Tutto e il contrario di tutto.

Condizioni generali e opinioni conseguenze di legittimi dubbi o di una totalmente pervasiva confusione?

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 73 del 01.02.2022 che è stato suddiviso in 6 articoli. Questo è il n°5.

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C’è chi cambia spesso opinione, c’è chi si vanta di non cambiarla mai. C’è chi non ne esprime alcuna perché non ne sente il bisogno, c’è chi chiede ad altri di esprimere opinioni per poi contestarle. C’è chi si sente autorizzato ad esprimere opinioni comunque, indipendentemente dal fatto di averne autorità e competenza, c’è chi evita di esprimerle per evitarne le conseguenze. Ma per quanti sforzi si facciano per controllare il proprio comportamento in merito, nessuno sfugge ai meccanismi perversi che agitano il nostro essere mediante le opinioni che ne derivano.

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Infatti un giorno sosteniamo ciò che andiamo dicendo come se fossimo certi di aver ragione e il giorno dopo, solo perché abbiamo sentito tanti dire il contrario di quanto ci è pervenuto dal nostro interno, allora abbiamo quello che definiamo legittimo dubbio e poi finiamo per credere a quello che viene detto, andando in conflitto con quello che noi stessi sappiamo non essere così. Ciò è sia riduttivo che distorsivo dei fatti e della realtà. Come diceva qualcuno: meglio sbagliare di proprio che seguendo altri che sbagliano come stiamo facendo noi. Poiché sbagliando si impara e quindi meglio non delegare ad altri; si imparerà prima e meglio se avverrà per esperienza diretta. Fortunatamente per noi la vita è molto altro; il senso della vita e il suo scopo è molto altro che noi abbiamo la possibilità di indagare per poi riconoscere e parteciparvi attivamente e coscientemente, nella modalità che ognuno trova coerentemente con il suo piano di vita. Che poi si scopra che il nostro piano di vita ha punti in comune con quello di un altro ci può anche stare, ma non troveremo mai un altro piano di vita esattamente come il nostro. Ognuno è un essere unico e irripetibile. Quello che noi possiamo scoprire oltre a quello che ci hanno insegnato a scuola, direttamente per esperienza, avviene in una maniera estremamente semplice per certi versi e per certi altri assurda. Un certo ing. Rizzolati, uno scienziato ricercatore italiano, ha scoperto recentemente i cosiddetti neuroni specchio (https://it.wikipedia.org/wiki/Neuroni_specchio ). I neuroni specchio all’interno dell’essere umano svolgono una funzione precisa di riconoscimento per analogia e similitudine. Quando vedono un altro essere umano che si muove o agisce in un certo modo essi sono in grado, a partire da due o tre indizi comportamentali, di riconoscere il senso dell’azione che verrà compiuta, ancora prima che essa avvenga concretamente, ovvero riconoscono quale sia l’intenzione che la genera e quindi cosa avverrà di conseguenza, in modo preciso. Bene noi siamo un contenitore di un bel numero di neuroni specchio di ogni cosa che esiste, di “ogni” cosa. Quindi in realtà, semplicemente osservando, noi siamo in grado di riconoscere cose che stanno dentro di noi ma che nemmeno pensiamo che possano esistere, grazie all’effetto di riconoscimento dei neuroni specchio e dell’effetto specchio che ogni cosa ed ogni altro essere umano svolge nei nostri confronti. Ragione per la quale ho imparato, nella mia vita, che anche quando parla un ubriaco, o sento dire cose assurde, mi devo fermare un attimo ad osservare cosa significano quelle cose che vedo come in uno specchio nel quale mi sto specchiando. E normalmente scopro che sono meno assurde di quanto possa credere. Attraverso questi canali, apparentemente portatori di assurdità, si entra in comunicazione con qualcosa che ci fa comprendere meglio quello che noi crediamo di conoscere già fin troppo bene, ma che in pratica non conosciamo affatto, poiché per comprendere veramente quella cosa mancava anche solo quella piccola parte che abbiamo appena sentito. Nel momento in cui quella cosa assurda viene contemplata e accettata si può chiudere l’argomento; essa è stata totalmente compresa correttamente. Si può andare oltre. Faccio un esempio concreto. A suo tempo quando pensai e costruii un triciclo anfibio a pedali credevo che dovesse funzionare in un certo modo a partire dalla cognizione che avevo di tale idea fino al momento in cui realizzai il prototipo. Ma alla prima prova pratica mi resi conto immediatamente che sì, poteva funzionare anche come credevo, ma mi sarei distrutto energeticamente in cinque minuti di uso. In quel modo quell’attrezzo poteva sembrare poco funzionale e problematico. Quando accettai di provare condizioni che non avevo pensato e previsto prima, dopo vari tentativi, scoprii altri principi funzionali, attraverso la cui applicazione un errore fondamentale del sistema poteva diventare la inaspettata chiave di risoluzione per un suo utilizzo perfetto, anche se difficile da spiegare teoricamente (infatti mi ci vollero due anni di spiegazioni e contraddittori per ottenere il brevetto negli USA). Mi ci volle molto tempo per spiegare che un attrezzo che teoricamente non poteva funzionare, invece, usato con tecniche diverse, poteva funzionare benissimo e al di là di ogni aspettativa, anche dove pareva impossibile (https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=31764 ). Invece lo faceva funzionare in una maniera perfetta, ma perfetta non significava spiegabile facilmente. Nemmeno con il supporto di video appositamente girati per farne comprendere il funzionamento su strada, nei prati, sulla neve, sul fango o sull’acqua così com’era senza adattamenti specifici per l’una o l’altra condizione. Ed è stato interessante quando “questa cosa”, quaranta anni dopo, la portai davanti agli 80 studenti (di diversi sessi dai 18 ai 26 anni) del corso di ergonomia dello Iaad, provenienti da ogni parte del mondo, i quali, dopo aver tenuto loro una lezione su come le cose funzionano diversamente da come pensiamo, si trovarono davanti a questo attrezzo, nell’aula magna trasformata per l’occasione in una mini pista di prova, e dovettero provarlo e farlo funzionare, senza riuscirci. Allora mi chiesero una dimostrazione di funzionamento. Dovetti premettere che avevano tentato molti modi di farlo funzionare, meno quello che serviva. Infatti occorreva spostare adeguatamente il proprio baricentro. E così salii sul triciclo e lo feci funzionare davanti ai loro occhi. Piroettare, avanzare, girare su sé stesso, impennare, frenare, andare indietro, sterzare, derapare, etc etc; lo feci funzionare anche se non avrebbe dovuto. Dal momento in cui il funzionamento fu dimostrato, alcuni con difficoltà ed altri più facilmente e subito, a turno salirono sul triciclo e lo fecero funzionare anche loro. Da quel momento in poi fu facile per loro accettare che tutte le cose assurde che passano per la nostra mente, tanto assurde non sono. Bisogna solo fare la fatica di comprendere cosa siano, come funzionano, perché funzionano e quale sia il senso del loro funzionare. Per questo dico che parlare è una cosa, leggere è un’altra cosa, ma fare l’esperienza elimina ogni incomprensione ed ostacolo ad una comprensione onnipervasiva ed incontestabile. Poi il tentativo di spiegare come ciò possa avvenire è tutt’altro e non è detto che riesca. Infatti le variabili che interagiscono per il funzionamento della cosa possono essere in numero maggiore delle combinazioni matematiche che potrebbero definirle, ma ciò non toglie che esse possano funzionare egualmente a dispetto dei nostri limiti di comprensione di come ciò possa avvenire. È la stessa cosa che accade a ciascuno di noi che possiede ed usa la vita senza sapere come essa si produca, come funzioni e per quale scopo essa esista. Ma anche se la dimostrazione del funzionamento possa essere una prova incontestabile non è detto che venga accettata come tale, come mi accadde durante un salone a Torino. Infatti mi trovai a spiegare questo attrezzo ad un visitatore che accompagnava un bambino, il figlio. Mi chiese come funzionasse ed io glielo spiegai. Egli mi disse che non ci credeva. Allora ne presi uno e glielo mostrai praticamente. Terminata la dimostrazione egli mi guardo scettico e portando via il bambino sussurrò ancora: non ci credo! Per molti versi anche noi siamo così riguardo a certe cose con cui non vogliamo confrontarci perché abbiamo timore di mostrare la nostra ignoranza al riguardo. Ci sta tutto, ogni posizione è legittima. Nell’essere umano ci sta tutto. Si può provare il funzionamento di tutto oppure contestarlo e negarlo. Si può credere in cose che ci vengono dette come se le avessimo provate di persona oppure negare l’evidenza di essere finiti contro un muro. Si può prendere atto che cose assurde possano funzionare o essere fatte funzionare e al contrario non riuscire a far funzionare cose che funzionano benissimo. Possiamo credere che funzionino cose che non vediamo e che cose che vediamo funzionare siano semplicemente un trucco, un’illusione. Possiamo non credere di essere gestiti da cose che non vediamo e non conosciamo e credere di essere capaci di gestire cose che neppure conosciamo come se fossimo i loro creatori e padroni. Quindi potete ben comprendere quella complessità di cui parlavo all’inizio; quel complesso quadro che costituisce l’umanità ed ogni essere vivente può essere oggetto di indagine personale, di un processo di comprensione delle cose o di un rifiuto di tutto.

 

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Prosegue nei prossimi articoli

 

foto, e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 23/07/2023