Tutti insieme appassionatamente collaborativi …

… invece di separatamente ghettizzati dalle convenzioni e dalle paure.

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 69 del 04.01.2022 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°7.

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Se un bambino è diverso da un altro, cosa che naturalmente non può che essere normale, ci preoccupiamo subito di dargli un insegnante di sostegno; se qualcuno patisce diversamente da un altro uno stato patologico, cosa che naturalmente non può che essere normale visto che siamo tutti diversi uno dall’altro, corriamo immediatamente a creare un’associazione che se ne occupi; se lo scadimento della nostra capacità di intendere e volere, cosa che magari non deve essere così naturalmente scontata, ci porta ad agire come automi fuori controllo, allora ci assicuriamo contro le azioni moleste indotte dalla nostra stessa natura degenerata. Siamo così fecondi di trovate inutili per cercare di risolvere, in modo assurdo, situazioni che sarebbero già risolte in se stesse, se solo la smettessimo di intervenire sempre più nello specifico, nel dettaglio, perdendo così di vista il senso dell’insieme.

 

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Ti anticipo qualcosa di ciò che vorrei chiederti per la prossima volta. Trovo interessante e scardinante questa idea che una crescita scolastica pedagogica ideale sia quella di considerare di mettere insieme bambini, ragazzi di età diversa, cosa che è del tutto estranea alla nostra educazione in merito. Ti chiedo quindi di approfondire questa cosa. Perché per me è nuova; non ho mai pensato a questa possibilità. Sì, devo ammettere che ho visto alcune volte giocare insieme, o lavorare, alcuni bambini di età diversa ed ho visto che effettivamente gli uni possono imparare dagli altri, ma poi, ad un certo punto, si viene appunto sempre presi dal desiderio di separare per rispondere a quelle che si presumono siano esigenze diverse proprio in base alle età diverse. Quindi ti chiedo di approfondire questo argomento che hai appena introdotto.

 

Lo farò necessariamente perché è essenziale e lo vedrai capitare a breve. Lo sentiamo come una cosa nuova ma non è una cosa nuova: una volta accadeva così. Ma per lasciarci con un aneddoto tratto dall’esperienza diretta racconto quanto mi è accaduto. Molto tempo fa, appena sposati, sono passati quasi 50 anni, abitavamo a Torino vicino alla Fiat, e davanti al condominio dove abitavamo c’era un piazzale di parcheggio per le auto proprio sotto le finestre della nostra abitazione al piano terreno. A quel tempo avevamo come mezzo di locomozione un pulmino VW veramente disastrato, una cosa inguardabile, che aveva un buco nel pianale grosso come un tombino da cui entrava acqua, sparata dalle ruote, e dei buchi vicino alle gronde del tetto da cui pioveva all’interno dell’abitacolo. Un giorno, preso dalla pietà e dal desiderio di metterci qualche pezza, mi misi sul piazzale a fare delle riparazioni, dopo aver tirato il cavo elettrico dalla finestra e portato la cassetta degli attrezzi che servivano allo scopo. Intanto intorno un sacco di bambini giocavano in vario modo, facendone di tutti i colori. Fino a quando uno di essi si tolse dal gruppo e venne a vedere cosa stessi facendo. In verità c’era anche un signore, mio vicino di alloggio, ma che se ne stava solo in osservazione dalla finestra di casa sua scuotendo ogni tanto la testa in segno di disapprovazione del mio operato, inutile a suo dire. Il bambino invece, dopo aver osservato per un po’ di tempo cosa stessi facendo, prese un attrezzo dalla cassetta e me lo porse. Lo ringraziai e lui si fermò ancora chiedendomi come potesse aiutarmi diversamente. Gli chiesi di passarmi quella cosa fatta in un certo modo, simile a forbici, utile per una certa operazione che gli mostrai. E lui la prese senza sapere il suo nome tecnico (una pinza). La riconobbe attraverso la spiegazione. Me la portò. Io feci ciò che dovevo fare con quell’attrezzo. Mentre stavo operando mi girai per un istante e vidi che altri due bambini si erano aggiunti in osservazione. Anche loro volevano partecipare alle operazioni. E nessuno litigava per fare o non fare qualcosa. Aspettavano il loro turno e le indicazioni da seguire (senza che nessuno glielo avesse detto). Erano lì pronti a capire cosa stesse succedendo e come partecipare, imparando a fare senza che nessuno studiasse un metodo per farlo. Semplicemente lo facevano ascoltando ciò che gli dicevo. E restammo tutto il pomeriggio ad interagire. Io potei fare il mio lavoro con tutti loro, che intanto erano diventati sette o otto, tutti intorno a fare qualcosa. Sembrava che fossimo in un altro mondo, in cui niente e nessuno era impedito a fare qualcosa ed imparare qualcosa. Vuol dire che i guai incominciano da un approccio sbagliato da parte nostra. Le risposte sono in funzione di quanto noi facciamo. Ad azioni sbagliate, risposte sbagliate. Se invece non creiamo ostacoli, limitazioni, impedimenti, preconcetti e tutta una serie di inutili pratiche burocratico-pedagogico-artificiali tutto funziona semplicemente come deve. E tutti possono fare e comprendere ciò che serve loro. Meno l’adulto che è stato a guardare senza fare niente, se non criticare il modo in cui stessi facendo il lavoro.

--------------------- fine dell’incontro

 

foto e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 01/04/2023