Depressione “post partum” alla luce di un altro punto di vista.

Quando non tutto si riduce solo a significati e concetti consolidati e definiti per sempre.

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 70 del 11.01.2022 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°1.

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Riprendiamo l’argomento con il quale ci siamo lasciati la scorsa volta allo scopo di introdurre alcuni aspetti secondari ma ugualmente importanti per aiutare a comprendere più praticamente come si determinano alcune caratteristiche delle relazioni tra genitori e figli. Relazioni che evolveranno nel tempo attraverso esperienze e comportamenti che li vedranno protagonisti. Una delle evidenze che sia il figlio a scegliere i genitori è la sindrome chiamata depressione post partum (ne soffre in qualche modo 1 donna su 10). Essa mette in primo piano, oltre ad eventuali concomitanze di patologie varie, un aspetto estremamente irrazionale e come tale non preso in considerazione dai medici. Sembrerebbe infatti che in quella circostanza la madre non riconosca il proprio figlio o semplicemente lo rifiuti. E, naturalmente, sembrerebbe anche un controsenso rispetto all’affermazione corrente che siano i genitori a desiderare i figli (perché allora come potrebbe essere che poi li rifiutino). In realtà questo mette davanti ad una qualsiasi coscienza, appena oltre lo stato di semplice animale, come i genitori siano chiamati in causa in maniera diversa da come si crede. È chiaro che anche i genitori in qualche modo manifestino le loro intenzioni in merito, cioè di mettere al mondo una nuova creatura, ma quello che nessuno sa, e neppure potrebbe ammettere che sia, è che lo fanno in seconda battuta, di conseguenza, rispetto alla decisione presa dalla creatura che deve venire al mondo.

 

Ed è estremamente interessante perché viene indentificata come depressione.

 

Si tratta infatti di una analogia con stati simili a quelli che si verificano quando sta avvenendo qualcosa di nuovo in una situazione che deve cambiare. Infatti perché ciò possa avvenire, in tale situazione “si deve creare uno spazio vuoto” non occupato dalle solite cose, cioè una “depressione” rispetto alla pressione che vige nel sistema ad opera di ciò che lo riempie ed impedisce che vi acceda altro. Ciò deve avvenire anche nella vita normale per permettere che qualcosa cambi. Uno stato di depressione che evidenzi la creazione di uno spazio a disposizione in cui possa entrare, nascere, manifestarsi una nuova possibilità, una nuova realtà. Una possibilità di far entrare altro in un sistema che altrimenti rimarrebbe sempre uguale a sé stesso, saturato da sé stesso, ingessato. Ecco perché anche nella madre, solitamente, può evidenziarsi uno stato di depressione psichica come stato necessario ad accogliere un nuovo nato a cui prestare parte dei propri corpi sottili, allo stesso modo in cui era stato fatto con la parte fisica verso il feto. Ed è in realtà uno stato nel quale, nel complesso degli strumenti messi a disposizione della e dalla madre, viene a mancare qualcosa quale presupposto per creare la condizione, lo spazio, perché possa avvenire ed avvenga altro. Chiaramente tutto questo, e con questi termini, non ce lo spiega mai nessuno ed è anche difficile da prendere in considerazione, o spiegare, se non dopo aver a lungo parlato di condizioni al contorno a tale fatto, come quelle che avete ascoltato finora e che non sono così consuete in nessun ambiente medico, neppure di supporto psicologico. Se ciò poi viene a mancare per altre ragioni, anche quando è disponibile, si capisce bene quanto quello che avviene, quando una entità vivente viene al mondo all’interno di una famiglia, non sia un fatto limitato alla famiglia, ma debba aprirsi ad un contesto più ampio poiché si tratta veramente di un figlio della comunità e non tanto del figlio di una coppia specifica. Chiaramente come all’interno di una comunità c’è qualcuno che si deve occupare delle sue diverse funzioni, in questa comunità, in questa famiglia allargata, sono i genitori biologici a doversi occupare di mettere al mondo i figli e dare loro supporto e aiuto nei primi tempi in cui questo è più necessario. Peraltro, prendendo atto di quanto siano complicate le relazioni tra individui anche all’interno della famiglia, se dovessimo essere costretti ad esaminarle tutte non finiremo mai, perché in pratica è proprio in famiglia, ed in modo quasi del tutto inconscio, che si stabiliscono tutti i presupposti che diventeranno pietre miliari, riferimenti di base, elementi che serviranno anche nel momento in cui, più avanti negli anni, si crederà che non siano più né utili né presenti. Entriamo adesso invece nel discorso scolastico vero e proprio, per poi entrare nell’ambito più grande della società, in cui le relazioni sono più strutturate a prescindere dall’individuo ma che con l’individuo hanno più a che fare proprio perché ne hanno bisogno, indirettamente, per sostenersi. Quando i bambini entrano nel periodo scolastico propriamente detto, cioè a partire dalle elementari, e qui ne parlo per cognizione di causa perché ho avuto la fortuna di poter fare delle esperienze, non da insegnante, ma da osservatore invitato, ovvero da un punto di vista privilegiato, potendo notare cose che poi trascrissi in relazioni che consegnai alle persone che mi permisero di fare tali osservazioni, la cosa principale che si osserva entrando in una classe è che, indipendentemente da quello che sono i singoli componenti aventi nome e cognome, si forma al suo interno una struttura corporea che è come se fosse un corpo unico formato dall’insieme dei presenti. Ciò è molto evidente. In tali frangenti ciò serve (e avviene quasi del tutto naturalmente) proprio per creare la condizione di minimo comune denominatore necessaria per permettere all’insegnante di sviluppare un programma di insegnamento comune e condivisibile sfruttando le capacità che ci sono in un corpo unico che manifesta una sua qualche omogeneità temporale, almeno finché rimane all’interno dell’aula. Faccio un esempio. Nel momento in cui stavo osservando quello che accadeva, mentre i banchi che prima erano messi nella solita modalità, tutti nello stesso senso fronte all’insegnante, ed ora invece si trovavano in circolo, questi bambini avevano cominciato ad andare ognuno per i fatti loro. Si stavano comportando in modo diverso da quando i banchi erano disposti come in precedenza. Questo spesso sfugge all’osservazione di chi è abituato a seguire solo certi comportamenti o ad imporli. Ovviamente per loro un cambio di disposizione dei banchi non sembra avere una grande importanza sul comportamento degli alunni. Invece no, ciò ha una sua evidente importanza. Nel momento in cui l’insegnante ha chiesto ai bambini di cantare, non tutti volevano cantare. Solo alcuni di loro hanno cominciato a farlo insieme all’insegnante. Ma, senza che succedesse qualcosa di strano per giustificare ciò che avvenne, dopo qualche battuta del canto, anche chi non voleva cantare iniziò a seguire gli altri. Perfino coloro che si erano alzati dai banchi e si erano allontanati, pur restando discosti, ovvero manifestando una propria personalità e presa di posizione, seguirono a loro volta l’azione corale fino a che nessuno rimase escluso dal cantare insieme. Questo fa comprendere molto bene come la forza dell’intero gruppo sia in grado di assorbire dentro di sé tutte le diversità dei singoli elementi e per certi versi li trascini all’operatività comune (non importa quale sia il livello, ovvero questo si degradi fino al punto di poter includere anche l’ultimo e più refrattario dei suoi componenti). Questa osservazione di una legge fondamentale del comportamento di ciascuna specie animale, umani compresi, compiuta sui banchi di scuola, la si può vedere mentre opera in tutte le condizioni nelle quali singole individualità si trovano ad accumunarsi ad una miriade di altre persone. Pensiamo ai tifosi negli stadi oppure alle manifestazioni folcloristiche rievocative oppure nei raduni in cui si ascolta musica, dal vivo o meno, e allora possiamo renderci conto di come il corpo che si struttura in quelle circostanze sia in grado di trasformare e di dirigere ciascuno dei membri che lo compongono al punto tale che, se noi osservassimo il comportamento delle persone fuori da quel contesto, paragonandolo a come si comportano mentre fanno parte del corpo dell’insieme di quel contesto, ci renderemmo conto che quella persona non è più indipendente da quel corpo ed è costretta, suo malgrado, o senza che se ne accorga o sia consenziente, a partecipare attivamente a tutte le manifestazioni di quel corpo o gruppo di persone. Il che per certi versi è la stessa dinamica che si traduce nelle aggressioni di gruppo, in cui anche se i singoli elementi presi separatamente sono persone come tutte le altre, nel momento in cui invece operano come gruppo, in seno al gruppo o, come si sul dire adesso, branco, esprimono caratteristiche comportamentali completamente (apparentemente) diverse, quasi sempre infime, trascinate al basso dagli istinti più bestiali. Vale anche nel senso inverso: inseriti in contesti edificanti esprimono comportamenti edificanti (in entrambi i casi la loro natura di base non cambia, ma esprime diverse caratteristiche che le sono proprie temporaneamente). Ci sono persone che si raggruppano in associazioni il cui scopo è il benessere altrui. Vedremo comunque come, in ogni caso, tali situazioni e comportamenti provochino reazioni esattamente uguali e contrarie in altri gruppi antagonisti o in quelle istituzioni che sono preposte a, diciamo così, governare queste derive. Entrando nell’ambiente scolastico cominciamo anche a toccare con mano, per la prima volta, in maniera massiccia quali sforzi si producano durante i primi tentativi del singolo individuo di emanciparsi dai legami famigliari, soprattutto da quei legami di sangue che abbiamo più volte esplicitati, perché sono così forti da dominare qualsiasi azione quell’individuo faccia, anche se non lo sa, indipendentemente da dove si trova, perché i legami famigliari non sono limitati dalla distanza. Infatti un figlio rimane tale anche se va a lavorare in America ed un genitore rimane tale anche se non segue il figlio dove egli si reca. Tuttavia i legami tra di loro continuano ad esistere e farsi valere (come ben evidenziano assunti, ed esperimenti relativi ad essi, in seno alla fisica quantistica). Ciò che avviene nella scuola è importante proprio perché è il primo tentativo serio in cui l’individuo cerca la propria identità e l’inizio della propria indipendenza e quindi occorrerebbe lasciare che l’autorità scolastica, giusta o sbagliata che sia, svolgesse il proprio ruolo, perché solo in questo modo si comincia a permettere un certo allentamento della tenacia di quei cordoni ombelicali familiari che sono stati a lungo, e lo sono ancora, utilizzati e che in qualche modo dovranno essere recisi.

 

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Prosegue nei prossimi incontri

 

foto e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 12/04/2023