Ma come fai a non capire quello che ti dico?!

La ricerca del modo, emozionalmente e razionalmente corretto, di comunicare, ci rende sempre più isolati e stupidi a causa dell’ignoranza del meccanismo distorto che mettiamo inconsapevolmente in atto a tal fine.

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 69 del 04.01.2022 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°3.

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Anche se il concetto è duro da digerire per la nostra autostima, la cruda realtà ci mostra, in modo incontrovertibile, che più ci sforziamo di affinare e rendere maggiormente efficace il nostro modo di comunicare, più l’effetto prodotto è il suo esatto contrario. Più cerchiamo di puntualizzare questo o quel concetto, mediante una scomposizione e semplificazione dei suoi contenuti, più ci allontaniamo dalla sua comprensione essenziale e ci distraiamo dalla visione del quadro complessivo e del suo significato. Il risultato di questo sforzo per comprendere, dato per scontato che sia correttamente naturale, è l’incapacità di comprensione della sia pur minima cosa. Figuriamo allora cosa accade quando un bambino appena nato e un genitore si incontrano su tale piano!

 

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Non sappiamo niente, non capiamo niente, non ci accorgiamo dei segnali che questo tutto, la appena giunta giovane vita, ci invia continuamente e andiamo avanti come insensati, sbattendo qua e là senza poterci fare niente e prendendocela con chi o che cosa ci aveva ben avvertito della sua presenza, ruolo e funzione. Nella famiglia, verso la persona nuova nata, ciò è ancora più evidente. Quello che nasce è un universo completamente diverso dal nostro, un universo che ha le sue regole, il suo scopo, e manda i suoi segnali di presenza ruolo e funzione ai quali, non comprendendone aspetti e contenuti, rispondiamo come meglio crediamo. Un universo che comunica mediante canali che dovremo aver imparato a conoscere, cioè quelli dei legami di sangue e quelli della banca dati delle esperienze di tutta l’umanità e non solo attraverso il nostro canale personale specifico di quel momento che per noi è considerata assolutamente la sola lingua di interscambio esistente per tutti. Invece dovremmo conoscere anche quei due canali comunicativi perché il nuovo nato, per un tempo più o meno lungo, ci parlerà solo ed esclusivamente attraverso di essi. Poi, un po’ per volta, imparerà anche lui la nostra lingua.  La nostra lingua, cioè una modalità di comunicazione selettiva e riduttiva. Perché avrà imparato a riconoscere in quale modo noi ci esprimiamo, tra i miliardi di possibilità presenti nella banca dati sempre a sua e a nostra disposizione. Avrà imparato e compreso che noi possiamo comunicare solo in quel modo limitato, condiviso con quella comunità, anch’essa ristretta e limitata, entro la quale entrambi viviamo. Avrà trovato il denominatore comune, il codice di comunicazione (anche verbale, ma non solo). Una modalità talmente limitativa da renderci tutti più stupidi. Chi per esperienza lavorativa ha necessità di rispondere a queste esigenze in termini di sicurezza comprenderà facilmente cosa ciò comporti nella pratica, ovvero cosa accade quanto più cerchi di dare sicurezza, nei due sensi, ad una azione che deve prevedere una conseguente reazione e produrre con certezza ciò per cui un meccanismo è stato ideato. Allo stesso modo accade per noi. Alla fine, all’interno di una famiglia si comunica solo attraverso pochissimi canali e si forniscono solo poche informazioni basiche (e il più delle volte distorte ed incomplete) mediante pochissime espressioni (le famose regole di quella famiglia, tipo “questa casa non è un albergo”, “qui comando io”, “fino a quando abiti qui queste sono le regole”). Riducendo la famiglia ad un’anteprima, un assaggio, di una prigione che diventerà sempre più selettiva e chiusa in sé stessa nelle relazioni con altri ed ad altre relazioni. Se con la tua famiglia potrai avere 10 punti in comune, con la scuola scoprirai di averne solo 3 (l’indirizzo scolastico) e con la società solo 1 (ti è permesso di fare così come dice la legge e basta). Mentre te ne occorrerebbero almeno milioni, che potenzialmente potresti già avere di base, ma che si sono continuamente ridotti per effetto della ricerca di un denominatore comune con famiglia e istituzioni. Cioè un potenziale infinito ridotto a semplice risposta programmata. Un potenziale infinito, presente anche nel più scadente degli esseri umani, ridotto in funzione della prevedibilità e gestibilità. Una situazione che conduce all’invecchiamento e alla limitazione, foriera di malattie e disordine.

 

 

Anziché creare condizioni più coerenti per la vita. Tanto è vero che questo tipo di attività ha prodotto tutto lo sforzo che l’essere umano ha fatto nell’esprimere fuori di sé tutte le sue possibilità implicite, trasformandole in strumenti utilizzabili al di fuori per alleggerire, diciamo così, la propria responsabilità diretta nel fare in maniera cosciente le cose. Se voglio comunicare con te in maniera normale, non disponendo né di questo sistema né di un telefono, devo alzarmi da qui e venire presso di te fisicamente per parlarti. Però è molto più comodo farlo così, attraverso quei dispositivi. In realtà facendo così io perdo però un aspetto estremamente importante della relazione, perché quando con te entro quei 16 metri di diametro della nostra cabina, quella che gira sulla giostra come abbiamo detto, mentre noi ci stiamo parlando, anche di calcio o del tempo che fa, in realtà questi due sistemi, che sono il vero essere umano, si scambiano tra loro continuamente dati ed informazioni, oltre a tutto ciò che noi non siamo neppure in grado di pensare, come se due universi si stessero portando allo stesso livello, si equilibrassero reciprocamente, entrassero in sintonia, trasferendosi tutte le informazioni presenti dentro l’uno o l’altro universo. Cosa che in questo momento non si può fare in quel modo. Si può anche fare, ma richiede uno sforzo di gran lunga superiore. Per esempio se affidassi quello che vi sto dicendo adesso solo alla comunicazione nel modo in cui si sta svolgendo, ovvero solo attraverso le parole e l’immagine video correlata mediante il computer, al vostro essere più profondo, potrebbe benissimo essere che queste parole giacciano all’infinito dentro di voi senza produrre alcunché, perché niente le attiva. Come quando si beve un bicchiere d’acqua che, finito il suo compito primario, viene espulsa nell’ambiente circostante. Ma se invece volete leggere le righe scritte che vi mando in un secondo tempo e fate lo sforzo fisico necessario per farlo, di prendere il foglio su cui sono scritte, di prestarvi attenzione, richiamate tutto quanto e lo riattivate attraverso il lavoro della vostra coscienza, insieme a tutto quanto è in relazione con quelle parole, è legato ad esse. Leggendo anche solo una frase tra le altre, richiamate dall’inconscio tutto ciò fino al confine con la coscienza, anche se non ve ne rendete conto, coscienza che man mano lo attirerà dentro di sé elaborandolo e metabolizzandolo. Ciò avviene perché mentre questo parlare è estemporaneo, cioè è come se stessimo suonando in una orchestra e terminato il brano tutto si concludesse e svanisse, la scrittura è come la sua registrazione attraverso un mezzo fisico materiale concreto, replicata e portata ad un piano di coscienza differito nel quale possa essere riconosciuta dopo essere stata elaborata e metabolizzata nel profondo. Così come facciamo per la maggior parte delle nostre esperienze, meno quelle che pensiamo non funzionino così. Invece funzionano tutte proprio così. Quando si afferma “mio figlio fa così perché vuole quello” noi abbiamo improvvisamente, da una possibilità infinita, ridotto tutto ad uno schema che potrebbe non essere quello corretto ma, così facendo, lo imponiamo come se fosse l’unico possibile. È chiaro che in una società questo modo di agire diventa più semplice da gestire, ma sbagliato. Semplicemente sbagliato. Così attraverso questi meccanismi vediamo cosa si produce come automatismo comportamentale all’interno della società. Nella quale si dice e si opera di tutto e il contrario di tutto, non c’è mai niente che va bene, ciò che va bene ad uno non va bene per un altro, oppure il giorno dopo è contestato proprio da chi l’ha promosso il giorno prima e così via. C’è di tutto e non si capisce bene come mai c’è questo differimento di comportamento quando noi siamo certi che il nostro comportamento è giusto; com’è allora che gli altri non fanno come me? Solo che tutti pensano così! Quindi ognuno pensa che siano sempre gli altri ad essere in errore. Ma gli altri degli altri siamo noi. Allora siamo tutti in errore mentre pensiamo di essere nel giusto!

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prosegue nei prossimi articoli …

 

foto, schema e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 25/03/2023