Cosa cela la bocciatura della modifica del Trattato Mes?

A causa del nostro debito abbiamo da tempo perso la nostra sovranità

Abbiamo le pezze al…, ma siamo sempre in campagna elettorale e con l’illusione di raccattare uno zero virgola in più di un competitore, i nostri leader politici sono disposti a fare di tutto. E’ un copione già visto.

Il voto della settimana scorsa a Montecitorio che ha respinto la modifica del Trattato del Mes,  segna l’ufficiale avvio della campagna elettorale per le elezioni del Parlamento europeo. Ogni partito viaggia da solo e punta a massimizzare il suo tornaconto nelle urne rispolverando i suoi cavalli di battaglia più identitari.

Lo scenario è aperto, vivremo i prossimi sei mesi con colpi di scena reali o farlocchi!

La Lega aveva sempre detto no al Mes in modo perentorio (così come i 5 Stelle) e quindi gioisce per la decisione presa dall’Italia, ma avrebbe probabilmente potuto incassare un più cospicuo dividendo di voti alle prossime europee se Meloni e Fratelli d’Italia fossero stati più tiepidi sul tema.

Invece Palazzo Chigi ha preferito la linea dura e quindi ha tolto a Salvini un’arma importante per distinguersi dal resto della coalizione e per intestarsi in solitudine la bocciatura del Mes. Una mossa abile di Fratelli d’Italia, che però potrebbe creare dei problemi alla Meloni in sede europea.

Forza Italia si è astenuta non per intima convinzione, ma per non appiattirsi e per potersi presentare alle elezioni con una propria posizione autonoma e magari conquistare qualche elettore riformista schifato dalla scelte demagogiche e prive di sbocchi di Elly Schlein.

Qual è il quadretto? La riforma del Mes presentata dalle opposizioni è arrivata al voto in aula a Montecitorio ed è stata bocciata, com’è noto, da una parte della maggioranza, che si è divisa.  Ma anche l'opposizione è frantumata, con Pd, Iv, Azione e +Europa che hanno votato a favore, Avs che si è astenuta e i 5 Stelle, come ampiamente annunciato da Giuseppe Conte, che hanno votato contro.

Vista, dunque, la trasversalità registrata nella votazione, si potrebbe parlare di rivincita dei sovranisti. In realtà la lettura più aderente alla realtà è un pò diversa e va ricondotta all’ormai piena campagna elettorale nella quale siamo immersi in vista dell’appuntamento con le urne del 9 giugno prossimo per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo. 

In questi giorni si sprecano le analisi sugli effetti della bocciatura del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) da parte della Camera. C’è chi la valuta positivamente, chi negativamente.

Come ha magistralmente sostenuto Elio Ambrogio nell’articolo pubblicato ieri su Civico20News e secondo alcuni sostenitori del governo, si tratta dell’attestazione che l’esecutivo Meloni sta dimostrando autorevolezza in sede europea e riesce a puntare i piedi e a dire dei no agli alleati. I più entusiasti tra loro leggono questa decisione come una ripicca della Meloni contro la Germania, che avrebbe trattato male l’Italia nella revisione del Patto di Stabilità.

Diego Fusaro afferma: “ Il MES, Meccanismo Europeo di Stabilità. un poderoso dispositivo teso a de-sovranizzare anche sul piano politico gli stati europei. Stati europei che già sono stati de-sovranizzati sul piano economico e monetario grazie alla moneta detta Euro e che ora grazie al MES perderebbero anche la propria sovranità politica come avvenuto peraltro in maniera adamantina con il caso della sventurata Grecia che si è trovata costretta de iure ad attuare le riforme imposte da Bruxelles…”

A detta, invece, da chi contesta le scelte di Palazzo Chigi, si tratta di un autogol pericoloso che rischia di far perdere alle banche italiane il paracadute del sostegno solidale dell’Europa, con conseguente indebolimento dell’economia nazionale. 

Al di là degli scambi di critiche e accuse tra maggioranza e opposizione, il tema imprescindibile in ogni seria valutazione sullo stato di salute dei nostri rapporti con l’Europa, poggia sull’inconfutabile realtà, cioè l’Italia non è nelle condizioni di negoziare alcunchè da una posizione di forza.

La sovranità l’abbiamo perduta divenendo un Paese fortemente indebitato, e quindi a rischio di tenuta finanziaria, per di più in un contesto di grave crisi demografica e di collasso della produttività. A prescindere dagli aspetti tecnici, su cui è legittimo avere opinioni differenti, il cuore del problema, ignorato dalla politica politicante, rimane il debito pubblico e la sua sostenibilità, a cui si collega la sicurezza dei risparmi delle famiglie e delle Banche italiane.

Quando la traiettoria dei debiti aumenta in modo eccessivo rispetto alla crescita economica, il debitore incontra difficoltà crescenti a finanziarsi, finendo col non riuscire più a onorare il proprio debito. Ciò vale per le famiglie, le imprese e, su orizzonti più lunghi, anche per gli Stati sovrani: l’Argentina insegna.

In Italia, il grande malato è proprio lo Stato, gravato dal macigno del debito pubblico maggiore dell’area euro: circa 2.870 miliardi di euro, pari al 140% del Prodotto Interno Lordo (contro una media dell’area del 91,4%), che comporta una spesa per interessi annua pari a circa 78 miliardi di euro, destinati a salire verso i 100 miliardi nel 2024 a causa del rialzo dei rendimenti dei titoli governativi.

Il quadro è aggravato dall’invecchiamento demografico, che rende sempre più pesanti gli oneri previdenziali e assistenziali, spesati su una popolazione in età lavorativa in costante contrazione, danneggiando così la produttività e le prospettive di crescita economica. Le famiglie, invece, detengono una ricchezza molto elevata rispetto ad altri Paesi dell’area euro con conti pubblici maggiormente in equilibrio.

Una crisi del debito sovrano italiano avrebbe effetti traumatici sulla tenuta di tutta l’area; ciò rende comprensibile la paura dei Paesi finanziariamente più stabili, i quali vorrebbero che in tale eventualità fossero i risparmiatori italiani, in prima battuta, a farsi carico di un’eventuale ristrutturazione del proprio debito. Il golpe di Napolitano nei confronti del governo Berlusconi e la nascita del governo Monti, ampiamente lo attestano.

La messa in sicurezza del debito pubblico è stata finora garantita dalla Banca Centrale Europea (Bce), con programmi di massicci acquisti dei titoli dei debiti sovrani sul mercato secondario, che hanno portato i rendimenti verso, e addirittura al di sotto, dello zero: tali interventi, da un lato, hanno danneggiato i creditori/risparmiatori, che per molti anni si sono trovati nell’impossibilità di investire i propri risparmi a condizioni remunerative; dall’altro, hanno consentito ai governi di finanziarsi a costi “politici”, particolarmente convenienti, e di allungare la durata media del proprio debito, rendendosi così meno fragili a fronte di futuri shock momentanei sui tassi.

Le critiche al Mes riguardano le condizioni richieste per la concessione di prestiti, col rischio di una forte perdita di sovranità per quei Paesi che si troveranno costretti, obtorto collo, a ricorrere all’aiuto. L’Italia, stante il quadro economico-finanziario, è ovviamente il primo candidato dell’area euro, e un intervento del Mes comporterebbe inevitabilmente l’imposizione di misure molto pesanti di austerità: di qui, le preoccupazioni e le reticenze alla ratificazione del meccanismo da parte del nostro governo.

Quali potrebbero essere le prossime mosse?

Il voto con cui il Parlamento italiano mette la parola fine alla riforma del fondo salva-Stati è stato accolto sicuramente con freddezza e sconcerto in alcuni ambienti europei. Ora il completamento dell'Unione bancaria è a rischio - è il monito comune dai toni duri del direttore generale del Mes, Pierre Gramegna, e del presidente dell'Eurogruppo, Paschal Donohoe   

Fra sei mesi il tema della ratifica del Mes potrebbe anche riproporsi. Anzi un eventuale ripensamento sul Mes potrebbe costituire la carta di Palazzo Chigi per tentare di sfruttare nuovi equilibri nella governance europea, dopo gli auspicabili mutamenti dei rapporti tra i Paesi europei e in caso di indebolimento dell’asse franco-tedesco.

 

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Articolo pubblicato il 28/12/2023