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Di tutto un po'
Il vecchio
Racconto di Francesco Cordero di Pamparato
Articolo di Milo Julini
Pubblicato in data 18/03/2023

Sull’isola il sole illuminava una mattina tranquilla, come tutte quelle dell’anno. Serena, con una luce magnifica e pochissime nuvole, che si muovevano pigramente, nel cielo tropicale. Il commissario Dombé, capo della Polizia Locale, entrò con una calma quasi studiata nella sua caserma. Gli uomini presenti si alzarono per salutarlo, ma lentamente, con il loro consueto garbo, come sempre. Lui rispose con la stessa flemma. Quel tipo di saluto, gentile e pacato, era diventato una specie di rituale. L’uomo salì lentamente al piano superiore ed entrò nel suo ufficio. Guardò dalla finestra. L’evaporazione dell’acqua emetteva una nebbiolina, che ovattava il paesaggio rendendolo quasi irreale. Per chi non fosse stato del posto sarebbe sembrato un mondo onirico. Nell’ampia baia il mare era un olio, le poche barche ancorate beccheggiavano lentamente e pigramente sulle acque. Il rumore del frangersi delle onde era discreto e pacato, come ogni cosa, in quel paradiso terrestre. Alcuni gabbiani si lasciavano cullare dalle onde, quasi in sintonia con i natanti ormeggiati. Altri uccelli si lasciavano portare da un vento leggero, sembrava quasi fossero aquiloni. I rami delle palme erano mossi garbatamente da un vento leggero. Tutto dava sensazione di una calma atavica, tipica di quella località tropicale.

Un mondo sereno e senza stress.

Quasi senza tempo.

Dombé controllò il calendario: mancavano proprio due mesi esatti al giorno della sua pensione. Certo, ne erano passati di anni da quando aveva varcato per la prima volta la porta di quella caserma. Più di trenta… Quanto era entrato il primo giorno, era una recluta, magro secco e allampanato. Ora era un omone grande e grosso, persino un po’ grasso. Tutti quegli anni lo avevano cambiato, ma gli erano stati utili. Aveva conosciuto tutta la scarsa popolazione dell’isola e ne era a sua volta rispettato e stimato. In quel lungo lasso di tempo non era mai successo nessun vero dramma. Qualche furtarello ai danni dei pochi turisti, che un’isola senza aeroporto attirava. Oramai mancavano pochi giorni, poi si sarebbe ritirato. Avrebbe avuto più tempo per occuparsi di moglie e figli. Cosa pensava di fare, come poteva impegnare tutto quel tempo?

Cosa avrebbe fatto in quelle giornate, che, per tutto l’anno, nell’isola erano sempre uguali? Certo sarebbe andato a pescare con i molti amici che si era guadagnato, ma soprattutto sua moglie meritava tutte quelle attenzioni, che una vita lavorativa non gli aveva consentito di offrirle. Avrebbero fatto dei viaggi? Pensava di no. Quel posto era un paradiso terrestre con un clima sempre ottimo e senza problemi. Perché spostarsi? Li si viveva troppo bene.

“Mi scusi signor commissario”.

Fu distratto da un giovane agente, alto e magro, che si era materializzato davanti a lui. Lo guardò con un certo disappunto e il giovane ne rimase imbarazzato. Ripeté il suo rituale: “Mi scusi signor commissario, hanno chiamato dall’immigrazione. Ci dicono che è arrivato uno misterioso signore anziano e che è andato a vivere nel compound degli italiani. Sembra voglia farsi dare la residenza in quest’isola. Ci chiedono sue referenze”.

Dombé rimase stupito e contrariato. Come, uno straniero era venuto nella sua isola e lui non ne sapeva niente? Com’era possibile? Guardò il giovane cercando di nascondere il suo stupore: “Dimmi, ci hanno fatto richiesta scritta?”.

“No signore, ma io ho insistito che ci mandassero almeno una e-mail. Vuole vederla?”.

“No, grazie, dimmi piuttosto di chi si tratta e come si chiama”.

“Si chiama Raymond Haram e sembra sia armeno, ma di madre italiana, pare che sia apolide. Non so cosa abbia fatto precedentemente”.

“Grazie Marcelo, andrò io a conoscerlo”.

Il commissario guidò lentamente sino al villaggio, in cui gli avevano detto viveva il nuovo venuto. La litoranea offriva la vista di un meraviglioso paesaggio, sull’oceano, con baie disabitate, piene di nidi di uccelli tropicali, che svolazzavano indisturbati e che facevano un enorme fracasso. Sembrava fossero rimaste sempre immutate, sin dalla creazione del mondo, ma a Dombé non interessava.

Lo aveva già visto e ammirato tantissime volte. Non ricordava neanche lui quante. Percorse i chilometri che lo separavano dal comprensorio con un certo disappunto.

Lui era nato e cresciuto in quell’isola, conosceva tutto e tutti. Non c’era baia, cala, angolo o collina, che non gli fosse noto. La stessa cosa valeva per le persone. Era sempre stato fiero del fatto di venire subito a conoscenza di qualsiasi cosa succedesse. Adesso questo strano personaggio, che era saltato fuori chissà da dove, era sbarcato sulla sua isola da almeno una settimana e lui non e sapeva niente?

La cosa gli dava proprio fastidio.

Quell’uomo gli era già antipatico ancor prima di conoscerlo. Poi chi era così strano da voler venire a prendere la residenza proprio li, sulla sua isola? Un paradiso terrestre, certo, ma cosa ci si poteva fare?

Per fortuna, in quel paradiso terrestre, con un cielo meraviglioso e le grandi foreste di palme e agavi che fiancheggiavano la strada, i risentimenti duravano poco. Quando arrivò al villaggio, il suo gli era completamente sbollito. Era rimasta solo la curiosità.

Il guardiano al cancello lo fece entrare con un sorriso e un atteggiamento devoto. Ben sapeva con chi aveva a che fare. Dombé si guardò intorno. Tutte le villette erano chiuse, tranne una, l’ultima. Quindi era probabilmente lì che si trovava il misterioso venuto. Si diresse in quella destinazione, con il suo solito passo lento e flemmatico. Tutto era tranquillo e quando giunse vicino all’abitazione, finalmente lo vide. Era un uomo alto, con un fisico ancora atletico, la testa completamente rasata, probabilmente per nascondere i capelli bianchi, ma era di schiena, fissava qualcosa lontano con un potente binocolo. Sembrava molto interessato a quanto stava guardando. Provò a chiamarlo.

“Mister Haram!”.

Nessuna risposta. Ripeté la chiamata tre volte prima che l’uomo si voltasse. Quando alla fine si girò, il commissario notò un viso con lineamenti fini, regolari, abbronzato con due grandi occhi azzurri. L’uomo sfoggiò un sorriso accattivante. Dombé si accorse che quell’uomo era asciutto come un giovane, anche se doveva avere almeno una sessantina d’anni. Solo alcune rughe profonde rivelavano l’età. Più o meno dovevano avere gli stessi anni, ma quell’uomo era più alto e più in linea di lui.

Haram prese subito la parola: “Buongiorno, immagino che lei sia il commissario Dombé, ho sentito molto parlare di lei. Lo so, sarei dovuto venire io a presentarmi subito, ma questa casa mi ha creato qualche problema e così ho rimandato. Però sono lieto di incontrarla. Vuole entrare? Posso offrirle qualcosa? Sa, stavo osservando le balene che giocano. È uno spettacolo affascinante, soprattutto per chi, come me non le ha mai viste”.

Il commissario sorrise: “Si sono io, lei è acuto se lo ha capito subito”.

“Caro commissario, lei è un’istituzione in quest’isola, tutti parlano di lei e ne parlano molto bene”.

A quelle parole Dombé si addolcì. Sapeva di essere conosciuto e benvoluto, ma sentirselo dire gli faceva sempre piacere. Era un uomo semplice e aveva poche occasioni di compiacersi.

“Grazie, molto gentile, ma mi scusi se sono indiscreto: è il mio lavoro. Come mai ha deciso di venire a vivere qui?”.

Haram sorrise: “Caro amico, ho vissuto a lungo in Europa e quel continente sta morendo. La mentalità di certi politici europei è rivoltante. Io ho messo da parte un piccolo gruzzolo e ho deciso di trasferirmi. Quest’isola mi piace molto, è tranquilla e io cerco la pace. Ho viaggiato molto, ho fatto il fotoreporter internazionale, ma mi mancano i paesi tropicali. Così ho deciso di trasferirmi qui. Stavo guardando le balene che giocano. Ma forse lei vuole prendere qualcosa, venga, entriamo”.

“Grazie non bevo in servizio” disse Dombé entrando in casa.

Il mobilio era molto sobrio, di quello che si compra ai supermercati, solo ogni tanto qualche strano oggetto o qualche foto appesa al muro indicavano i molti viaggi dell’inquilino. Per il resto non c’era niente che potesse attirare l’attenzione del commissario.

La cosa lo deluse un po’.

“Signor Haram, scusi ma lei da dove viene? Qui abitano molti italiani, anche se adesso non ci sono. Il suo nome non mi sembra italiano”.

L’uomo sorrise. “Sono armeno, ma la mia famiglia si era trasferita in Francia. Io avevo la cittadinanza francese, ma ho vissuto molto anche in Italia, il paese di mia madre. Adesso sono apolide. Sono venuto in un complesso dove si parla una lingua che so bene. Per ora purtroppo non c’è nessuno…”.

“Lei prima stava guardando le balene, scusi se l’ho distratta, ma sa, il dovere…”.

“Certo, doveva sincerarsi che io non fossi un individuo pericoloso, lo capisco benissimo, ma non si preoccupi. La mia vita è stata tutta di corsa e adesso ho deciso di fermarmi. Ho visto tante cose nella mia vita… Adesso voglio riflettere, mi sono dato allo studio della Filosofia. I greci mi affascinano moltissimo. La disputa sottile sul divenire e l’essere, mi affascina particolarmente. Penso che solo il mare possa sintetizzare questi due principi così contrapposti. Il mare è sempre uguale, non cambia mai, però nella sua immutabilità è sempre in un movimento che sembra scandire i tempi del mondo. Questa enorme massa d’acqua è un essere vivente, pieno di saggezza e di vite di cui assorbe i sentimenti e ne fa la sintesi. La montagna ci trasmette un limite, il mare l’infinito. Non trova?”.

Il commissario Dombé non era abituato a simili discorsi, non aveva argomenti in proposito. “Certo, certo, lei ha ragione, ritorneremo presto sull’argomento, ma adesso scusi, devo tornare in ufficio. È stato piacevole incontrarla e mi scusi per l’intrusione”.

“Prego commissario, quando vuole venire a fere quattro chiacchiere o a bere un buon bicchiere, lei è sempre benvenuto”.

Dombé tornò in ufficio, convinto che il nuovo venuto fosse un po’ suonato. Non aveva i piedi per terra, ma almeno non era persona che potesse creare problemi.

Quella era la cosa più importante.

Nei giorni successivi non accadde niente di particolare. La solita routine, che piaceva tanto sia e Dombé che ai suoi subalterni. In quel paradiso terrestre il serpente non era il benvenuto. La calma abituale aveva impigrito tutti. Per cui, se niente la turbava, tutti erano felici. Ogni tanto il commissario era andato a trovare Haram, ma lo aveva sempre trovato svagato: o guardava il mare e soprattutto le balene, oppure parlava di filosofia. Stranamente non parlava mai di donne. Che tipo era? Per lui era un ingenuo, forse un idealista, visto che sovente parlava di cose talmente astratte, che lui non capiva. Essere e divenire, il dualismo tra bene e male. I due principi sempre contrapposti. Per lui era matto e non aveva i piedi a terra.

Erano passate tranquille altre due settimane, Dombé guardava compiaciuto il calendario. Pochi giorni e sarebbe andato in pensione.

A un tratto il telefono suonò. Allungò un braccio con fare annoiato chiedendo chi era il rompiscatole che osava interrompere la sua situazione di relax. La voce però lo portò ad un risveglio brusco. Era il suo Capo dalla capitale.

“Dombé è lei? Ascolti, un famoso killer internazionale di nome Markus è approdato qui. Si è diretto alla sua isola. Se non è ancora sbarcato, dovrebbe farlo presto. Le ho mandato un corpo di agenti speciali, non affrontatelo è troppo pericoloso. Ci vuole gente esperta per affrontare un uomo così”.

“Come dice lei, capo. Faremo comunque la massima attenzione”.

Per la prima volta era davvero preoccupato e contrariato. Proprio a due settimane dalla pensione gli doveva capitare quella patata calda? Per quarant’anni era successo ben poco oltre alle risse tra ubriachi. E adesso? Nientemeno che un pericoloso killer internazionale! Se era venuto c’era un motivo. Non era possibile che avesse deciso di fare una vacanza! Probabilmente avrebbe commesso chissà quale crimine ben prima che gli uomini del capo arrivassero. Anche dopo non ci sarebbe stato da farsi illusioni. Lui certi tipi li aveva visti solo in televisione, ma sapeva benissimo che erano molto pericolosi. La squadra speciale del Capo non era molto efficiente. Ci sarebbe scappato almeno un morto.

Ci sarebbe andato di mezzo anche lui.

Non poteva aspettare due settimane quel bastardo? No!

Adesso doveva venire a minacciare proprio la sua isola! Intanto aveva esposto la foto segnaletica di quell’individuo. Nessuno lo aveva visto, ma Jean era fuori ufficio. Rientrò dopo due ore, fissò attentamente l’immagine, poi si rivolse a Dombé: “Signor commissario, chi è quell’uomo?”.

“Un pericoloso killer internazionale. Si chiama Markus. Perché, lo hai incontrato?”.

“Sì signor commissario, meno di un’ora fa. Mi ha fermato per chiedermi dov’era il villaggio italiano. La cosa mi ha insospettito. Gli ho detto che non sapevo. Guidava una cabriolet presa a noleggio”.

Il commissario Dombé fece un salto sulla sedia. “Il villaggio italiano! Lì c‘è solo il vecchio Haram. Uno come lui con quel criminale non può cavarsela. Presto venite con me! Dobbiamo evitare che lo ammazzi!”.

La macchina della polizia partì a tutta velocita, con le luci sul tetto accese. Niente sirena, per non segnalare la propria presenza a Markus. In breve tempo arrivarono al villaggio. La guardia all’ingresso era a terra ferita. Per fortuna non era grave. Dombé e i suoi uomini, si diressero silenziosamente verso la casa di Haram. Sentirono uno sparo. La cosa li allarmò e il commissario perse la sua abituale prudenza. Si mise a correre verso la casa con la pistola in pugno. Quando fu vicino, vide Haram che gli correva incontro, con una pistola in mano.

“Commissario, meno male che siete arrivato, è successa una cosa molto spiacevole, ho visto un uomo sparare al guardiano del villaggio. Volevo chiamarvi, ma il telefono non funzionava. Così ho preso la mia pistola, me lo sono trovato davanti che voleva sparare anche a me. Per fortuna ero pronto. Gli ho sparato io. Spero che non sia morto”.

Dombé tirò un sospiro di sollievo. Markus era ferito gravemente, ma sarebbe stato preso in consegna da altri. Per fortuna Haram era salvo, ma come aveva fatto ad avere la meglio su di un pericoloso professionista? Lui di solito così svagato, come era riuscito dove degli esperti avevano fallito? L’occhio gli cadde sulla pistola del vecchio. Era una Glock 17, un’arma da professionista. Come mai quell’uomo usava proprio quell’arma?

Il giorno dopo un ufficiale dei servizi speciali venne a verificare e a mettere sotto sorveglianza il prigioniero ferito. Lesse il rapporto. Alla fine, stupito esclamò: “Raymond Haram! Guarda, guarda, il mondo è proprio piccolo! È stato il mio istruttore quando sono entrato nei corpi speciali. È un uomo straordinario! Certo che Markus se l’è cercata! Voleva ammazzare Haram! Quello è peggio del diavolo! Ha girato il mondo con la copertura del fotografo, ma in realtà era un fantastico agente. È bello che sia venuto qui. Andrò a trovarlo”.

Dombé rimase in silenzio. Aveva sottovalutato il vecchio.

Francesco Cordero di Pamparato

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