… non c’è altra possibilità che accettare di andare oltre ogni ipotetica nuova soluzione smettendo di cercare soluzioni!
Quanto segue si riferisce all’incontro n° 70 del 11.01.2022 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°3.
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Ma allora perché ne sto parlando se quello che sta capitando è già una soluzione? Perché non me ne sono stato tranquillo per i fatti miei senza disturbare e disturbarvi? Perché una soluzione c’è per chi, dopo aver compreso che, sia da una parte che dall’altra, soluzione non c’è, si mette in una condizione particolare. Quella di cominciare a sospendere il giudizio, accettando quello che ne viene; attenzione però, perfino accettare coscientemente di perdere la vita, come è successo a molti nel corso della storia, avendo chiaro che, questa volta, anziché puntare i piedi mentre tutto si muove, occorre partecipare al movimento, senza più aggrapparsi a qualcosa. Così come viene detto a proposito di chi si trova in balìa della corrente di un fiume, cioè quanto sia inutile tentare o riuscire ad aggrapparsi ad una roccia o ad un albero, perché in entrambi i casi egli si ferirà o sarà strappato via o sarà colpito da ciò che la corrente trascina con sé, ma, se si lasci andare, ciò potrà condurlo sia all’annegamento che ad una soluzione salvifica inattesa. In ogni caso si tratta di una soluzione che può essere compresa o no. Noi siamo in una situazione simile. E qualunque cosa venga messa in atto può anche essere accettata come una normalità, così come la normalità del nostro respiro che, pur facendoci respirare aria inquinata e assumere acqua ugualmente inquinata, ci permette di vivere comunque gli anni che viviamo. Certo detto così sembrerebbe che tutto vada bene a prescindere e quindi potrei anche smettere di trattare questi argomenti. Se state ascoltando vuol dire che non avete già trovato una soluzione soddisfacente e quindi siete ancora alla sua ricerca. Soluzione che io non vi potrò dare perché non sono in grado di darvela. Però posso dirvi che si può trovare e voi potete trovarla per voi stessi così come l’ho trovata io per me stesso (salvo smentita sempre possibile). Ma per trovarla occorre rimettere in discussione tutto ciò in cui crediamo, giusto o sbagliato che sia. Non ci sarà mai nessuno che ci fornirà la soluzione. Però dicevo che esiste una terza parte, che sta dentro di noi, senza la quale sarebbe comunque impossibile schierarsi con uno o l’altro polo. Tuttavia per noi questa terza parte è come se non esistesse. Anche se poi le diamo un nome per nostra comodità; infatti la usiamo a sostegno del fatto che le attribuiamo la capacità, imperativa ed indiscutibile, di suggerirci come agire in modo corretto e giusto, estendendo tale sua caratteristica anche agli altri, ovvero sa anche come dovrebbero agire gli altri in modo corretto e giusto. Questa terza parte, di ciò che noi pensiamo e crediamo riguardo al suo agire non ne tiene conto neanche un po’. Infatti è completamente indipendente e non giudica niente e nessuno. Non considera i nostri parametri. Nessuno può dirvi dove cercarla, né aiutarvi a farlo. Ogni volta che qualcuno l’ha fatto è successo un altro macello cosmico. Sono state fondate delle religioni, basate su credenze del vero velleitarie, che si sono opposte le une alle altre e da sempre si sono fatte la guerra senza mai terminarla. Qualsiasi elemento della nostra vita prendiamo in considerazione, a partire dalle cose più care e da noi stessi, vedremo dentro di noi questi due opposti che si affrontano. E la trappola che produce l’autoipnosi è costruita dal nostro continuo schierarsi da una parte o dall’altra, oppure saltellare dall’una all’altra secondo il nostro capriccio (sia esso indotto da un desiderio cosciente o no). Il risultato non cambia; è sempre lo stesso. I due fattori non cambiano ed il risultato neppure, da qualunque parti si cominci o si mettano in ordine.
Quando entriamo nella società noi siamo ancora quei figli che non hanno ancora reciso i cordoni ombelicali con i propri genitori e con la propria famiglia. Quindi anche quando affrontiamo la realtà del presente dentro di noi, parlano, allo stesso tempo, le sette generazioni precedenti, con tutte le loro esperienze e condizionamenti. Di conseguenza ci troviamo ad affrontare il presente con presupposti passati. E perciò il più delle volte ci trinceriamo dietro una idea che portiamo avanti credendo che sia nostra, ma in realtà non lo è: l’abbiamo ereditata. È per lo meno condivisa con le sette generazioni delle due discendenze famigliari. Non siamo quindi, né possiamo essere, un blocco monolitico indipendente. Non siamo individui (ovvero entità non divisibili) capaci di relazionarsi integralmente con ciò che ci accade. Siamo un assemblaggio di tutte quelle risposte preconcette che ci provengono da quei legami di sangue e attraverso i cordoni ombelicali che ci legano alla famiglia ed ai suoi componenti. Non c'è niente da fare. Neanche se ci isoliamo sulla punta di una montagna o dentro una grotta. Tutto quello che faremo sarà dipendente da ciò di cui siamo formati, ovvero dall’assemblaggio di tutti i componenti citati. Per distanziarci da tutto ciò e poter prendere delle decisioni individuali, non distorte da tutto ciò che non vediamo, dobbiamo acquisire una indipendenza totale. Che non significa fare quello che si vuole o quello che ci piace, ma riconoscere che all’interno di un corpo più vasto, come quello dell’umanità, ciascuno di noi è come una cellula che, pur essendo individuo, cioè avente peculiarità specifiche, non può esistere senza il resto dell’umanità, non può vivere disgiunto da essa, esattamente come una cellula del nostro corpo non può esistere da sola, separata dal resto dell’insieme delle cellule del corpo. In questo momento quindi noi stiamo vivendo una realtà che è la sintesi di tutto quello che noi non vogliamo guardare di noi stessi. E ciascun interlocutore ci fa da specchio, mostrandoci chiaramente uno degli aspetti che ci appartiene, altrimenti non lo riconosceremmo (attraverso il funzionamento dei neuroni specchio), nella sua affinità o nel suo contrasto.
Certamente qualcuno può farci notare che portiamo esempi da un punto di vista privilegiato perché noi pensionati, fino a quando non ci tolgono la pensione, possiamo anche barricarci dentro la nostra casa come in un castello assediato (finché non ci taglieranno anche i rifornimenti, i viveri, o terminerà l’assedio, in un modo o nell’altro). Possiamo osservare una condizione diversa da chi invece deve relazionarsi con il mondo del lavoro, a partire dal fatto che spesso noi diciamo che dobbiamo lavorare per vivere. Ma anche se il lavoro è alla base dell’articolo 1 della costituzione italiana, non è poi così vero (come peraltro non lo è neppure per la repubblica italiana). Infatti gli uccelli e gli altri animali non devono andare in fabbrica per vivere, procurarsi un conto in banca per pagarsi il cibo, e sono al tempo stesso cibo per altri animali, in una catena alimentare continua. È l’economia dell’aspetto biologico della vita nella natura, e noi dovremmo ricominciare a guardare tutto quello che ci accade, tutto quello che noi riteniamo consolidato e indiscutibile, con altri occhi, gli occhi di una coscienza e non dell’identificazione. Cominciando dalle solite banalità che si esprimono in questi momenti.
Se non trovassimo scritto il nostro nome sulla carta di identità e dovessimo metterci in relazione con chiunque non ci conosca, come faremmo a spiegare quello che siamo? Chi siamo? Come faremmo senza metterci in relazione con quello che facciamo? Noi non siamo il lavoro che facciamo. Noi non siamo il figlio che siamo. Non siamo neppure il genitore che siamo. Qualunque cosa facciamo o qualsiasi ruolo sosteniamo, non sono mai essenziali per il nostro essere, sono solo una delle cose che fa o può fare. Noi saremmo quello che siamo indipendentemente da tutto ciò. O no?
Si noi siamo qualcosa di molto più profondo.
Bene! Se questo è vero, se siamo qualcosa di più profondo, allora è meglio, è opportuno, che andiamo a vedere cosa c’è in questo più profondo.
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Prosegue nei prossimi articoli
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pietro cartella
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Articolo pubblicato il 16/04/2023