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“Piove, governo ladro!” – Da dove nasce questo modo di dire?
Diverse le ipotesi, una trova origine nella seconda metà dell’Ottocento
Articolo di Mauro Bonino
Pubblicato in data 27/01/2023

In tutte le società organizzate e in tutti i periodi storici, l’attività dei “Governi”, sia assolutistici che democratici, ha sempre trovato l’inevitabile contestazione da parte di strati della popolazione amministrata.

Il fatto rientra nella fisiologica normalità del comportamento di società le cui componenti hanno sempre rappresentato istanze, interessi di classe, economici e aspirazioni diverse e sovente conflittuali dove, ovviamente, i rispettivi “Governi” non potevano trovare una sintesi politica che contemporaneamente potesse soddisfare le richieste delle diverse componenti sociali.

Altro discorso è stata la reale consistenza del “dissenso” nei diversi periodi storici e nelle diverse realtà istituzionali dei Paesi in cui questi fenomeni sociali hanno avuto modo di manifestarsi.

La storia passata e recente ci ha offerto in modo significativo tantissimi esempi di come le manifestazioni del dissenso siano state e continuino ad essere soffocate nella repressione violenta e sanguinaria, da parte di regimi totalitari, teocratici, o caratterizzati da “democrature” autoritarie, prive di una vera opposizione istituzionale operante in piena libertà.

Pertanto prendendo in considerazione la realtà dei Paesi di consolidata democrazia occidentale, il fenomeno della “critica o contestazione” popolare ha sempre trovato il modo di manifestarsi, con risultati discutibili, ma che in ogni caso hanno ottenuto il riconoscimento attraverso la consacrazione storica in consolidati motti proverbiali.

Il modo di dire “Piove, governo ladro” si presenta curioso e nello stesso tempo decisamente incerto.

Esistono molte versioni sull’origine di questo modo di dire, che si possono riassumere nelle seguenti narrazioni.

1)- Le più antiche e “fantasiose” sono attribuite addirittura agli Egizi, ai Romani e anche ad Agostino d’Ippona (ad un particolare episodio del De Civitate Dei).

2)- Secondo alcuni questa espressione sarebbe da attribuire ai contadini del Regno Lombardo-Veneto che, nelle stagioni piovose, prevedevano raccolti significativi e quindi anche maggiori tasse.

3)- Tra le ipotesi anche quelle legate al Granducato di Toscana dove venne tassato il sale, pesato nei giorni di pioggia per fare in modo che il governo ne traesse maggiori profitti.

4)- La tesi oggi più accreditata è quella legata a una vignetta satirica di Casimiro Teja che sarebbe stata pubblicata nel 1861 su “Il Pasquino” (giornale satirico torinese fondato nel 1856) in cui erano stati disegnati tre mazziniani al riparo dalla pioggia che aveva fatto fallire una loro dimostrazione a Torino. Il testo recava appunto la frase “Piove, governo ladro!”.

Da Quora (piattaforma forum dove gli utenti possono pubblicare domande e risposte su qualunque argomento) viene riproposta questa quartultima spiegazione, con la testata del primo numero del giornale “Il Pasquino” (27/01/1856) che riportiamo.

Perché si dice “Piove, governo ladro”?

È un’espressione che parte dal presupposto che il potere costituito sia sempre disonesto e colpevole di tutti i mali possibili: anche della pioggia.

L’origine dell’espressione risale al 1861, in occasione di una manifestazione mazziniana a Torino saltata per la pioggia.

Il settimanale satirico “Il Pasquino” pubblicò una vignetta che raffigurava tre di loro mentre si riparavano dalla pioggia aggiungendovi la didascalia:

“Governo ladro, piove!”, divenuta poi il motto della testata.

 

Ad una attenta verifica è stato visionato il PDF de “Il Pasquino” del 1861 e la “vignetta” sopra riportata non esiste. Potrebbe darsi che sia stata pubblicata in altro anno, ma in ogni caso l’attribuzione di Quora è senza una prova documentata. Idem l’attribuzione della “vignetta” al grande caricaturista Casimiro Teja.

Conseguentemente, senza avere la presunzione di possedere la verità in merito, riteniamo che la vera attribuzione di questo modo di dire sia ancora da accertare. Un fatto emerge con grande evidenza: l’informazione, documentata in modo incontrovertibile, sta diventando sempre più rara, mentre la tentazione dell’approccio superficiale-approssimativo viene avallato e condiviso in un contesto di tacita consuetudine.

In ogni caso, al di fuori delle considerazioni sulla congruità informativa, la “narrazione” di questo modo di dire riassume sostanzialmente un aspetto antropologico profondo e cioè la vocazione umana a trovare sempre un capro espiatorio nelle situazioni in cui emerge il senso di sollievo nell’addossare colpe, insuccessi, manchevolezze, incapacità ad altri al fine di autoassolversi.

In realtà il vero problema è quello di capire il perché l’evoluzione umana ha preferito questo meccanismo comportamentale in cui si privilegia in modo sorprendente una via di fuga liberatoria, anche se questa può chiaramente sconfinare in un atteggiamento d’irresponsabilità.

Come sempre la natura riserva segreti difficili da spiegare e che sembrano confliggere con la morale e l’etica che ci è stata inculcata.

Probabilmente la necessità della sopravvivenza ad ogni costo dell’individuo esclude, in modo prioritario, ogni altro condizionamento e categoria ideologica.

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