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Politica Nazionale
Governo. I mercati tifano per la Meloni. Il placet dell’Heritage Foundation
Secondo il centro studi di Washington quello italiano è uno dei governi “più stabili e attivi da qualche tempo a questa parte
Articolo di Francesco Rossa
Pubblicato in data 30/01/2023

I rosiconi di casa nostra, cui i giornaloni dedicano ampio spazio, continueranno a bofonchiare contro il governo, ma gli osservatori che contano, prestano attenzione ad un governo pur nato ed accolto dalle previsioni più fosche.

Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, pochi giorni fa, si è espresso a favore della prudenza adottata dal governo nell’impostazione della legge di bilancio. Il risultato tangibile si riscontra infatti nel livello dello spread tra Btp e Bund.  Temuto indice, per l’Italia, terzo debito al mondo, rappresenta il termometro della sostenibilità delle proprie finanze e, soprattutto, della propria spesa, dal momento che i mercati prestano a Roma non meno di 400 miliardi di euro all’anno, in cambio di titoli di Stato.

A pochi mesi dal varo del governo, trovano già smentita coloro che preconizzavano una tempesta perfetta sull’Italia, in stile estate 2011 (spread a 560 punti base).

Nel carnet dei detrattori si prevedeva anche un possibile attacco frontale dal chiaro sapore speculativo da parte degli hedge funds, i fondi artefici (ma non solo loro) della drammatica crisi del debito dell’estate 2011, che portò alla caduta del governo Berlusconi.

E invece, nulla di tutto questo è successo. Dalla fine di ottobre ad oggi, complice una manovra prudente e una certa compiacenza con l’Europa, molto raramente il differenziale di rendimento tra i titoli italiani e quelli tedeschi è salito sopra i 200 punti base, con un tasso sul Btp decennale oltre il 4,2%. L’ultima volta che è accaduto è stato lo scorso 6 gennaio.

Poi, lentamente, lo spread ha cominciato a scendere, portandosi in zona 170 punti base, circa 30 in meno di quando il premier era Mario Draghi (quando l’ex presidente della Bce rassegnò le dimissioni, in seguito al venir meno dell’appoggio del M5S, il differenziale si impennò a 227 punti base).

E anche negli ultimi giorni la situazione non è cambiata: il 25 gennaio il differenziale di rendimento tra il Bund decennale (oggi il titolo teutonico paga il 2,17%) e il pari scadenza italiano ha aperto a 174 punti base dai 176 punti del giorno prima. Di conseguenza, è proseguito il deciso calo del rendimento del Btp decennale, toccando il 3,88% dal 3,92% del 24 gennaio.

Ad oggi i mercati sembrano non solo tranquilli, ma anche benevoli. Il che comporta i suoi vantaggi, due su tutti. Primo, se lo spread scende o comunque si mantiene sotto i livelli di guardia, finanziare il debito costa meno, dunque lo Stato risparmia, arrivando persino a poter mettere dei soldi da parte. Il che, secondo aspetto, consentirebbe al governo da una parte di accantonare risorse per poter irrobustire la prossima manovra, arricchendo il piatto delle misure (a cominciare dalla tanta agognata riforma fiscale e dal rifinanziamento dei bonus anti-inflazione).

Dall’altra, e qui entra in gioco l’Europa, porrebbe l’esecutivo Meloni nelle condizioni di aiutare le imprese e l’industria, qualora Bruxelles decidesse di allentare le regole per la concessione di sussidi pubblici all’economia.

Il che finirebbe per avvantaggiare inevitabilmente Paesi con i conti in ordine e con un rapporto tra debito e Pil basso, come la Germania, i quali potrebbero sbloccare risorse. Anche l’Italia ne trarrebbe beneficio, visto lo stato di salute decisamente più cagionevole delle sue finanze. Risparmiare sul debito potrebbe dunque consentire di aumentare la potenza di fuoco sugli aiuti. Un buon programma, se non arriveranno intoppi da qui al 2024.

Le buone notizie e le considerazioni positive, arrivano anche da oltre Atlantico. Il governo presieduto da Giorgia Meloni è “uno dei governi italiani più stabili e attivi da qualche tempo a questa parte, con implicazioni per gli affari europei e transatlantici”. A scriverlo dopo un viaggio in Italia è James Carafano in una nota dell’Heritage Foundation, think tank statunitense di cui è vicepresidente e che è centrale da ormai 40 anni (dai tempi dell’amministrazione Reagan) nella galassia conservatrice americana. Un’endorsement importante per Meloni, per autorevolezza e peso politico di chi si è speso per farlo.

Diversi gli elementi considerati nell’analisi firmata da Carafano e dall’analista Dan Kochis: la solidità della coalizione di centrodestra e la debolezza dell’opposizione; la priorità assoluta attribuita alla crescita economica post Covid davanti a sfide economiche, fiscali e giudiziarie che sono “scoraggianti”; le priorità di politica estera del governo concentrate sulla regione mediterranea, in particolare sui Balcani e sul Nord Africa per rendere il Paese un hub energetico europeo.

Meloni, osserva ancora la Heritage Foundation, “sembra aver superato rapidamente gli attacchi secondo cui il suo partito e il suo governo avrebbero radici ‘fasciste’, in parte perché il governo non è chiaramente estremista; la narrazione è completamente fallita in Italia e si è rapidamente affievolita anche nella maggior parte della stampa estera”, si legge.

Guardando al futuro, ci sono alcuni elementi chiave da tenere d’occhio per vedere se il presidente del Consiglio “riuscirà a sfruttare la sua attuale popolarità e influenza in una forza sostenibile sia in patria sia all’estero”: la sua ambiziosa agenda interna ed estera e l’importanza di completare la sua squadra di consiglieri; l’adozione e l’attuazione del bilancio; le elezioni parlamentari europee del 2024 (da cui, in caso di alleanza tra popolari e conservatori, “potrebbe emergere come attore principale”); i rapporti con gli Stati Uniti e nel Mediterraneo che potrebbero essere una leva “per emergere come un partner statunitense più apprezzato e influente, che eleverebbe anche la statura di Meloni in Europa”, conclude.

 

 

 

 

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