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Politica Nazionale
Giuseppe Pella (1902-1981): un cattolico-liberale.
Biografia di un uomo, storia di una nazione.
Articolo di Andrea Farina
Pubblicato in data 20/01/2023

La maggioranza della popolazione ricorda i nomi dei politici passati principalmente per via della toponomastica delle strade o per qualche monumento, più o meno ben conservato. Eppure, conoscere la vita e la carriera di uomini che abbiano rivestito incarichi di prestigio nel nostro paese, significa mettere a fuoco con maggiore dettaglio la storia d’Italia.

Tra coloro che, dopo la seconda guerra mondiale, hanno ricoperto ruoli istituzionali di primo piano vi è Giuseppe Pella: un cattolico per certi versi anomalo perché di orientamento liberale e liberista, più vicino alle posizioni del mondo imprenditoriale che del sociale.

Pella nasce a Valdengo, un paesino del biellese, il 18 aprile 1902. Figlio di agricoltori, conseguito il diploma di ragioniere presso l’Istituto “Sommelier” di Torino, nel 1924 Pella si laurea in Scienze economiche e commerciali nel capoluogo piemontese.

Entrato in contatto, durante il periodo universitario, con Pier Giorgio Frassati – proclamato beato da Papa Giovanni Paolo II – Pella si iscrive al Partito Popolare Italiano. Prestato per qualche anno insegnamento nelle scuole secondarie, Pella inizia a collaborare con l’Istituto Superiore di Scienze economiche e commerciali di Torino, a cui affianca l’attività di commercialista, diventando – tra l’altro – segretario dell’Associazione nazionale dei lanieri.

Con l’avvento del fascismo, Pella riduce il proprio impegno politico, rimanendo peraltro in rapporti con Luigi Einaudi e i membri della rivista «Riforma Sociale», contrari a Mussolini.

Sposatosi nel ‘35 e divenuto padre, dal luglio ’43 Pella fornisce consulenza finanziaria al Comitato di Liberazione Nazionale di Biella. Eletto all’Assemblea costituente tra le fila della D.C., nel ’47 Pella diventa ministro delle Finanze nel IV governo De Gasperi, quindi ministro del Tesoro (con l’interim al Bilancio) nel V esecutivo De Gasperi.

Confermato deputato nel ’48, Pella insiste sulla necessità di adottare una politica economica che difenda la stabilità della lira, riaffermi la centralità del risparmio e delle imprese quale perno di crescita del paese. Inoltre, Pella auspica limiti alla sfera dell’agire pubblico e una finanza che eviti sforamenti di bilancio, nonché un’ampia cooperazione con gli U.S.A..

Ministro del Tesoro (con l’interim al Bilancio) nel VI esecutivo De Gasperi e del Bilancio (con l’interim al Tesoro) nel VII governo De Gasperi, la nomina di Pella non va esente da resistenze. In particolare, chi si contrappone è la corrente D.C. di Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira (futuro sindaco di Firenze) e Alfredo Frassati, direttore de “La Stampa” sino al 1925 e poi senatore dal ‘48 al ‘53.

Il contrasto nasce dalla volontà di voler ricorrere a sforamenti di bilancio utili a reperire risorse finanziarie appropriate a un maggiore intervento sociale (e in ambito economico) dello Stato.

Rieletto deputato nel ’53, Pella è nuovamente ministro del Bilancio, con l’interim al Tesoro, nell’VIII De Gasperi. A De Gasperi segue un esecutivo guidato proprio da Pella che dura dal 17 agosto ‘53 al 19 gennaio ’54.

Si tratta di un monocolore D.C. che ottiene la fiducia, oltreché della D.C., del P.L.I., del Partito Nazionale Monarchico e della Südtiroler Volkspartei. Coerente con la linea di pensiero sostenuta, Pella insiste sulla necessità di liberalizzare l’economia e di ridurre il deficit di bilancio.

Tuttavia, è sul piano della politica internazionale che il governo Pella affronta le maggiori difficoltà, ma parimenti beneficia di ampi consensi. A settembre, il maresciallo Tito rivendica la sovranità jugoslava sulla città di Trieste, a cui il governo Pella reagisce inviando al confine unità militari.

Il timore di un conflitto è palpabile e si esaspera quando, a inizi novembre, a Trieste (al tempo territorio libero sotto il controllo del Governo Militare Alleato) si consumano ripetute e partecipate manifestazioni filoitaliane, violentemente represse dalle forze dell’ordine, che provocano morti e feriti e conseguenti (e inevitabili) proteste di solidarietà in numerose parti d’Italia.

Benché il comportamento del governo Pella non pecchi sicuramente di mancanza di difesa degli interessi nazionali, queste fibrillazioni si riverberano sull’esecutivo, costringendo Pella alle dimissioni.

Si apre così un periodo maggiormente legato alle istituzioni europee, che porta Pella a presiedere la CECA e il Parlamento europeo.

Sebbene Pella continui a godere della stima degli ambienti liberali e del mondo imprenditoriale e ricopra la prestigiosa carica di vice-Presidente del Consiglio dei Ministri e ministro degli Affari Esteri durante l’esecutivo presieduto da Adone Zoli (entrato in carica nel maggio ‘57), la parabola politica di Pella comincia a declinare.

Infatti, in quegli anni, la classe parlamentare italiana inizia a prendere le distanze da orientamenti liberisti e a premere per incrementi della spesa pubblica che mal si conciliano con l’opposizione sul punto espressa da Pella.

Confermato parlamentare nel ’58, nuovamente Ministero degli Esteri nel II governo Segni (febbraio ’59-marzo ’60), a partire dal biennio ’61-’62, per via della contrarietà di Pella al coinvolgimento del P.S.I. in ruoli di governo e al progetto di nazionalizzazione delle industrie private che producevano elettricità e la conseguente creazione dell’ENEL a direzione pubblica, Pella si ritrova in una posizione di minoranza all’interno della stessa D.C..

Rieletto deputato nel ‘63, senatore nel ’68 e nel ‘72, Pella ricopre il suo ultimo incarico di governo – quale ministro delle Finanze – nel I esecutivo Andreotti. Alle elezioni del ‘76 Pella non si ricandida. Morirà a Roma il 31 maggio ‘81.

Volendo tracciare una sintesi, non appare peregrino affermare che, per molti aspetti, la parabola politica e umana di Pella coincida con quelli che sono stati i passaggi più significativi che l’Italia ha vissuto nel corso del c.d. “secolo breve”, individuato nel periodo 1914-’91 dallo storico britannico Eric Hobsbawm.

Iscrittosi al Partito Popolare all’alba della democrazia in Italia, dopo la parentesi fascista (che lo vede schierato su posizioni di moderata contrapposizione al regime), Pella raffigura forse in maniera più significativa che altri la volontà di stabilità e di rigore nei conti pubblici attuata nei primi anni del dopoguerra.

Verso la metà degli anni Sessanta, il declino della fortuna di Pella coincide poi con la crescente pressione dei ceti medi e popolari – primariamente interpretata dai partiti di sinistra e dall’ala maggiormente popolare della D.C. – che reclama un più significativo intervento dello Stato nel campo economico e sociale e che, poco alla volta, sposta l’asse di governo da posizioni centriste e in parte conservatrici verso assetti di centro-sinistra che confliggono con la posizione di Pella e che, se da un lato conducono il paese a un implementato livello di welfare e di benessere, dall’altro producono importanti sforamenti di bilancio che, con il trascorrere dei lustri, danno vita a quell’enorme debito pubblico che oggi affligge il nostro paese.

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