… semplicemente perché siamo convinti di non aver tempo sufficiente per farlo e ignoriamo che …
Quanto segue si riferisce all’incontro n° 71 del 18.01.2022 che è stato suddiviso in 6 articoli. Questo è il n°5.1.
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Ogni cosa a suo tempo! C’è un tempo per ogni cosa! Ed ogni cosa ha il suo modo per esprimersi. Anche noi!
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Se andiamo dal medico senza una cartella clinica dei nostri trascorsi oppure senza la storia della nostra vita, noi osserviamo come ciechi, riportiamo come dei pappagalli ammaestrati, ma senza aver elaborato niente di tutto ciò, ovvero non siamo coscienti del suo significato. Ciò che si è detto in precedenza rispetto alla contemporanea presenza di circa 8 miliardi di esseri umani significa avere a disposizione un numero simile di specchi in cui possiamo vedere un numero corrispondente di nostri aspetti personali, primari o secondari, che normalmente non vediamo o evitiamo di guardare. Otto miliardi tra innumerevoli altri aspetti di cui ognuno di noi è composto. Quindi oggi noi abbiamo una condizione particolarmente favorevole, in termini di energia e strumenti disponibili, per fare quello che dovremmo sempre fare ma che non facciamo mai. Aspettando ancora e sempre che ci siamo le condizioni per farlo, anche quando ci sono già da tempo. Detto in altri termini, se noi, attraverso l’osservazione, non riusciamo a comprendere chi siamo e come funzioniamo, è quasi del tutto inutile provare a mettere a posto la complessità che noi non conosciamo; qualunque punto cerchiamo di aggiustare finiamo per peggiorare la situazione. E se chiamiamo qualcun altro a farlo per noi, la aggraviamo ulteriormente. Non si può trovare soluzione chiamando un altro ignorante come noi a risolverla per noi. Perché due ignoranti non fanno un saggio. Quindi è vero ciò che dite, è un punto di partenza. Ma se il percorso è costituito da 100 punti, i primi cinquanta devono essere percorsi da soli; solo per i restanti cinquanta potranno giungere gli aiuti necessari, da chiunque e da qualunque parte provenienti. Se ho la mia cartella medica posso andare da un qualsiasi medico poiché dispongo di una base di informazioni sufficienti perché possa avere un quadro corretto della mia situazione. Sarà più facile che possa trovare la soluzione al mio problema. Magari non c’è bisogno di sapere dettagliatamente che il disagio al piede di cui soffriamo è dovuto al trauma infantile relativo ad un incontro di tennis negato con il più grande campione cinese di quello sport, minore di otto anni, apparso nella pubblicità televisiva di una nota marca di merendine al cocco e latte di asina. Basteranno cose anche più banali, ma sufficienti a formare un quadro corretto. Sarà sufficiente a rendere evidente il perché di quella nostra attuale postura sofferente, in cui tutto il nostro trascorso si esprime al momento. Non solo il nostro trascorso, ma anche quello degli otto miliardi “di altri noi” che sono presenti al momento sulla terra, anzi, di tutti i circa 110 miliardi (cifra stimata) “di altri noi” che sono passati finora su questa terra, insieme a tutto ciò che è esistito, esiste ed esisterà di altro ovunque e che per noi si trova concentrato al presente in quel problema al piede. Solo che noi non conosciamo tutto ciò; per noi è solo e semplicemente male al piede. Ma la risposta che proviene dalla persona che hai di fronte rispetto al tuo male al piede, come proveniente da un legame di sangue, è la risposta sintetica che proviene dagli universi a te attraverso di lei. Dagli universi che sono connessi e si parlano al riguardo. Tuttavia per stabilire questa comunicazione e renderla fruibile attraverso quel male al piede, dietro ci deve essere tutto il lavoro fatto dal singolo affinchè tale comunicazione possa giungere efficacemente in modo comprensibile, attraverso quell’universo di relazioni che egli non conosce. Vuol dire che devono esserci dentro di te tutti quei circa otto miliardi di aspetti che confluiscono in quel mal di piede. E così ha fatto anche il tuo interlocutore attraverso il quale tu stesso hai dato voce a ciò che sta dentro di te. Certamente tutto ciò non avviene nel modo solito in cui noi crediamo che debba per forza avvenire, o che lo si debba fare; questo appare ormai ovvio. Ma se noi cominciamo da una parte qualsiasi a prendere nota e quindi trasferire l’osservazione e confrontarla con quello che ci succede e quindi cominciando a conoscerci, abbiamo fatto i primi due passi. Non solo osservazione ma anche conoscenza di sé.
Questa conoscenza di sé dal punto di vista squisitamente fisico, poco per volta diventerà conoscenza di sé anche negli aspetti sottili, psichici, dei desideri, che non oso esprimere neanche a me stesso perché contro la morale, contro la famiglia, contro la scuola, la società, perché se non individuato me lo invento, pur di aver qualcuno contro, identificato a sufficienza per potersela prendere con lui o scaricare le colpe, vere o presunte che siano, su qualcuno o qualcosa. Per poi scoprire che il più delle volte quel qualcuno contro sono proprio io. Ovvero quelle parti polari di me che non posso o non voglio accettare. Sono sempre io ma in un’altra accezione!
Però capisci che partire così adesso sembra che manchi il tempo, cioè avremmo dovuto cominciare prima perché adesso siamo vicini (troppo) al depuratore.
No, no, no, non è mai troppo tardi. Il bello di tutto ciò è che quando cominci a farlo, anche se fossi già entrata nel depuratore (cosa che in effetti così è) non ti può più succedere niente che non sia compreso nel senso della vita, nella sua migliore possibilità. Anche se dovrai farti tutti i bei giri necessari all’interno del depuratore, frullata come tutti gli altri che lo occupano. Ma ne uscirai quanto prima, perfino prima di quanto credi o temi, per proseguire la tua strada, alleggerita dal superfluo. Mentre, invece, fare di tutto per opporsi all’entrata nel depuratore, o alle azioni che avvengono in esso, quando quella è ormai l’unica possibilità per andare oltre, è perlomeno poco intelligente, oltre che inutile e doloroso. Ci si fa un sacco di male evitabile. Tentare di aggrapparsi ad ogni possibile appiglio o di scansare l’inevitabile ostacolo, che noi stessi abbiamo costruito con ignorante testardaggine, divenendo allo stesso tempo noi stessi ostacoli sul cammino di altri, non ha molto senso perché comunque in quel depuratore ci dovrai passare con la semplice differenza che ti farai già e più male (anche solo per la sensazione di non aver cominciato in tempo a fare qualcosa come hai ben evidenziato nel tuo intervento) prima ancora di entrarci e ci entrerai oltremodo saccagnata e a corto di energia, prestandoti ad una ulteriore dose di sofferenza evitabile (e potendola evitare agli altri).
Sì, sì, ma io non dicevo quello, che non voglio entrare o non voglio farlo, è che sembra che manchi il tempo. Non c’è un modo più veloce per recuperarlo?
No,no, no. Queste sono solo altre modalità, scuse, per fregarsi con le proprie stesse mani.
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Prosegue nei prossimi incontri
foto, schemi e testo
pietro cartella
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Articolo pubblicato il 25/05/2023