Le PMI pagano 19 miliardi di tasse in più dei giganti del Web

Le considerazioni di Luigi Cabrino

I piccoli imprenditori sono visti da sempre come responsabili unici dell’evasione fiscale italiana e lo stigma indelebile dell’evasore incallito non lo toglie più nessuno a chi appartiene alla categoria.

A smontare questa narrazione ci pensa uno studio della CGIA di Mestre, uno studio basato sui dati e sui numeri difficilmente contestabili.

Ebbene, i giganti del web, che nel nostro paese fanno grandi affari e spesso condannano alla chiusura molti esercizi commerciali di prossimità , pagano 19 miliardi di tasse in meno rispetto a quelle pagate dalle PMI.

Sembra una barzelletta, invece il conto torna al centesimo , per tutta una serie di agevolazioni fiscali e di trasferimenti delle sedi legali in altri paesi.

“Nel 2021, annus horribilis per l’economia italiana, le nostre piccole imprese con meno di 5 milioni di euro di fatturato hanno versato 19,3 miliardi di euro di imposte. Nel 2021 , invece, le 25 filiali italiane dei principali gruppi mondiali di web e software (WebSoft) hanno corrisposto al nostro erario 186 milioni di euro. Anche se annualità diverse, da questo confronto emerge che nell’ultimo anno in cui i dati sono disponibili i nostri piccoli imprenditori hanno pagato 19,1 miliardi in più delle multinazionali del web presenti in Italia. Importo, quest’ultimo, certamente sottodimensionato. Nel momento in cui sarà disponibile il gettito erariale delle piccole imprese riferito al 2021 , la variazione sarà sicuramente superiore a quella richiamata più sopra”. 

Il dato di questo squilibrio è evidente, prosegue la CGIA:

“additati di essere i principali responsabili dell’evasione, il popolo delle partite Iva, invece, paga un ammontare complessivo di tasse 104 volte superiore ai principali giganti del web che, nell’immaginario collettivo, rappresentano il successo, l’innovazione e il futuro. L’aggregato delle controllate appartenenti al settore del WebSoft ha registrato nel 2021 un giro d’affari nel nostro Paese pari a 8,3 miliardi di euro; il numero di occupati in queste realtà era pari a 23 mila unità e al fisco italiano hanno versato solo 186 milioni di euro. I 3 milioni di piccole imprese con meno di 5 milioni di fatturato, invece, nel 2020, anno in cui moltissime di loro a causa del Covid sono state addirittura chiuse per molti mesi, hanno generato un fatturato di 735,8 miliardi e il contributo fiscale pagato all’erario è stato di 19,3 miliardi di euro. Se il livello medio di tassazione delle big tech è, secondo l’Area studi di Mediobanca, al 33,5 per cento, nelle nostre piccolissime realtà si aggira intorno al 50 per cento: praticamente quasi il doppio”.

 E come mai le controllate italiane dei colossi multinazionali del web possono godere di questo trattamento di favore?

“Per il semplice motivo che il 30 per cento circa dell’utile ante imposte è tassato nei Paesi a fiscalità agevolata che ha dato luogo a un risparmio fiscale cumulato che, nel periodo 2019-2021, è stato di oltre 36 miliardi di euro. E’ comunque evidente che la mancata “trasparenza” fiscale di queste società tecnologiche costituisce un problema. Una prima soluzione potrebbe giungere dall’applicazione di una minima imposta con aliquota al 15 per cento in capo alle multinazionali che realizzano fatturati oltre i 750 milioni di euro. La misura, introdotta da una direttiva europea del dicembre scorso, entrerà in vigore a partire dal 2024 per garantire che i grandi gruppi versino un carico fiscale effettivo minimo, limitando il trasferimento dei profitti e la concorrenza fra paesi per applicare aliquote inferiori”. 

Se l’UE prova, timidamente, a metterci una pezza resta il problema di colossi internazionali che non solo macinano utili su cui di fatto non pagano tasse nel nostro paese, ma contribuiscono alla chiusura di molti piccoli esercizi commerciali.

Luigi Cabrino

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Articolo pubblicato il 12/06/2023