Umani o esseri umani? ... (1/3)

Non basta avere una determinata forma che assomiglia a qualcosa per essere veramente quel qualcosa.

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 72 del 25.01.2022 che è stato suddiviso in 6 articoli. Questo è il n°4.1

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Forma e sostanza sono un’unica cosa, ma non è detto che sia ancora così per tutto, umani compresi. Come tali, infatti, ci riteniamo sufficientemente adatti al nostro ruolo perché abbiamo una determinata forma che sembrerebbe confermarlo, ma, come possiamo facilmente constatare ad ogni istante, il nostro agire mette in evidenza che siamo ancora ben lungi da esserlo.

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Ora, come promesso in precedenza, parliamo della relazione di coppia, oppure no, semplicemente di relazioni simili a quelle di coppia, ma non tra due persone. Anche in questo caso succede molto più spesso di quanto si creda perché, attenzione, si possono avere relazioni di un certo tipo non solo con una persona ma con più persone. Relazioni, aventi lo stesso valore, con più persone tra le quali con una in particolare decidiamo di condividere alcuni aspetti che non desideriamo condividere con altri. Come quello di costruire una parte dell’esistenza su presupposti condivisi fino al punto di poter collaborare per mettere al mondo un’entità nuova, all’interno di tale relazione e protetta da tale relazione. Ed ecco che entriamo in un altro macello cosmico. A cominciare dalla relazione apparentemente più semplice, quella tra donna e uomo.

 

Non c’è bisogno di spiegare quanto donna e uomo siano differenti praticamente in tutto, ovvero non abbiano niente in comune. In effetti non c’è qualcosa che possa essere condiviso tra donna e uomo. Sono due espressioni di vita completamente diverse come se stessimo parlando di un’aquila e una balena o di marziani e venusiani. Ovvero entità che non hanno alcunché di simile perfino metabolicamente, ma che per loro grazia o disgrazia hanno una forma che si assomiglia e sono chiamati a collaborare per alcune mansioni e compiti particolari e compatibili. Ma anche alcuni altri primati come le scimmie o i lemuri assomigliano ad esseri umani, però sono un po’ meno simili e compatibili geneticamente ed evolutivamente, per cui non sono direttamente coinvolti nelle reciproche faccende. Perfino un pesce ed un essere umano si assomigliano durante un periodo della fase embrionale di quest’ultimo. Queste due espressioni di vita, donna e uomo, non hanno alcun punto in comune, tranne il fatto che insieme possono collaborare alla generazione di un altro essere vivente della specie umana, femminile o maschile a sua volta, in relazione ad una serie di fattori variabili contenuti nella cellula ovo e nello spermatozoo al momento del concepimento, in seguito al loro accoppiamento quale azione necessaria per l’attivazione della funzione preposta alla propagazione della specie (o dei tentativi a tal fine). Funzione che può svolgersi in un lasso di tempo convenzionalmente assai breve rispetto al processo che si porta appresso nel caso positivo, cioè di gestazione di un nuovo essere fino alla sua nascita e successiva maturazione ed indipendenza, fino a qualche decennio dopo.

 

Qualcosa che con la generazione di un essere umano propriamente detto non ha nulla a che vedere.

 

Infatti così come sono biologicamente diversi i due che sono entrati in relazione per concepire e dare alla luce il nuovo nato, così il nuovo nato è diverso da ciascuno dei due da cui è stato concepito. Ma, cosa ancora più strana, il nuovo nato è ancora un essere diverso da un essere umano propriamente detto.

 

Ovvero non basta avere una forma umana per essere definito essere umano a tutti gli effetti (per il momento non scendiamo in dettagli al riguardo, anche se qualche cenno in proposito è stato disseminato qua e là nei precedenti incontri).

 

Detto in altri termini i due sono diversi tra loro ed il terzo sarà diverso dai due. Veniamo dunque a quello che è stato a lungo il presupposto per la nostra società che si fonda sulla famiglia. E poi cerchiamo di capire perché il male più grande che affligge la nostra società nasce proprio in famiglia. Non nella società, dove successivamente esso si proietta e diffonde capillarmente, ma in famiglia. Dovrei dire che nasce dalla relazione malata tra donna e uomo. Infatti se non si comprendono senso e scopo della donna e dell’uomo, mettendoli insieme sulla base di ignoranza, incomprensione e incompatibilità, non si parte sotto buoni auspici, né si può pretendere che le cose tra i due funzionino come ci si aspetterebbe. Su queste basi non possono che instaurarsi rapporti di forza. Brutali o delicati, ma sempre rapporti di forza con cui si cercherà di fare aderire l’altro al proprio modello di relazione. O di adeguarsi al modello che ha in testa l’altro. In ogni caso tentativi di proiettare modelli comportamentali, preconcetti e stereotipati, sui quali e nei quali ci hanno sguazzato psicoanalisi e psichiatria, nonché ogni sorta di buona intenzione e di nuove scienze nate dallo stimolo di una qualsiasi piccola sfumatura di differenza rispetto ad un precedente standard presunto tale. Per le quali si strutturano nuove specializzazioni e ricerche mirate che vengono sovvenzionate pubblicamente, essendo riconosciute essenziali per il nostro tipo di civiltà e la sua salute generale. In alcune di esse si rileva quanto sia importante la colorazione delle unghie del partner per la stabilità emotiva della coppia oppure, senza che noi lo sapessimo, per i nostri rapporti di lavoro con un particolare stato europeo. Ovviamente si tratta di consulenze ben remunerate senza le quali nessuno sa più cosa e come fare qualsiasi passo sensato verso un qualsiasi scopo. Ed è chiaro che se ad ogni passo che si deve fare occorre consultare qualche centinaia di specialisti di questo e quello, non solo spendiamo il nostro tempo, ma contribuiamo attivamente a mantenere ben più di qualche multinazionale del farmaco. Riusciamo a mantenere chiunque, magari anche sulla base di una corretta suggestione, si inventa una attività basata su nostre presunte necessità. Un modo che, a partire da una qualunque cosa, serve a spiegare e giustificare qualsiasi attività specifica rivolta esclusivamente a noi. Che magari è perfino giusta in sé, se non negasse o ignorasse contemporaneamente tutto il restante 99,99% che interagisce essenzialmente e ben più pesantemente in essa. Finendo per fare ciò che abbiamo visto fare da tutti gli specialisti che si sono avvicendati in questi ultimi due anni: dire e fare tutto e il contrario di tutto, senza alcun pudore né rispetto altrui. Così come hanno fatto opinionisti, giornalisti, politici, e tutti coloro che lo hanno fatto non appena gliene sia stata data occasione, senza badare alle conseguenze, per poi lamentarsene subito dopo. Ed anche io non sono stato e non sono da meno, non potendo fare diversamente, perché come tutti non so niente più di altri e cerco anche io di spiegare le cose lo stesso. … (segue parte 2/3)

 

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Prosegue nei prossimi articoli

 

foto e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 09/06/2023