Mestre - CGIA su salario minimo

L'Analisi di Luigi Cabrino

Di qui la proposta di potenziare la contrattazione decentrata territoriale ed aziendale.

“Come ha avuto modo di segnalare anche il Cnel, il problema dei lavoratori poveri non parrebbe riconducibile ai minimi tabellari troppo bassi, ma al fatto che durante l’anno queste persone lavorano un numero di giornate molto contenuto. Pertanto, più che a istituire un minimo salariale per legge andrebbe contrastato l’abuso di alcuni contratti a tempo ridotto”.

Lo sottolinea l’Ufficio Studia della CGIA di Mestre secondo cui “per innalzare gli stipendi dei lavoratori dipendenti, in particolar modo di quelli con qualifiche professionali minori, bisognerebbe continuare nel taglio dell’Irpef e diffondere maggiormente la contrattazione decentrata”.

Afferma ancora la CGIA:

“Avendo una delle percentuali relative al numero di lavoratori coperto dalla contrattazione collettiva nazionale tra le più alte a livello europeo (95 per cento del totale dei lavoratori dipendenti), dovremmo ”spingere” per diffondere ulteriormente anche la contrattazione di secondo livello, premiando, in particolar modo, la decontribuzione e il raggiungimento di obbiettivi di produttività, anche ricorrendo ad accordi diretti tra gli imprenditori e i propri dipendenti. Così facendo, daremmo una risposta soprattutto alle maestranze del Nord e in particolar modo delle aree più urbanizzate del Paese che, a seguito del boom dell’inflazione, in questi ultimi due anni hanno subito, molto più degli altri, una spaventosa perdita del potere d’acquisto”.

Al 15 giugno scorso erano presenti presso il Ministero del Lavoro 10.568 contratti attivi di secondo livello, di cui 9.532 di natura aziendale e 1.036 territoriali. In relazione alla dimensione aziendale, il 43 per cento era stato sottoscritto nelle realtà aziendali con meno di 50 addetti, il 41 per cento in quelle con più di 100 e il 16 per cento in quelle con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 99. Dei 10.568 contratti attivi, il 72 per cento è stato sottoscritto al Nord, il 18 per cento al Centro e il 10 per cento al Sud. Lombardia (3.218), Emilia Romagna (1.362) e Veneto (1.081) sono le regioni che presentano il numero più elevato. A livello nazionale sono coinvolti 3,3 milioni di dipendenti (il 20 per cento circa del totale nazionale), di cui 2,1 da contratti aziendali e 1,1 da contratti territoriali.

Oltre ad estendere l’applicazione della contrattazione decentrata, l’Ufficio studi della CGIA ritiene che per appesantire le buste paga sarebbe necessario rispettare le scadenze entro le quali rinnovare i contratti di lavoro. Al netto del settore dell’agricoltura, del lavoro domestico e di alcune questioni di natura tecnica, al 1° settembre scorso il 54 per cento dei lavoratori dipendenti del settore privato aveva il Ccnl scaduto. Si parla di quasi 7,5 milioni di dipendenti su un totale che sfiora i 14 milioni.

E’ molto difficile individuare le cause che non consentono la sottoscrizione del rinnovo entro la scadenza prevista dal contratto, tuttavia è verosimile ritenere che in molti casi ciò sia riconducibile alla difficoltà riscontrata dalle parti sociali a trovare un accordo sugli aumenti economici che vada bene sia al Nord che al Sud. Insomma, non essendo sviluppata sufficientemente la contrattazione di secondo livello, che per sua natura è in grado di premiare la produttività aziendale/territoriale e definire le contromisure per contrastare l’inflazione che, come sappiamo, ha tassi differenziati tra regioni e regioni e tra aree centrali e aree periferiche, è sempre più difficile raggiungere una intesa sugli aumenti retributivi di settore entro la scadenza prevista per un contratto che vada bene da Sondrio fino a Ragusa.

 

Luigi Cabrino

 

© 2023 CIVICO20NEWS - riproduzione riservata

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 31/10/2023