ARRENDERSI O COMBATTERE - La scelta della Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù 1943

Una ricerca storica inedita che offre nuove conoscenze documentali di Carlo Palumbo

  • La strage dei militari della Divisione Acqui di Cefalonia e Corfù, nel lontano settembre 1943, è stato un evento drammatico e odioso da diventare un simbolo quasi paradigmatico della crudeltà e follia della Wehrmacht sottoposta agli imperativi ordini del regime nazista di Berlino.

Su questo clamoroso evento gli storici hanno prodotto nel tempo una quantità notevole di studi e approfondimenti, mettendo tuttavia in evidenza la sensazione che mancasse sempre qualche prova documentale per stabilire una verità definitivamente condivisa.

Questa “incertezza storica” ha sempre fatto capolino o è sempre stata percepita in tutte le ricerche, mettendo in evidenza la complessità del periodo in cui si è verificato questo tragico evento.

Il libro “Arrendersi o Combattere – La scelta della Divisione Acqui a Cefalonia e Corfù 1943” di Carlo Palumbo (Gaspari editore, via Vittorio Veneto 49 – Udine)  è una monumentale ricerca, durata più di 20 anni, per tentare di ridurre quella “incertezza storica”, che fino ad ora ha sempre permeato le tantissime ed autorevoli ricerche disponibili nella letteratura storico-militare.

L’Autore, cimentandosi in questo gigantesco studio, ha trovato documentazioni, testimonianze di parenti dei sopravvissuti e fotografie d’epoca, che arricchiscono  e che consentono nuove interpretazioni, permettendo di fare un passo in avanti nel aumentare le conoscenze di questa intricata vicenda. Un dato significativo è la conferma che nell’ambito della Divisione Acqui si erano organizzati gruppi filo-tedeschi e forse anche “filo-nazisti”, compromessi nella repressione dei loro stessi compagni d’arme. Realtà che hanno sempre trovato ostacoli di varia natura nell’emergere al fine di contribuire al una verità che poteva essere scomoda per la vulgata ufficiale.

In ogni caso resta la consapevolezza e l’onestà intellettuale dell’Autore in quanto resta ancora da scrivere la parola definitiva su questo ingiustificato e criminale “eccidio”.

I riferimenti salienti sul contenuto del testo sono efficacemente riassunti nella Prefazione dal generale degli Alpini Massimo Panizzi, allorché evidenzia che i militari assassinati a Cefalonia furono protagonisti sfortunati, vittime innocenti di una storia più grande di loro. Tutto sommato Cefalonia, in quel tragico settembre del 1943, restava una sorta di microcosmo ove tutto, in pochi giorni si concentrava: la stanchezza di una guerra logorante e non più capita, l’abbaglio della fine delle ostilità, la speranza e il miraggio del rientro a casa, il passaggio improvviso  dalla quiete alla tempesta, fino all’inferno delle fucilazioni.

Di certo occorre tenere presente la vera chiave di lettura di quei frangenti e cioè la “scelta”: quella di combattere e sacrificarsi, maturata man mano che la situazione si deteriorava. Forse sarebbe stato più consono combattere e morire, anziché arrendersi, accettando una resa disonorevole e la prigionia o, peggio, passare dalla parte del nemico.                                

Momenti decisionali difficili e laceranti su cui è difficile dare un giudizio senza tenere conto del drammatico contesto. Ecco perché ogni giudizio affrettato sui militari della Divisione, guidata dal generale Antonio Gandin, va attentamente valutato se non prudentemente sospeso.

La situazione in cui si trovarono i militari italiani era paradossale. Trascinati nel turbine della storia dall’incertezza dei Comandi italiani, posti di fronte alle possibili conseguenze del criptico “Armistizio di Cassibile”, i nostri soldati (ed i relativi comandanti) si trovarono in uno scenario improvvisamente capovolto e senza speranza: i tedeschi diventavano i nemici, mentre l’aiuto sperato dai nuovi alleati arriverà quando sarà troppo tardi.

Inoltre resta da prendere in considerazione un dato incredibile. Le comunicazioni controverse dei Comandi militari superiori, ordini  contrordini si susseguirono nell’arco di 15 giorni. Il generale Gandin e i suoi Ufficiali furono lasciati soli con la loro coscienza, i loro sentimenti di amor patrio e quelli più strettamente umani. Raramente, nella storia militare recente, un comandante è stato messo di fronte a una responsabilità così grande come quella di decidere, con un ordine sofferto, del destino di miglia di uomini.

Le cifre dell’eccidio sono impressionanti: dopo una settimana di combattimenti, il giorno 22 settembre, la Divisione Acqui si arrende. Nei combattimenti  muoiono centinaia di soldati italiani e decine di ufficiali. I sopravvissuti ai combattimenti “sono trattati  secondo gli ordini del Furer” e, man mano che si arrendono  nel corso della battaglia, sono immediatamente passati per le armi, contrariamente a tutti i regolamenti internazionali che definiscono i comportamenti degli eserciti belligeranti. Secondo le valutazioni  dei comandanti tedeschi  e di una parte delle fonti italiane i caduti sono complessivamente circa 4.000, compresi gli ufficiali. Tuttavia negli ultimi anni alcuni storici hanno ridimensionato queste  cifre, indicando in 2.000 il numero dei militari italiani morti a Cefalonia tra il 15 e il 25 settembre 1943.

Ma non è tutto: finita la strage, nelle isole Jonie rimangono tra 9.000 e 10.000 prigionieri italiani, 5.000 dei quali sono i sopravvissuti di Cefalonia. Altri soldati moriranno, per fame e stenti, nei centri di raccolta dell’isola. Circa un migliaio resteranno prigionieri fino alla partenza dei tedeschi, nel settembre  del 1944, o nei diversi  campi di deportazione, allestiti nell’area balcanica e nell’Europa dell’Est. In totale, circa 2.500 prigionieri, seguiranno le vicissitudini degli altri 600-700.000 soldati italiani internati dal governo tedesco.

Ma la tragedia continua: 6.400 prigionieri furono imbarcati a Cefalonia, per essere trasferiti sul continente ( in Grecia). Di questi 2.555 provenivano  dall’isola di Zacinto. Sappiamo inoltre che quasi tutti i 1.350 soldati, sopravvissuti all’eccidio di Cefalonia, moriranno nell’affondamento di tre navi. Da Corfù partiranno circa 9.100 soldati, molti però già provenienti da reparti catturati sul continente. L’affondamento di una nave trasporto provocò molte centinaia di morti, anche se è impossibile attribuire le vittime ai reparti di origine.

Nel novembre 1944, i militari italiani rimasti a Cefalonia, a cui si erano aggiunti uomini provenienti dal continente (in totale circa 1.300 soldati), rientrano in Italia, ad eccezione di un centinaio di volontari che continueranno la lotta assieme ai partigiani comunisti. Alla fine della guerra, dei circa 5.000 sopravvissuti della Divisione Acqui a Cefalonia solo 3.500 saranno riusciti a tornare in Patria.

Il libro in oggetto ha inoltre il pregio di  presentare la più ampia documentazione fotografica (oltre 540 immagini quasi sempre riprodotte da fotografie originali) oggi disponibile sulla Divisione Acqui e sui reparti presenti nelle due isole tra il 1941 e il 1944.

E’ doveroso citare l’Autore Carlo Palumbo di Lanciano (Chieti) che ha insegnato a Torino, dando vita a progetti didattici e di divulgazione a livello nazionale. Oltre a numerosi articoli, saggi e volumi, ha curato alcune importanti mostre. Si è occupato della Divisione Acqui dal 2002 e su incarico dell’Associazione Nazionale Divisione Acqui e dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito ha riordinato e digitalizzato l’Archivio fotografico di Renzo Apollonio.

Pertanto, data la ricchezza di dati particolari,  questo libro è consigliato agli storici di professione, ai ricercatori, ai cultori di storia moderna, senza escludere i lettori interessati a queste tematiche. (m. b.)

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Articolo pubblicato il 16/06/2023