. È un’entità ancora evanescente e da costruire. In realtà non è così: quel bambino è precostruito prima ancora di nascere e cerca di usare ciò con cui è stato costruito per fare le proprie esperienze e poi semmai cambiarle di propria volontà e non quella di altri. Ma per poterle cambiare deve potersi confrontare in una maniera comprensibile, sia a sé stesso sia agli altri. Altrimenti il primo grosso problema che ne deriva è che quel bambino verrà classificato ed etichettato in un modo che poi si porterà addosso per molti anni nella propria vita e forse per tutta la vita. Quando per esempio si dice che un bambino non obbedisce o è aggressivo si tende infatti a parlare di questo bambino sempre in questi termini, cioè della sua aggressività o disobbedienza, o di altre specificità comportamentali temporanee come se fossero assolute e permanenti. Anche se si ignora il fatto che queste caratteristiche abbiano senso di esistere in lui o possano essere transitorie. Vorrei vedere cosa farebbe uno di noi se, dovendo andare in una certa direzione, fosse sempre invece tirato in una direzione diversa da chiunque incontri. Come potrebbe starsene sempre tranquillo? A non cercare di reagire dopo continue vessazioni? Se deve andare da quella parte e quella è la sua meta vitale, quale ragione c’è di continuare a volerlo tirare di qui o di là o da un’altra parte? Soprattutto pensando bene, come già detto, che non esiste “mio figlio”. Semmai “i miei genitori”. “Mio figlio” non esiste! È solo una convenzione che ci ricorda che siamo stati noi lo strumento che ha usato per nascere qui. È solo il modo in cui una società gestisce convenzionalmente le relazioni tra i suoi componenti che le hanno approvate e sottoscritte. Ma se andate a vedere in alcuni villaggi dell’Africa o dell’Asia potrete osservare che i bambini sono figli del villaggio e non della coppia attraverso la quale sono venuti al mondo. Non voglio dire che una cosa sia meglio di un’altra, ma solo far comprendere che l’osservazione delle cose ci rende più chiaro perché stanno avvenendo determinati comportamenti e come, se si vuole intervenire su di essi, cosa possibile, occorre farlo tenendo conto della realtà delle leggi che governano questi comportamenti e queste relazioni. In qualunque altro modo interveniamo creeremo sempre più problemi che soluzioni (aggravando ulteriormente il karma personale e collettivo).

 

Da quello che stai illustrando adesso si coglie l’idea che, in maniera volontaria o involontaria, stiamo andando da un’altra parte rispetto a quello che sarebbe auspicabile. Ma poiché ciò è espresso dagli uomini, cioè dal genere umano, non è in fondo anche questa una strada? Scusa il paradosso ma è solo per capire meglio. Non è forse anche questo un modo per cambiare qualcosa? Oppure è una sciocchezza?

Sono due domande in una. Alla prima si può dire che in qualunque modo si proceda ed in qualunque direzione, prima o poi arriverai comunque alla meta. Magari impiegando 200 volte il tempo necessario e facendo una fatica immane per poter esprimere ciò che ti è chiesto di esprimere! Per questo a volte un programma di vita viene espresso non in una sola vita, ma in molteplici vite. Se le cose sono troppo ingarbugliate, non importa quale ne sia il motivo, può esserci bisogno di molte vite per risolvere la situazione. Come in una risoluzione algebrica se non usi l’espressione corretta per trovare la soluzione puoi fare tutti i tentativi che vuoi, e forse tra di essi ci sarà anche quello giusto, ma impiegherai molte più risorse energetiche e temporali per giungervi. L’altra cosa è dovuta invece al fatto che, chiaramente, comprendendo quello che ti sta succedendo, eviti di continuare a mettere le tue energie in tutte quelle attività che a priori ti dicono da sé stesse che potrebbero essere evitate, potrebbero essere evitate non solo perché evitarle è la strada più semplice, ma perché qualcuno prima di te le ha già vissute, metabolizzate, e te le ha trasmesse, in sintesi ed essenza, attraverso quella banca dati e quel sangue famigliare. Per cui similmente a come ricevi un’eredità fisica dal sangue della famiglia dei tuoi genitori, così accade per tutti i trascorsi esperienziali. Quindi diciamo che se tu sei andato in guerra tra il 1915 e il 1918 e questa informazione è presente nel tuo sangue o perché la hai ereditato da tuo nonno, a livello magari ancora poco cosciente, il tuo intero sistema sa cosa questo significa, cosa significa andare in guerra; non c’è più bisogno di andarci nuovamente per comprenderne tutte le implicazioni e il rischio di morire se prendi una pallottola dritta in testa. Non occorre fare nuovamente quella esperienza. La tua coscienza dovrebbe essere in grado di elaborare i dati che le pervengono attraverso il sangue e attraverso la banca dati generale delle informazioni circa le esperienze di vita umane analoghe. Arriverai sempre là dove devi arrivare, poiché nulla va sprecato, ma una cosa è andarci più comodamente ed un’altra doverlo fare in mezzo a mille peripezie. O ripetendo centinaia di volte le stesse lezioni o esperienze per capirne il senso (che è invece ciò che facciamo quotidianamente). Noi lo troveremo sempre chiaro ed evidente. Basti pensare all’ambito delle violenze che accadono in famiglia. Per chi ha dimestichezza con le documentazioni che arrivano in tribunale, o a tutte le associazioni che se ne occupano, in relazione ai reati di questo genere, relative per esempio alla violenza sulle donne, è facile trovare dossier nei quali vengono riportate episodi di violenze simili accadute in tempi diversi alla stessa persona, in ambiti diversi, con partner diversi. Nel corso della vita di quella donna sembra che siano fatti ricorrenti, quasi come se fossero una caratteristica che si porta appresso, da sperimentare ripetutamente. Esce da una situazione di violenza e subito dopo entra in un’altra relazione dalle medesime caratteristiche. Qualche volta fino all’epilogo definitivo. La cronaca li definisce casi di tragedia annunciata. Che cosa vuol dire? Che quella donna era stupida per non aver mai capito cosa sarebbe successo di nuovo? No di certo! Anche noi se ci bruciamo toccando una fiamma quando ancora non avessimo fatto tale esperienza e nessuno ci avesse messo in guardia non lo avremmo fatto perché siamo stupidi, ma solo per ignoranza, perché non conosciamo tale situazione e le sue conseguenze. Non sapevamo cosa comportasse toccare una fiamma. Ma prima di apprendere questa lezione in tutte le sue possibili accezioni ed essa divenga possesso attivo della nostra coscienza, probabilmente ci bruceremo ancora in altre condizioni, magari molto dissimili da quanto abbiamo esperito. Per esempio perché non vediamo una fiamma che ci avrebbe allertati e quindi non pensiamo che una piastra metallica di acciaio riscaldata dall’interno possa bruciare tanto quanto una fiamma e, toccandola, non importa per quale ragione, ci bruceremo un’altra volta. Allora cominceremo a capire che sia una fiamma che una piastra di ferro o l’esposizione prolungata al sole finiscono per produrre lo stesso effetto. Una bruciatura. Funziona così anche per le esperienze dell’umanità. Dentro questa banca dati ci sono tutti i possibili modi di bruciarsi. Ora, se noi siamo attaccati, collegati, a questa banca dati, abbiamo avuto dei famigliari o degli avi che si sono bruciati, quando ci troviamo in condizioni più o meno simili, anche se non abbiamo chiara l’idea che una cosa possa bruciare, facciamo comunque attenzione, mentre ci avviciniamo ad essa, a captare eventuali segnali in merito al messaggio: attenzione, anche se non ci sono segni evidenti che questa cosa possa bruciare come altre, meglio prendere le precauzioni del caso per evitare di scoprire un’altra cosa che brucia, senza essere preparati a tale evenienza. Nel nostro comportamento normale questo non esiste. Nel nostro comportamento, così come pensiamo di essere eterni, di vivere una vita eterna, noi pensiamo di conoscere tutto a prescindere dal fatto di fare attenzione e capire quali sono i segnali emanati dalle cose che, a dispetto di quello che crediamo, ci sono invece sconosciute, di cui non sappiamo niente. Sembra una banale ovvietà, invece è la realtà, invece è pratica quotidiana che si ripete ogni giorno simile a sé stessa.

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prosegue nei prossimi articoli …

 

foto e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 23/03/2023