La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Una famiglia sterminata dal padre, spinto dalla miseria, nel centro di Torino

Gli studiosi del crimine, quando considerano il “parenticidio” cioè l’uccisione di parenti, nell’ambito di questa categoria considerano la strage familiare (definita “famiglicidio”) come la tipologia più drammatica per numero di morti.

Le stragi familiari sono compiute da persone che uccidono i loro cari, la madre, la moglie, i figli, senza distinzione di età. A volte, poi, si sdraiano vicino a loro e si tolgono la vita, altre volte la conclusione del dramma appare più movimentata e plateale.

Di un avvenimento del genere deve occuparsi, con palese costernazione, il cronista della «Gazzetta Piemontese» di mercoledì 3 giugno 1874.

Nella Cronaca Nera del giornale, infatti, si racconta che un orrendo misfatto è stato perpetrato al mattino in una casa di via San Maurizio, al n. 15, nei pressi della Trattoria del Campidoglio.

La via San Maurizio corrisponde al tratto della attuale via XX Settembre compreso fra via Santa Teresa e via Garibaldi. Al tempo del nostro racconto, è una vecchia via medievale, larga quattro metri, con isolati mal allineati, formati da case vetuste e crivellati da vicoli malsani.

In questa degradata location è avvenuto quello che il cronista definisce «un eccidio di cui forse la nostra città è per la prima volta spettatrice»: un padre, che lavora come inserviente all’Ufficio del Catasto, spinto dalla miseria, ha trucidato orrendamente tutti i componenti della sua famiglia.

Al 3 giugno il giornale non indica il nome dell’autore della strage, che apparirà soltanto il 5 giugno: anticipiamo che si tratta di Giuseppe Valessina, nativo di Asti, di 57 anni, già luogotenente nel Regio Esercito.

Le sue vittime sono la moglie, Franchina Valessina nata Marchisio, di 36 anni e i tre figli: due bambine, Giulia di otto anni e Giulietta di dodici, ed un ragazzo di sedici anni, Pietro.

I cadaveri delle quattro vittime innocenti - scrive il cronista - giacciono su di un misero giaciglio, invaso dal loro sangue. L’arma usata dal padre omicida è un lungo coltellaccio ancora intriso di sangue.

Quel mattino, Valessina ha incontrato in piazza San Giovanni un impiegato del Catasto, suo superiore d’ufficio: gli ha esternato la sua gravissima decisione ed ha aggiunto che dopo si sarebbe suicidato.

L’impiegato, tutto tremante, è corso in Questura per dare l’allarme e così, alcune Guardie di Pubblica Sicurezza sono subito accorse all’indirizzo dell’abitazione che l’inserviente ha indicato al suo superiore. Ma i poliziotti arrivano troppo tardi: gli infelici sono già morti.

Quando Valessina ha parlato col superiore, forse, aveva già compiuto l’eccidio.

La notizia della strage si diffonde rapidamente, le vie San Maurizio e Bertola si riempiono di curiosi. Intanto Valessina sembra essere scomparso, senza che si sia potuto trovarne le tracce.

Il cronista promette «Nel prossimo numero maggiori particolari», ma il giorno seguente, giovedì 4 giugno, non si pubblica il giornale per la solennità della festa del Corpus Domini.

I torinesi possono leggere la terribile conclusione della strage di via San Maurizio nella Cronaca Nera della «Gazzetta Piemontese» di venerdì 5 giugno 1874.

Giuseppe Valessina si è ucciso nella mattina di venerdì, nei pressi del Teatro Balbo, in via Andrea Doria, dove oggi si trova la Borsa Merci della Camera di Commercio.

Non si era ancora suicidato perché, prima, voleva ancora uccidere due persone: un suo fratello, che abitava in via San Francesco da Paola n. 11, ed un impiegato superiore del Catasto verso il quale nutriva un grande astio.

Nella mattina di venerdì, alcuni poliziotti vestiti in borghese si aggiravano nei dintorni dell’ex Giardino dei Ripari, dove il giorno precedente Valessina era stato visto.

Il Giardino dei Ripari era stato allestito nel 1835, adattando a giardino pubblico i resti di tre bastioni posti lungo la via obliqua Andrea Doria. Dal 1871 erano iniziati lavori di ristrutturazione che lo avevano parzialmente sostituito con l’Aiuola Balbo e i giardini detti delle “Montagnole” di piazza Camillo Cavour che vediamo oggi.

Nei dintorni dell’ex Giardino dei Ripari, verso le sette e un quarto, i poliziotti scorgono Valessina da lontano ed iniziano a seguirlo, ma senza stargli troppo addosso, per non insospettirlo.

Per una sfortunata coincidenza, in quel momento due carabinieri sbucano da una vicina strada.

Valessina allora, credendosi inseguito, si dà a precipitosa fuga lungo la via Andrea Doria, poi svolta per la via traversa che dal Teatro Balbo conduce in via Cavour, oggi via Giuseppe Pomba.

Sembra aver distanziato gli inseguitori ma, quando è arrivato vicino alla porta che dà adito alle scene del teatro, impugna il rasoio con cui aveva deciso di uccidersi e si colpisce ripetutamente alla trachea.

Gli agenti arrivano, ansanti, vorrebbero fermarlo ma Valessina è ormai moribondo per il molto sangue che sgorga dalle ferite: è «appoggiato colla testa alle pareti del teatro, con lo sguardo pare voglia implorar da Dio perdono», così lo descrive il cronista, con una certa indulgenza, malgrado l’orrendo crimine che ha commesso.

I curiosi si affollano intorno al suicida, a stento si riesce a tenerli a una certa distanza.

Valessina viene trasportato all’Ospedale di San Giovanni ma muore dopo alcuni minuti. Con questa notizia si conclude l’interesse della «Gazzetta Piemontese» per il caso: nel 1874 i quotidiani non concedono spazio ad inchieste sulle premesse e sullo scenario di un episodio criminale.

Il cronista della «Gazzetta Piemontese» ha scritto che Torino ha assistito per la prima volta ad «un eccidio» di questo genere, una strage familiare: non poteva certo immaginare che a meno di 150 anni di distanza, questa tipologia di crimine avrebbe assunto una frequenza preoccupante.

Alla fine del 2013, è balzata agli onori della cronaca la “Strage di Collegno”: D.G., di 56 anni, commerciante disoccupato da tre mesi, ha ucciso moglie, figlia e suocera, poi si è suicidato.

 

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Articolo pubblicato il 24/01/2014