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Politica Nazionale
Presidenzialismo
Timori perenni di una deriva antidemocratica
Articolo di Armeno Nardini
Pubblicato in data 17/09/2022

Lo spettro nero del presidenzialismo è il vento che ha dato fuoco alla pira di questa brutta campagna elettorale e quando la fiamma ne avrà ridotto in cenere i legni ramazzati in giro e ammassati in fretta, quel vento spettrale, dicono gli aruspici, soffierà ancora sulle ceneri per consegnarle al popolo, nell’urna crematoria d’una riforma costituzionale, perché le onori in memoria di quel ch’è stato, ponendosi domande sull’aldilà.

L’ipotesi di una modifica della nostra Costituzione con la radicale trasformazione della attuale forma di governo parlamentare a quella presidenziale non è una novità propugnata dalla destra politica di questa campagna elettorale. Negli anni scorsi, infatti, era stata appoggiata anche dalla sinistra, in particolare dal fondatore dell’Ulivo e Presidente del Partito Democratico Romano Prodi, cui certamente erano ben noti i difetti dei governi parlamentari, essendo stato Ministro e per ben due volte Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana.

Nelle forme di governo parlamentari è il Parlamento, eletto dal popolo, che elegge il Presidente della Repubblica, il quale è Capo dello Stato e nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e anche i ministri proposti dal Premier.

Nelle forme di governo presidenziali, invece, sono i cittadini che votano direttamente il Presidente della Repubblica, il quale non ha bisogno del voto di fiducia del Parlamento perché ha già ottenuto il voto della maggioranza dei votanti; egli è Capo dello Stato e Capo del Governo e nomina lui i ministri. Anche nelle forme di governo così dette semipresidenziali il Presidente della Repubblica viene eletto direttamente dal popolo, ma è lui che provvede alla nomina del Primo ministro il quale, col suo esecutivo, deve ottenere poi la fiducia del Parlamento.

Governo presidenziale è quello degli Stati Uniti d’America e di molti altri Stati di quel continente. Anche la Francia ha un governo presidenziale; ma lì, il Presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo, provvede poi alla nomina del Primo ministro col quale condivide alcuni poteri, per cui, certi specifici atti del Capo dello Stato vanno controfirmati dal Primo ministro e, all’occorrenza, dai Ministri responsabili. Si parla dunque, in questa forma di governo, di semipresidenzialismo alla francese. Semipresidenziale, con norme di funzionamento proprie, è anche il governo della Federazione Russa e quello della Lituania, mentre sono governi presidenziali quello della Bielorussia e di Cipro. Nel resto dell’Europa, gli altri Stati sono monarchie o repubbliche parlamentari, come l’Italia, in cui il Parlamento, costituito dal Senato della Repubblica e dalla Camera dei deputati, viene eletto dai cittadini ogni cinque anni e detiene il potere di nomina del Presidente della Repubblica, al quale spetta il potere di nomina del Presidente del Consiglio che, coi ministri, deve ottenere la fiducia delle due Camere parlamentari.

Giovanni Guzzetta, professore ordinario di Diritto pubblico all’Università di “Tor Vergata” a Roma, su “Linkiesta”, ebbe a dichiarare che il presidenzialismo era ormai “appoggiato da più parti” e aggiunse che il tema, da lungo tempo, appannaggio del centrodestra, piace anche a molti esponenti del Pd”; osservò inoltre che da qualche anno il Presidente della Repubblica era spesso “chiamato a un ruolo di supplenza sempre maggiore ai partiti e al governo” e questa era “una discrasia evidente rispetto al ruolo che sarebbe conferito al Presidente della Repubblica dalla Costituzione”. Questa intervista, curata da Dario Ronzoni, era stata rilasciata il 3 giugno del 2013, un paio di mesi prima che, per la seconda volta come ancora mai nessun altro, fosse stato nuovamente eletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale si sarebbe dimesso il 14 gennaio 2015. Anche già Presidente del Gruppo dei deputati comunisti e Presidente della Camera dei deputati, Napolitano nel corso del suo mandato nominò cinque presidenti del Consiglio dei ministri, cinque giudici della Corte costituzionale e cinque senatori a vita e, per alcune ingerenze amministrative e un certo autoritarismo decisionale, per il quale fu anche accusato di rivendicare privilegi quasi da monarca assoluto, meritò, con intento non laudativo, il titolo di “Re Giorgio”, ripreso anche dalla stampa internazionale.  

Nel 2013, il 31 marzo, quando già molto si parlava della successione di Napolitano, prossimo alla scadenza del suo mandato a Capo dello Stato e della sua possibile riconferma, che avvenne il 20 aprile successivo, Vittorio Feltri su “Il giornale”, nell’editoriale Italia presidenzialista (ma a sua insaputa)”, scrive che ”il Capo dello Stato non è più, come in origine, un grigio e silenzioso notaio che si limita a registrare gli atti. Oggi, li determina. È lui il progettista ed è lui il direttore dei lavori… Se il capo dello Stato è - come verificato - il Demiurgo, venga eletto direttamente dai cittadini”.

Sempre nel 2013, il 5 giugno, poco dopo la riconferma di Napolitano a Capo dello Stato, in una intervista rilasciata al “Corriere della Sera”, Gustavo Zagrebelsky, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Torino, dichiara che il presidenzialismo è un tema tradizionale della destra autoritaria, cavallo di battaglia già del MSI, poi cavalcato dal partito di Berlusconi. Ed è uno dei punti centrali del piano di rinascita nazionale di Gelli”; nei giorni scorsi, scrive su “La stampa” che il presidenzialismo è “un pericolo per questa Italia" perché il Presidente della Repubblica perderebbe “il ruolo di garante della Costituzione”, non sarebbe più “una figura super partes”. Simonetta Fiori, nel pezzo su “repubblica.it/cultura” del 6 agosto scorso, riporta che questo costituzionalista non è “contrario al modello presidenzialista in sé, ma alle conseguenze che potrebbe avere in Italia”, dove “l’architettura dello Stato” non è “adatta alla base sociale e politica del Paese”: per Zagrebelsky, infatti, “esiste una nostra attitudine a servire il potente che è ampiamente dimostrata dal consenso plebiscitario a Mussolini sotto il fascismo”.

C’è dunque chi vede nel presidenzialismo, con la concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente della Repubblica, il pericolo di una gestione egemonica e autoritaria dello Stato; ma i tempi cambiano e per Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia,  filosofo, saggista, accademico, politico e opinionista tanto seguito quanto contestato, il no al presidenzialismo, anche per una parte del centrosinistra, è il retaggio di una vecchia cultura parlamentaristica, di un’ideologia della centralità del Parlamento presente nel PCI e nella DC e ora nel PD, o in chi teme perennemente una deriva anti-democratica: lo disse a Francesco Gioffredi nella intervista del 4 giugno 2013, riportata da “quotidianodipuglia.it” e la sua è ancora oggi affermazione difficilmente contestabile, almeno nella parte in cui denuncia timori perenni di una deriva antidemocratica.

Nelle emergenze, un governo presidenziale, con un premier votato direttamente dal popolo, potrebbe rivelarsi il più adatto per rispondere alle necessità di un Paese nel quale, per scongiurare pericolose autarchie decisionali, si fosse prima provveduto a un adeguato rafforzamento dei poteri del Parlamento e, perché no, anche delle autonomie locali, particolarmente qualificate nella interpretazione dei bisogni del popolo, cui sono molto vicine.

In Italia, per i gravi imprevisti da covid, che hanno innestato complesse problematiche sociosanitarie ed economiche in un crescendo di situazioni quasi kafkiane, è stata invocata una guida governativa capace di decisioni rapide ed efficienti.

Da noi, però, la curva a gomito del presidenzialismo lungo la strada nuova di una radicale modifica costituzionale, è forse la più temibile e pericolosa per il nostro passato storico: ne stiamo parlando da anni e non siamo ancora preparati ad affrontarla in sicurezza; ma tutte le strade portano a Roma e la migliore potrebbe essere ancora quella vecchia, bisognevole solo di una ripassata alla segnaletica orizzontale di strisce bianche sbiadite dal tempo, perché nessuno perda la retta via.

Si vales, vàleo.

 

Sonia Alfano, politico italiano, presidente della Commissione Speciale Antimafia, già europarlamentare per l’Italia dei Valori, sostiene nell’ articolo Presidenzialismo, siamo già in monarchia (“Il Fatto Quotidiano”, 7 giugno 2013), con tono critico: “Continuano i mirabolanti progressi del dibattito politico italiano. Adesso è il turno della discussione sul presidenzialismo. L’ipocrisia è perfettamente bipartisan, sul punto. Due cose vorrei dire. La prima è che non è necessario affannarsi tanto, perché il presidenzialismo, benché non sia stato istituito per legge, è già la forma di governo vigente: Napolitano, infatti, in barba alla Costituzione che dovrebbe ‘custodire’, sta ‘governando’. Ha deciso lui chi deve governare, come e persino quanto. È più che presidenzialismo: questa è monarchia!”.

Massimo Cacciari,  ---  Una riforma presidenzialista comporta un governo di grande forza e compattezza.  --- Sul motivo per cui sia una riforma tabù anche per una parte del centrosinistra risponde: “È il retaggio di una vecchia cultura parlamentaristica, di un’ideologia della centralità del Parlamento presente nel PCI e nella DC e ora nel PD, o in chi teme perennemente una deriva anti-democratica”. Secondo Cacciari per contro la soluzione presidenziale è quella più adeguata rispetto alla situazione italiana --- Diciamo che c’è una 'emergenza' e c’è bisogno di un governo efficiente e rapido nelle decisioni: e allora cosa c’è di meglio di un governo retto su un premier votato direttamente dal popolo? Il che comporta un rafforzamento del livello parlamentare e delle autonomie” 

Gustavo Zagrebelsky: "Il presidenzialismo, un pericolo per questa Italia" --- "Il presidenzialismo proposto da Giorgia Meloni potrebbe tradursi in un regime autoritario sul genere di quello di Orbán, dove il presidente della Repubblica perde "Io non sono contrario al modello presidenzialista in sé, ma alle conseguenze che potrebbe avere in Italia. Ogni forma di governo è come un abito che deve essere indossato: bisogna tenere conto delle caratteristiche specifiche del corpo di una nazione, anche dei suoi difetti"."Dicono che ogni forma di governo, e quindi l'architettura dello Stato, deve essere adatta alla base sociale e politica del Paese in cui deve essere realizzata.

 perché il popolo italiano è poco adatto al presidenzialismo? "La risposta ha radici profonde nella nostra storia.  Ecco, esiste una nostra attitudine a servire il potente che è ampiamente dimostrata dal consenso plebiscitario a Mussolini sotto il fascismo. Noi abbiamo questa pulsione ad adeguarci, che può contagiare i poteri economici o l'informazione:  ---  Se si realizzasse la proposta di Meloni, diventerebbe un soggetto governante e iperpoliticizzato: eletto a suffragio diretto, con il sostegno di una forza politica, nomina il primo ministro, su proposta del premier nomina e revoca i ministri, e presiede il Consiglio dei ministri salva delega al primo ministro. Ora una figura di questo genere è espressione di una sola parte politica, quella che ha vinto, non è più super partes e quindi non si può pretendere che sia garante della Costituzione che è un bene di tutti. 

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