Unione europea. L’occupazione tocca il 75% nel 2022, ma l’Italia rimane il fanalino di coda. Il Governo corre ai ripari

Il “bel paese” segna 10 punti percentuali in meno della media europea, lavorano più greci e rumeni tra i 20 e i 64 anni che italiani

Quale Primo maggio si festeggia oggi? Dovrebbe concretizzarsi, secondo antiche tradizioni, la giornata in cui i sindacati rivendicano miglioramenti delle condizioni del lavoro, la legislazione del lavoro più attinente al lavoro che sta mutando e, ovviamente l’anelito alla piena occupazione.

Invece, dalle prime anticipazioni che si leggono e ascoltano, oggi, la solennità storica si tinge di ideologie e prevalgono gli estremismi, con il lavoro e le problematiche dei cittadini sempre in coda ad opera dei faccendieri delle estreme, centri sociali ecc. che dominano la scena.

Ma, come sempre privilegiamo il fare, badiano ai fatti concreti ed inoppugnabili.

Alziamo lo sguardo ai consuntivi di cosa ha significato lavoro e occupazione in Europa, con l’Italia fanalino di coda nel 2022.

Secondo i dati Eurostat, l'occupazione nell'Ue ha infatti toccato lo scorso anno il 75% nella fascia di età tra i 20 e i 64 anni. Si tratta del massimo dal 2009, quando iniziano le serie storiche.

Il tasso di occupazione era calato al 72% nel 2020 a causa della pandemia di Covid-19, ma è risalito al 73% nel 2021 per guadagnare altri due punti percentuali nel 2022.

Il tasso di occupazione è la percentuale di persone che hanno un impiego in rapporto alla popolazione in età lavorativa.

L'Italia resta però in coda rispetto all'intera Unione con un'occupazione al 65%, dieci punti percentuali in meno della media Ue. Lavorano più greci (66%) e rumeni (69%), tra i 20 e i 64 anni, che italiani.

Tra i Paesi membri, 11 avevano tassi di occupazione superiori al 78%, con l'Olanda (83%), Svezia ed Estonia (entrambe all'82%) in testa.

In Italia si sconta l’effetto perverso del reddito di cittadinanza e dei provvedimenti famigerati dei governi presieduti dall’omuncolo Conte tutti ostili al lavorare ed all’intraprendere.

Che fare per sdoganare il Paese dal pantano?

Il Governo Meloni sta correndo ai ripari e vara le norme che aboliranno il reddito di cittadinanza, riformulando gli aiuti agli invalidi ed alle famiglie disagiate.

Pe i giovani, invece, a partire dal 2024 soro previste misure concrete e si spera efficaci, di incentivo all’avviamento al lavoro.

I datori di lavoro privati che assumeranno dal 1° giugno a fine 2023 giovani under 30 Neet – cioè che non studiano e non lavorano – e che siano registrati al Programma Operativo Nazionale “Iniziativa Occupazione Giovani” avranno, previa presentazione di domanda, “un incentivo per un periodo di 12 mesi, nella misura del 60 per cento della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali”.

Arriva presso il ministero del lavoro un fondo da 10 milioni per il 2023 e 2 milioni l’anno dal 2024 volto a “riconoscere un sostegno economico ai familiari degli studenti delle scuole o istituti di istruzione di ogni ordine e grado, anche privati, comprese le strutture formative per i percorsi di istruzione e formazione professionale e le Università, deceduti a seguito di infortuni occorsi, successivamente al 1° gennaio 2018, durante le attività formative”.

Chi beneficia di un assegno di inclusione è tenuto ad accettare un contratto di lavoro “senza limiti di distanza, nell’ambito del territorio nazionale, se si riferisce ad un contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato o a tempo determinato di durata superiore a dodici mesi”.

Se il contratto è fino a 12 mesi c’è l’obbligo di accettazione se il luogo di lavoro non dista più di 80 chilometri dal domicilio del soggetto.

“Ai datori di lavoro privati che assumono i beneficiari dell’Assegno di inclusione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, pieno o parziale, o anche mediante contratto di apprendistato, è riconosciuto, per un periodo massimo di dodici mesi, l’esonero dal versamento del 100 per cento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nel limite massimo di importo pari a 8.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile”.

Se il lavoratore viene licenziato “nei ventiquattro mesi successivi all’assunzione, il datore di lavoro è tenuto alla restituzione dell’incentivo fruito maggiorato delle sanzioni civili, di cui all’articolo 116, comma 8, lettera a), della legge 23 dicembre 2000, n. 388, salvo che il licenziamento avvenga per giusta causa o per giustificato motivo.

L’esonero è riconosciuto anche per le trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato nel limite massimo di ventiquattro mesi, inclusi i periodi di esonero fruiti”.

Urgono fatti e non parole! La via comunque pare segnata.

 

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Articolo pubblicato il 01/05/2023