Nessuna tattica può evitarci di dover fare una certa esperienza, ...

… prima o poi dovremo affrontare ciò che cerchiamo di evitare in ogni modo.

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 74 del 08.02.2022 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°3.

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Come è possibile liberarsi da ciò che ci tiene prigionieri, se non siamo ancora pronti a riconoscere di esserlo o giriamo la testa da un’altra parte per non prenderne atto?

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Perché non c’è differenza tra essere prigionieri di un miliardo di pensieri o di uno solo; sempre prigioniero sei!

 

Ah!

 

Chiaro? Anzi: per certi versi quando sei prigioniero di uno solo è più difficile rendersene conto e poterne uscire, mentre quando sei prigioniero di tanti, a forza di battere la testa per ognuno di questi, forse, si può arrivare a comprendere che qualcosa non torna, che ci deve essere qualcosa che non funziona correttamente e che occorre cambiare o lasciar cambiare qualcosa per evitare di finire male senza capirne la ragione. Continuare a battere la testa non è sempre la cosa migliore o utile, né è per forza l’unica possibilità. Ed anche per un’altra ragione ancora più precisa. Abbiamo detto che le tecniche non vanno più bene perché erano sostitutive di qualcosa d’altro, della capacità dell’essere umano di poter conoscere realmente sé stesso direttamente. Questo punto di partenza è lo stesso per chiunque essere vivente. Lo è perfino per un animale. A maggior ragione per un essere umano che non dovrebbe essere più solo un animale. Quindi dovremo comprendere bene, a partire dalla condizione in cui noi ci troviamo così come siamo, quanto il nostro intero sistema sia funzionale proprio a questo aspetto di conoscenza, che non vuol dire studiarsi delle enciclopedie o diventare un fenomeno culturale. Si può essere completamente digiuni di tutto ciò ma saper comprendere a sufficienza quello che serve per conoscere sé stessi.

 

Sul comprendere sé stessi. Faccio un esempio. Una sorta di sdoppiamento in cui tu continui a vedere te stesso mentre agisci o pensi ed acquisire così la conoscenza di te, di ciò che tu, essere che vive nel contesto attuale, fai. Una sorta di registrazione e postprocesso del tuo funzionamento. Detto un po’ approssimativamente.

 

Sì diciamo così! Si può partire da un punto qualsiasi, altrimenti diventerebbe difficile individuare quale sia il punto giusto da cui partire, finendo per non iniziare mai. Oppure attendere di leggere tutti i manuali disponibili, scoprendo alla fine di non riuscire più neanche a fare una cosa semplice, a schiacciare un bottone.

 

Sono d’accordo!

 

Allora cominciamo a schiacciare il bottone della conoscenza di sé. Devi ricordati di schiacciare il bottone ogni volta che fai qualcosa! Occhio che può diventare un automatismo anche questo! Alla fine non si riesce più a capire chi osserva e chi è osservato.

 

Ah, ok!

 

Bisogna avere sempre ben chiaro per cosa si sta schiacciando il bottone e che si sta schiacciando il bottone. Ogni volta occorre avere ben chiaro cosa si sta facendo e per quale ragione. Solo dopo aver chiaro tutto questo potremo premere il bottone. Esempio: dobbiamo andare a lavorare. Premiamo il bottone e attendiamo tutte le domande o suggestioni al riguardo. Perché devo andare a lavorare? Cominciando da questa semplice domanda proviamo ad ascoltare tutte le risposte e suggestioni che ci arrivano. Perché sappiamo che la prima risposta che arriva è: perché si deve lavorare! Ma un’altra domanda si affaccia subito dopo se gliene lasciamo tempo e spazio: ma chi lo ha detto? Beh, la risposta è: perché lo dicono tutti da sempre! Tutti chi? Tutti tutti! E per fare cosa? Perché se no non si mangia! E chi l’ha detto? Se proviamo a stare a casa un giorno dal lavoro, mangiamo lo stesso! Sì, ma se stai a casa 1000 giorni forse già solo al novantanovesimo giorno non mangi più! Alt! In quella situazione nessuno di noi è mai arrivato. Allora la risposta relativa a cosa accade al novantanovesimo giorno non è vera, è solo una supposizione, una proiezione di uno scenario ipotetico che nessuno può avvallare prove alla mano. Allora non serve usare questa possibilità, tra tutte quelle esistenti, per giustificare il nostro dover andare al lavoro assolutamente. Non serve creare ipotetici scenari in cui proiettare i nostri timori come se quello che ne deriva sia vero e inevitabile al punto di doverci attrezzare in anticipo per evitarlo. Gli scenari possibili sono infiniti e noi non possiamo attrezzarci per prevederli tutti ed evitarli tutti. Inoltre noi viviamo proprio grazie a tutto ciò che cerchiamo di evitare, anche se non sappiamo neppure che esiste. Ovvero facciamo di tutto per evitare cose che non sappiamo neppure se esistono, o esisteranno, e non ci occupiamo davvero delle uniche cose che accadono mentre stiamo pensando a come evitarle in futuro. Pura follia! Cosa non faremmo per evitare alcune situazioni, alcune sofferenze ad esse connesse! Eppure proprio agendo come agiamo determiniamo quelli scenari che vorremmo evitare. Simile attira simile attraverso i poli opposti! Per cercare la sicurezza di non entrare in situazioni che ci fanno paura attiriamo proprio ciò che vorremmo evitare. Il boia e l’impiccato finiscono per trovarsi nel luogo dell’impiccagione in perfetto orario. Nessuna tattica funziona per evitarlo. Qualcuno oggi la chiama legge di Murphy o sfiga, ma in realtà si tratta di una legge universale messa un po’ in ridicolo allo scopo di esorcizzarla. Evidentemente però non funziona così; ci vuole ben altro per sfuggirle, ammesso che si possa e riesca. Una delle scorse volte ho preso ad esempio il matrimonio. Il matrimonio tra due persone è una delle cose più assurde che l’essere umano abbia assunto per evitare di arrivare là dove non si vorrebbe arrivare. Questo è un modo, uno qualsiasi tra i tanti. Ma se guardiamo qualsiasi cosa, poco fa avevamo posto l’attenzione sul matrimonio tra due persone, per mantenere in piedi il quale occorrono strategie continue, aggiustamenti e compromessi, poiché si tratta di una convenzione fuori dalle leggi naturali che l’essere umano ha adottato per innumerevoli ragioni legate all’ignoranza delle leggi naturali; ebbene sulla base di un errore come questo, insieme a molti altri, si è strutturata la società. Ed una volta strutturato tutto questo, hai voglia di metterti in meditazione allo scopo di liberartene! Ci vuole ben altro, un rivolgimento totale come minimo! Ci vuole ben altro per svincolarsi dal putiferio che noi stessi abbiamo scatenato. Tutto ciò che abbiamo generato continuerà a starci appresso come un pulcino alla chioccia, anzi come il respiro ai polmoni. E ci chiederà continuamente di essere alimentato, cercando cibo da noi, anzi cibandosi di noi. Ma di tutto ciò siamo proprio sicuri che c’è veramente bisogno o che noi ne abbiamo bisogno? Siamo proprio sicuri che tutto ciò sia richiesto dalla vita? O non ti sia stato chiesto dalla società, dalla tua famiglia o qualcuno altro? E delle conseguenze chi ne risponderà? Tu, gli altri o chi altro? Chi se ne assumerà la responsabilità di quanto accadrà?

 

Una domanda. La ragione per cui era consigliato evitare quello stato di meditazione ogni tanto era per evitare la dicotomia tra due stati alternati di coscienza e quindi le relative tensioni che potevano nascere e ...

 

Certamente! Si chiama schizofrenia! È un modo di indurre uno stato alterato di coscienza sostenendo che sia lo stato di coscienza corretto, senza che lo possa essere veramente. A quel punto è meglio assumere una pillola contro lo stato di cui non si vuole accettare l’esistenza e la sofferenza conseguente. Come per un comune mal di testa, sprecando meno energie e senza bisogno di strani contorcimenti dell’essere. Continuerà il condizionamento perché non puoi ancora accettare il processo per liberartene. Sarai ancora gestito dall’idea che si trova all’origine del processo che ti ha condotto al punto in cui sei. Per la quale le proiezioni che noi esseri umani dotati di corpo produciamo, popolando l’aldilà, ci costringono a continuare a fare quello che facciamo perché diventi cibo per quelle entità disincarnate che lo popolano. Quindi abbiamo intorno a noi e dentro di noi tutto quello che serve per cominciare a capire che cosa ci sta dominando.

 

Guardiamo nelle nostre case e potremo comprendere come siamo dipendenti dalla miriade di oggetti di cui ci siamo circondati. Tutti legati ad un ricordo. Cosa ce ne facciamo di tutto questo? Attraverso tutto ciò che possediamo siamo posseduti! Legati al ricordo che essi continuano a mantenere vivo, attraverso l’energia che noi stessi gli forniamo, di un qualcosa che non c’è più allo stesso modo di quando si è formato e non solo non ci serve a niente ma è controproducente perché ci impedisce di fare altro, costituendo quindi un ostacolo, situato nell’inconscio, ad andare oltre. Per di più non è che noi perdiamo i ricordi semplicemente sbarazzandoci di questi legami materiali, perché i ricordi sono già stati metabolizzati e sono presenti nel nostro sangue e quindi non possiamo liberarcene mediante degli stratagemmi. Però possiamo evitare di renderli sempre più potenti e assumerli come padroni della nostra vita. Quindi utilizzando tutto quello che noi abbiamo, le nostre relazioni, le nostre aspettative relative, le nostre intenzioni nascoste dietro le relazioni, senza farne oggetto di una indagine paranoica e delle relative congetture circa le possibilità di cambiare qualcosa agendo su questo o quello, perché si peggiorerebbe ulteriormente la situazione. Una specie di trappola automatica innescata da noi stessi. Se poi deleghiamo tutto ciò ad altri, permettendo a loro di farlo al posto nostro, peggio ancora: non ne avremo il controllo, ma ne subiremmo le conseguenze egualmente, se non di più. Gli unici che possono fare qualcosa verso noi stessi siamo noi. E facendo qualcosa verso di noi lo facciamo di conseguenza verso tutti coloro che sono legati a noi, in qualche modo, secondo le modalità che abbiamo visto in precedenza. Man mano che prendiamo conoscenza di che cosa ci sta dominando e di come ce ne possiamo liberare, non in maniera cruenta, attenzione, non serve fare la guerra a qualcosa o qualcuno, ma dando loro meno importanza, quindi facendo dipendere meno la nostra vita da quello che crediamo abbia un valore gerarchicamente prioritario nella scala dei valori rispetto ad altri, facciamo crollare questa costruzione piramidale basata su valori ai quali siamo sottomessi, dai quali siamo stati resi dipendenti o abbiamo accettato di dipendere.

 

L’iceberg dell’inconscio inizia gradualmente ad emergere dall’oceano e sciogliersi al sole. E tutto torna al punto di partenza in cui è compreso e niente è separato. Come per ogni nostro respiro. Ogni respiro racchiude in sé tutto, il passato, il presente e il futuro insieme alla nostra continua possibilità di vita.

 

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Prosegue nei prossimi articoli

 

foto e testo

pietro cartella

 

 

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Articolo pubblicato il 09/08/2023