Brutto figlio di …

… genitori ignoranti e presuntuosi, tanto più pericolosi quanto più convinti, in buonafede, di essere esattamente il contrario!

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 69 del 04.01.2022 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°4.

--------------------------

I figli comandano i genitori; i genitori si dividono e tornano dai rispettivi genitori; i figli sono come nonni; i genitori non son vigili; i nonni fanno i vigili; i vigili multano i giovani; i giovani fanno pagare i genitori; ... e tutto gira ordinatamente ... nel caos più assoluto! Ruoli e funzioni diventano confusi e inservibili quando vengono abbandonati nel nome di una presunta libertà di agire, individualmente centrata su sé stessi in modo indiscutibile.

--------------------------

Guardiamo ciò che riteniamo giusto da un punto di vista differente da un altro e limitato dal nostro stato di coscienza. Inoltre ognuno di noi ha messo insieme in maniera distorta, perché filtrata dalle nostre possibilità di comprendere, tutte le informazioni disponibili, sia quelle corrette che quelle non corrette, perché le abbiamo archiviate senza rendercene conto quando ancora non erano complete, terminate, oppure le avevamo elaborate in maniera non corretta, manipolate unilateralmente. Al di là di farsi delle domande sul trascendente, anche solo farsene alcune su quello che ci tocca da vicino tutti i giorni non è un dato scontato, non è così semplice; non ce le può risolvere uno specialista, ce le dobbiamo risolvere noi. Cercando di capire quale è la lingua parlata da quella cosa con la quale noi vogliamo metterci in relazione. E non cercare di far parlare quella cosa nella nostra lingua. Se pensiamo a cosa facciamo fare ai bambini, quando ancora si muovono in maniera scoordinata, facendogli suonare davanti al viso i sonagli oppure assumendo atteggiamenti ed espressioni facciali, parlando a loro come fossero stupidi o mentecatti, non ci rendiamo conto di cosa stiamo facendo, di quale esempio e riferimento stiamo cercando di imprimere in loro. Senza neppure prendere in considerazione che stiamo cercando di comunicare con una entità che arriva da un altro universo e che dovremmo cercare di stabilire con lei delle relazioni ed un ponte comunicativo che abbia un senso e sia comprensibile ad entrambi. Ma se quelle che mettiamo in atto in tal modo speriamo che siano relazioni sane e corrette possiamo capire da soli cosa stiamo realmente facendo: stupidaggini! Che saremo costretti a pagare e a far pagare con gli interessi, aggiungendole al karma. Il guaio è che questa modalità la trasferiamo anche verso gli adulti, pensando di aver fatto bene con i piccoli. Cioè continuiamo a cercare di comunicare suonando sonagli e facendo boccacce in modo apparentemente più serio, meno giocoso, ed invece sempre più incomprensibile. Ma, credendo di fare cose giuste allo stesso modo in cui crediamo di farle nel contesto in cui viviamo, come alcuni tra noi hanno potuto osservare, traslandole in qualche zona del Medio Oriente, può essere controproducente e pericoloso fino al punto di condurci in prigione o condannati a morte. Anche se non ne comprendiamo i motivi.

 

Ottimo esempio! Confermo!

 

Figuratevi allora quanto più ciò possa valere nei confronti di chi arriva da un altro universo e non solo da una parte diversa della nostra terra.

 

Infatti in ogni parte della terra esistono barriere mentali e culturali nei confronti del prossimo, al prossimo di un altro stato, di cui tu sai di avere cose diverse. Tu sei forse portato a considerarle e le applichi a ciò che stai illustrando ora.

 

E se pensi che tuo figlio, anzi, quella nuova incarnazione di quella entità, che tu chiami “tuo figlio”, potrebbe essere la continuità di un essere vissuto circa 700 anni prima in Asia o in Africa o su un altro pianeta, forse qualche domandina in più dovremmo farcela.

 

Diciamo che non è un concetto proprio semplice da assimilare, no? Specialmente per le ultime dieci parole che hai detto. Raccolgono, riassumono sinteticamente una roba enorme.

 

Appunto! Però quella roba enorme noi tendiamo a semplificarla o ignorarla del tutto. Tendiamo ad identificarla in una cosa vivente che fa la cacca nel pannolino ed il nostro compito è solo cambiarlo e lasciarlo riprendere a sgambettare come prima.

 

Chiaro!

 

È solo perché tutto questo è una questione di gusti!

 

Certo! Ma non tutti i gusti sono alla menta. Forse dovremo renderci conto che in tutto questo c’è ben altro. Che la complessità dell’umanità e dell’essere umano, della vita sulla terra e nell’universo, non si riduce ad un pannolino da cambiare, no? Anche se ha la sua ragione d’essere. Cerchiamo di capire cosa si concentra in quella cosa così apparentemente limitata che stiamo considerando ancora più in modo limitato. Bene, lasciamo da parte le cose più astruse che abbiamo raccontato nella prima parte di questi incontri e, come avevo promesso, occupiamoci delle cose pratiche, con qualche digressione nelle prime. Ora il bambino si trova a frequentare un asilo. Si trova ad avere delle relazioni con qualcosa che assomiglia ai propri nonni o ai propri genitori perché hanno le stesse fattezze, hanno voci simili, comportamenti simili, ma con una variabile ancora più grande. Mentre con i nonni o i genitori egli era solo, e quindi poteva tentare di forzare attraverso i corpi sottili la loro capacità di intendere e volere a proprio favore, ora si trova con altri 12-15 simili a lui che tentano di fare la stessa cosa. Nessuno più dà retta solo a lui. Quasi non lo vedono neanche mentre si sforza di attirare a sé ciò che gli sta intorno come poteva fare con i suoi nonni o genitori. I suoi segnali, che hanno sempre funzionato, non vengono recepiti o, se lo sono, producono reazioni solo secondo una priorità gerarchica quasi del tutto non modificabile. Si trova immerso in un ordine diverso dove deve aspettare il suo turno e neppure è sicuro che esso possa giungere. Non sa più se i suoi bisogni verranno soddisfatti. Cosa succede allora? Questa insoddisfazione, questo stato perturbato, al ritorno a casa dai genitori, attraverso i legami di sangue, li trasferisce, o si trasferiscono, ai suoi genitori, i quali, senza sapere né come né perché, diventano la cassa di risonanza dell’effetto la cui causa non si sa da dove arrivi e diventano più nervosi e si sfogano senza accorgersene sulla fonte da cui sembrano scaturire gli impulsi che scatenano tale stato d’animo. Il bambino. Il quale si chiede come mai viene trattato peggio a casa che all’asilo, senza comprendere quanto il suo ritorno a casa abbia portato scompiglio in un certo equilibrio, ritrovato in sua assenza. Macello cosmico! Figuriamoci quando ciò avviene a livello scolastico in cui l’alunno, che ha già vissuto alcuni anni in più del bambino dell’asilo, è in grado di comunicare direttamente ai genitori ciò che la maestra gli ha detto o gli ha fatto. I genitori sentono questo come un affronto fatto a loro stessi e prendono il primo oggetto che passa loro per le mani, mentre si sentono montare il sangue alla testa, vanno dall’insegnante e, prima ancora di parlare o di lasciarlo parlare, lo aggrediscono cercando di cambiargli i connotati. Dopodiché finiscono per confrontarsi davanti ad un ufficiale di polizia per sporgere denunce reciproche. Noi non ci stiamo più rendendo conto che generiamo conflitti ad ogni passo che facciamo. Sempre con la migliore delle intenzioni. Per esempio per ottenere giustizia o riconoscimento del proprio valore o immagine (privata o pubblica non importa). Siamo diventati incapaci di intendere cosa ci viene chiesto e volere di conseguenza quello che occorre fare. Ma vogliamo che tutti gli altri si rendano conto di ciò che gira dentro di noi, anche se non siamo capaci di esprimerlo, e soddisfino i nostri bisogni e desideri, anche se li esprimiamo in modo distorto e incomprensibile.

 

Scusa stavo riflettendo sulla questione della scuola perché essendo stato prima figlio e poi genitore ho avuto la percezione, anche confrontandomi, che negli ultimi 40 anni questo equilibrio tra, diciamo, l’autorità, … la maestra unica, che quando ero ragazzino si potesse arrivare a casa dicendo quello che la maestra aveva detto e che qualcuno a casa prendesse le tue difese, sia mutato. C’era una chiara distinzione e questo secondo me negli anni un po’ è rimasto. Ho visto un certo cambiamento, c’è stata un’accelerazione in questa incapacità di gestire gli equilibri (…tra i ruoli-ndr). Basta vedere cosa accade intorno a noi.

 

Intervento molto interessante che mette in evidenza un aspetto sempre più evanescente ma che, invece, dovremo necessariamente recuperare se vogliamo che le cose vengano viste nella loro interezza e siano in grado di fornirci al contempo la capacità di interagire. In pratica, quello che è stato evidenziato nell’intervento, è ciò che viene detta struttura gerarchica. Ovvero c’è un aspetto, concettuale e operativo, riconosciuto come facente parte di una gerarchia funzionale ed essenziale, al quale ci si riferisce, riconoscendone l’autorità. Che è diverso dal delegare, … attenzione! Riconoscere una gerarchia di tale tipo è come asserire che io posso avere un bicchiere d’acqua pieno a distanza di braccio e, avendo sete, non posso fare altro che allungare il braccio riconoscendone la priorità funzionale per raggiungere il bicchiere e portarlo alla bocca per bere. Se non riconosco l’autorità di questa funzione e sono legato ad una sedia (il mio ruolo e funzione) pur potendo raggiungere il bicchiere non lo farò, non potrò farlo, perché non vorrò usare il braccio per raggiungerlo e, non potendolo raggiungere direttamente con la bocca, morirò di sete. Oggi l’idea di libertà sembra dire che l’idea di gerarchia di ruoli e funzioni non sia più riconoscibile né auspicabile, anche se non si vede come possa essere sostituita diversamente, non ne abbiamo idea, semplicemente la usiamo se ci fa comodo, ma in caso contrario la neghiamo o combattiamo, in entrambi i casi a sproposito, senza ragione sostenibile, per capriccio o reazione animale automatica. Non vogliamo riconoscere la funzione gerarchica; il che non vuol dire farsene dominare, ma semplicemente riconoscerne la necessità funzionale. Se non siamo noi i primi ad essere capaci di educare un figlio (… e, obbligatoriamente, prima ancora noi stessi), come si può pretendere che lo faccia un altro al nostro posto, poiché quell’altro potrebbe essere nelle nostre stesse condizioni (o addirittura peggiori visto che noi ci consideriamo inconsciamente sempre migliori e più capaci degli altri, quindi qualsiasi altro è inferiore a noi in ogni ruolo e funzione, educazione compresa). Non solo, ma se riconosciamo che ha tanta autorità quanta ne abbiamo noi, dobbiamo altrettanto riconoscere la delega per farlo al posto nostro; allora dobbiamo almeno starcene zitti! E invece dovremmo guardare dentro noi stessi che cosa dobbiamo modificare in noi per modificare di conseguenza tale relazione. Significa che se non ci va bene quello che quella persona ha fatto nei confronti di nostro figlio, dobbiamo farlo noi. Noi dobbiamo farci carico di quelle parte dove l’altro non arriva. Non si può pretendere che lo faccia l’altro se abbiamo riconosciuto in lui il limite che è anche il nostro e quindi dovendo, o avendo dovuto, intervenire su noi stessi per andare oltre. È chiaro questo meccanismo? Stiamo ritornando a quegli aspetti della attrazione gravitazionale e divisione polare, ovvero il figlio che ruota intorno a noi, attratto da noi quali elementi gravitazionali, si relaziona con noi attraverso le polarità inverse. Lo stesso può fare con altri, ma è chiaro ed evidente che per lui il pianeta che ha la massa maggiore siamo noi. Siamo noi ad esercitare in primis la maggiore attrazione gravitazionale, di ordine polare inverso, e che quindi possiamo lavorare su questi aspetti cambiando le caratteristiche dei nostri poli e di conseguenza facendoli cambiare a nostro figlio. Senza intervenire direttamente su di lui. Intervenendo su di noi, proprio per questa dinamica, anche nostro figlio è obbligato a cambiare. Che lo voglia o no, che lo sappia o no, cambierà. Tutto ciò in pedagogia è conosciuto e viene insegnato senza dover spiegare tutti questi principi e passaggi. Semplicemente si insegna a farlo. E alcune persone che si occupano di bambini lo sanno fare abbastanza bene, ma senza sapere le ragioni profonde di quanto stanno facendo. Sono stati istruiti così, quasi ammaestrati, e lo fanno automaticamente. Istruiti come si istruisce una scimmia a guidare un razzo. Lo farà benissimo, perfino meglio di qualcuno di noi, ma resterà una scimmia e non imparerà a fare altro deducendolo dalle cose che le sono state insegnate.

------------------------

prosegue nei prossimi articoli …

 

foto e testo

pietro cartella

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 26/03/2023