Considerazioni sull’appello di Marcello De Angelis e la strage di Bologna
Nella storia passata e presente del nostro Paese, sono avvenuti fatti, anche gravi, al vaglio della magistratura, con sentenze passate in giudicato, sulle quali si elevano, periodicamente, monumenti alla retorica, senza ammettere segni di dissenso e accorati appelli alla ricerca della verità che emergono da più parti.
E’ il caso del barbaro assassinio del procuratore Bruno Caccia a Torino, ove è caduto in oblio l’appello della famiglia, al proseguo delle indagini per la ricerca dei mandanti, sino alle stragi di Ustica e di Bologna.
La strage alla stazione ferroviaria di Bologna è avvenuta il 2 agosto 1980. Si è trattato di un attentato cui perirono 85 persone e che causò 200 feriti. Rientra indubbiamente nella strategia della tensione degli anni di piombo che insanguinò l’Italia.
A Bologna, il 2 agosto di quest’anno, anche a distanza di oltre quarant’anni da quel 2 giugno 1980 si è rinnovata il ricordo e l’esecrazione, alla presenza dei famigliari delle vittime e delle autorità. E’ anche intervenuto, con una dichiarazione il presidente della repubblica che ha ribadito la conformità della sentenza definitiva.
La domanda che sorge impetuosa è se sia lecito e ammissibile che un cittadino, peraltro colpito negli affetti famigliari, in seguito alle conclusioni di questa vicenda processuale, possa affermare a gran voce il suo dissenso alla vulgata del politicamente corretto.
Il protagonista di tanto clamore è stato Marcello De Angelis, responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio, sui colpevoli di questa strage.
Scrive De Angelis:” … siamo convinti che quel 2 agosto maledetto nasconda ancora verità indicibili”. “Il 2 agosto”, prosegue De Angelis, “è un giorno molto difficile per chiunque conosca la verità e ami la giustizia, che ogni anno vengono conculcate persino dalle massime autorità dello Stato (e mi assumo fieramente la responsabilità di quanto ho scritto e sono pronto ad affrontarne le conseguenze).
La differenza tra una persona d’onore e uno che non vale niente è il rifiuto di aderire a versioni di comodo quando invece si conosce la verità. E accettare la bugia perché così si può vivere più comodi.
Intendo proclamare al mondo che Cristo NON è morto di freddo e nessuno potrà mai costringermi a accettare il contrario.
Così come so per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini”.
“Posso dimostrare a chiunque abbia un’intelligenza media e un minimo di onestà intellettuale, sostiene De Angelis, che Fioravanti, Mambro e Ciavardini non c’entrano nulla con la strage. Dire chi è responsabile non spetta a me, anche se ritengo di avere le idee chiarissime in merito nonché su chi, da più di 40 anni, sia responsabile dei depistaggi”.
Mi limito a dire, conclude De Angelis, che chi, ogni anno e con toni da crociata, grida al sacrilegio se qualcuno chiede approfondimenti sulla questione ha SICURAMENTE qualcosa da nascondere.
A me, con questo ignobile castello di menzogne, hanno tolto la serenità, gli affetti e una parte fondamentale della vita.
Non riusciranno a farmi rinunciare a proclamare la verità. Costi quel che costi..”
Il clamore della sua presa di posizione, è arrivato anche a lambire la presidenza del consiglio, tenendo conto del ruolo ricoperto dal protagonista. Motivazione importante, ma, stante le esternazioni recenti e imbarazzanti, di politici ben più altolocati nelle istituzioni, ciò passa in secondo piano.
Ci pare essenziale che a prescindere dallo stile usato da De Angelis, tenuto conto che da anni, molti osservatori hanno fornito una versione diametralmente opposta alla sentenza, sarebbe opportuno, anzi doveroso, rilanciare la battaglia per una corposa desecretazione degli atti a proposito di pagine buie e dolorose della storia d’Italia come quella della strage alla stazione del capoluogo emiliano-romagnolo.
In sintesi De Angelis, si è detto sicuro dell’innocenza di Fioravanti, Mambro e Ciavardini (quest’ultimo nel frattempo diventato suo cognato), condannati all’ergastolo in via definitiva come esecutori materiali della strage di Bologna.
L’essenza delle sue parole era quella di una critica frontale ai giudici che avevano pronunciato quel verdetto, rifiutandosi fin da subito di prendere in considerazione altre piste che pure sembravano ugualmente plausibili.
Il riferimento è alla famosa “pista palestinese”, scartata repentinamente, ma ciclicamente ritornata d’attualità in questi 43 anni. Al di là delle doverose riflessioni sulla certezza della pena, che in Italia resta un miraggio, visto che quei terroristi neofascisti sono stati condannati all’ergastolo per decine di omicidi, ma ora sono a piede libero, rimangono i punti interrogativi sull’effettiva attendibilità della sentenza sulla strage di Bologna che, come tutte le sentenze, va rispettata e ritenuta la parola definitiva sull’argomento.
Però rimane anche la libertà di ciascuno di criticare le sentenze e di ritenerle ingiuste, sulla base di argomentazioni che possono risultare più o meno plausibili. Senza contare che un libero cittadino come De Angelis non può rischiare il suo posto di lavoro se esercita quel diritto.
La sua esternazione, giusta o sbagliata che sia, rientra nell’ambito della libertà d’espressione e non impegna in alcun modo l’ente pubblico nel quale lavora
E poi, entrando nel merito della polemica, che pure ha suscitato reazioni di indignazione da parte della sinistra, che ha subito chiesto le dimissioni di De Angelis, ma anche in certi settori della destra (la stessa Meloni pare sia molto dispiaciuta dell’accaduto e in imbarazzo per quanto detto da de Angelis), le cose scritte dal responsabile della comunicazione istituzionale della Regione Lazio non sono nuove.
Lui le ha sempre sostenute negli anni, ma, soprattutto, a dichiararle fu, nel lontano 1991, l’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che contestò subito la matrice neofascista della strage di Bologna.
Cossiga “chiese scusa al Movimento Sociale Italiano, per aver a caldo, quando era Presidente del Consiglio, attribuito l’azione terroristica alla destra fascista e aggiunse che i responsabili andavano cercati all’estero, alludendo alla pista palestinese”.
Le parole di Cossiga, pronunciate il 15 marzo 1991, da Capo dello Stato. risultano davvero inequivocabili: “La Targa alla stazione di Bologna che definisce fascista la strage del 1980 va tolta”.
Secondo quel che si è sostenuto, ne corso degli anni, in ambienti politici e culturali italiani, ed apparso su numerosi giornali, si cercò, nel tempo di insabbiare la pista palestinese per evitare di far saltare taciti accordi con i palestinesi, addirittura un rapporto organico tra Brigate Rosse, terrorismo palestinese e servizi segreti italiani, il tutto nell’ambito della politica filoaraba sostenuta in quegli anni dalla maggioranza di governo.
E poi per dare un appoggio al consociativismo strisciante ed all’antifascismo militante. Così anche i Comunisti rimasero avvantaggiati
Parrebbe che, come ha sottolineato lo stesso De Angelis, l'attuale governo, completando un percorso avviato dai governi precedenti, abbia desecretato gli atti riguardanti il tragico periodo nel quale si colloca la strage del 2 agosto 1980. “
Mi auguro, sostiene De Angelis, e noi con lui, che l'attento esame dei documenti, non appena a disposizione, permetta di confermare, completare e arricchire le sentenze già emesse o anche fare luce su aspetti che, a detta di tutti, restano ancora oscuri".
Spenti i riflettori sulle polemiche dei giorni scorsi, cosa farà di concreto il Governo per consentire agli italiani di conoscere la verità?
Perchè un conto è il rispetto per i famigliari delle vittime delle stragi, che non deve mai venir meno, e la ferma e intransigente condanna di tutti coloro i quali hanno attentato all’ordine democratico italiano, altro conto è rinunciare a ricercare la verità delle cose, soprattutto quando fin dall’inizio essa ha mostrato zone d’ombra e lati oscuri, che invece sarebbe il caso di chiarire. Questo è il desiderio di trasparenza di coloro che anelano alla verità ed alla libertà, a prescindere dai protagonisti passati e presenti del caso.
Francesco Rossa - Editorialista
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Articolo pubblicato il 13/08/2023