Passeggiate romane

Riflessioni sulla visita di Zelensky a Roma

La recente visita del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Roma nei giorni scorsi ha sicuramente colpito gli italiani -probabilmente non in senso positivo- per una serie di elementi e modalità al limite del grottesco.

Il presidente ucraino, col suo solito look da battuta di caccia o, se preferite, da rave party (siamo andati a prelevarlo, per sua comodità, con un aereo di stato convertito in taxi) ha preso possesso delle nostre istituzioni in modo spavaldo, da padrone di casa, chiedendo le solite cose -armi, armi, armi- ma con un tono ancora più ossessivo e imperioso e proponendoci una visione del conflitto russo-ucraino sempre più irrealistica, illogica, allucinata.

Comprendiamo lo stato d’animo di un uomo che non vede una via d’uscita al dramma della sua nazione e suo personale, e sotto qualche aspetto possiamo anche apprezzarne l’appassionata devozione verso la sua nazione allo stremo, vittima di un’azione militare straniera che ha poche giustificazioni anche se ha molte spiegazioni.

Quello che però non si riesce a comprendere è la sua drammatica perdita di lucidità, una condizione personale che muove a compassione ma che è anche estremamente pericolosa per tutti noi, ormai irretiti nella palude politica e militare in cui ci ha condotto. Un atteggiamento ingiustificabile perfino nei confronti di un papa mosso da buona volontà, di cui il condottiero ucraino ha respinto ogni proposta di mediazione.

La cosa demenziale è la sua personale volontà di volersi fare la pace da solo, delirio in cui ha fatto precipitare molti altri capi di stato e di governo: la pace per Zelensky è solo una, fondata sulla totale vittoria ucraina, sulla totale sconfitta russa, sulla totale riconquista delle terre occupate da Putin nonostante esse siano sostanzialmente filo-russe, compresa una Crimea che ha detto chiaramente di voler stare dov’è. Scenario possibile forse solamente con un diretto e potente intervento militare dell’Occidente a supporto del suo progetto, cioè con lo scatenamento di un conflitto mondiale di vaste proporzioni e di un conseguente e probabilissimo olocausto nucleare che investirebbe tutti noi, le nostre terre, la nostra gente.

Qualcuno, oltre Zelensky, vuole questo? Si faccia avanti e lo dica chiaramente ai suoi popoli.

La demenzialità della “proposta di pace” zelenskyana ha poi un altro aspetto: la totale esclusione della Russia da ogni possibile trattativa. La follia dell’uomo di Kiev non tiene conto di un’evidenza chiara a chiunque: la pace si fa tra nemici, i quali per definizione devono essere almeno due, ed escludere l’avversario da una trattativa -farsi la pace da soli, appunto- rasenta la follia. Così come rasenta la follia escludere da ogni attenzione un nemico il quale, piaccia o no, occupa saldamente una parte significativa del territorio ucraino ed è quindi in posizione di forza, un nemico che tratterà quando lo vorrà e solo se gli sarà conveniente. Non va dimenticato che Putin deve anche giustificare di fronte alla sua opinione pubblica le migliaia di soldati russi morti per prendersi e tenersi quelle terre, e ciò non gli permetterà certo di essere troppo condiscendente verso l’Ucraina e l’Occidente.

La famosa controffensiva ucraina di primavera sembra tardare -anche perché siamo quasi in estate e bisognerà quantomeno cambiarle il nome- e assume sempre più l’aspetto di una pura narrazione propagandistica che avrà qualche possibilità di concretarsi, per stessa ammissione di Zelensky, solo se e quando l’Occidente lo sommergerà di armi sempre più potenti, sempre più tecnologiche, sempre più micidiali per la Russia, cosa che l’Occidente stesso, pur nella sua retorica bellicista ma con un fondo residuale di razionalità, sembra non voler fare, almeno per ora.

Evidente quindi il cul de sac in cui si è cacciato l’uomo di Kiev e che spiega il suo attivismo isterico nei confronti dei governi occidentali, il suo turismo propagandistico alla ricerca di risorse militari ma anche, e forse soprattutto, di consenso non solo da parte della politica ma anche dell’opinione pubblica europea e occidentale.

Quello che è importante sottolineare è che, nonostante la propaganda ossessiva dei mezzi di comunicazione, Zelensky ha sicuramente l’appoggio dei governi occidentali, e probabilmente di molte classi dirigenti, ma non dei popoli occidentali.

Forse i suoi incontri ad alto livello, supportati dalla grande stampa conformista, l’hanno illuso che le nostre nazioni siano tutte schierate con lui, senza se e senza ma. Cosa di una falsità assoluta e di cui ci si può rendere conto semplicemente parlando con le persone reali per strada o magari anche dando talvolta un’occhiata ai sondaggi demografici da cui risulta, almeno per l’Italia, un’altissima percentuale di persone contrarie alla guerra e alle politiche guerrafondaie di Meloni, Mattarella, Crosetto e altri aspiranti bombardieri. L’episodio di Carlo Rovelli, una delle menti più brillanti del paese, è solo una punta di iceberg, e tutti dovrebbero conoscere la pericolosità di questi colossi del mare, anche in senso figurato.

E qui viene la scena triste e deprimente recitata dalla nostra politica e dalla nostra informazione nei giorni scorsi.

Che si possa e si debba essere leali con gli alleati è indiscutibile, anche se la storia italiana del secolo scorso non ha offerto esempi troppo lusinghieri di questo principio morale. Oggi però si sta francamente esagerando: la lealtà si è trasformata in piena sudditanza.

I toni del presidente della Repubblica e quelli di Giorgia Meloni nei confronti di Zelensky sono stati decisamente sopra le righe, stucchevoli, esagerati oltre i limiti della piaggeria.

Si comprendeva perfettamente, da quei discorsi un po’ esaltati, che Mattarella, Meloni e tutta la circostante corte dei miracoli recitavano un copione propagandistico scritto altrove da chissà chi (o forse da soggetti ben definiti), fornendo un’immagine molto sgradevole di sottomissione a poteri forti e fortissimi, o comunque a colossali interessi che tutte le caratteristiche possono avere tranne quelle dell’interesse e della dignità nazionali.

Escluso forse il miraggio costituito dalla partecipazione a una futura ricostruzione dell’Ucraina una volta terminato il conflitto, con un’evidente e salutare ricaduta economica sulle imprese nazionali; una fetta di torta sicuramente appetibile e apprezzabile ma che non ha nulla a che fare col moralismo altisonante basato sulla difesa della libertà e sulla lotta alla sopraffazione internazionale. E allora perché non dire esplicitamente che si vuole un futuro posto a tavola, senza tanto sventolìo di sommi principi e parole che sanno di ipocrisia. In fondo si tratterebbe di una giustificazione molto più ragionevole e accettabile, anche per la gente comune.

Crediamo che molti di noi si siano sentiti umiliati dall’eccesso di attenzione e apprezzamento verso un uomo la cui storia passata e presente non è così limpida come si vuol far credere.

Insistere poi -come ha fatto la Meloni- su un’entrata frettolosa dell’Ucraina di Zelensky nell’Unione Europea e, soprattutto, nella NATO è un colossale e pericolosissimo errore di valutazione politica, innanzitutto perché quel paese è ben lontano dagli standard di democrazia, liberalismo e civiltà giuridica che l’UE richiede continuamente ai suoi membri e poi perché il suo ingresso nella NATO sconvolgerebbe definitivamente l’equilibrio strategico europeo, e forse mondiale, spingendo una superpotenza nucleare come la Russia con le spalle al muro, situazione dalle conseguenze assolutamente e spaventosamente prevedibili.

Che l’Occidente e la nostra nazione non si rendano conto di tutto ciò è incredibile e sconvolgente, e non basta la retorica paranoica di televisioni e giornali per occultare nella gente normale e razionale l’impressione che siamo governati da uomini e donne che nascondono la realtà, o si nascondono da essa.

Forse perché non la capiscono o forse perché la capiscono fin troppo bene.

 

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Articolo pubblicato il 16/05/2023