La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Parole ineducate e schiaffi: il pittore Giuseppe Rollini alla Pretura Urbana di Torino

L’architetto Viglieno Cossalino già da qualche tempo pubblica su “Civico 20 News” le sue note biografiche di pittori del Piemonte. Ho deciso di portare un contributo, a modo mio, con questa cronaca giudiziaria torinese che riguarda il pittore piemontese Giuseppe Rollini (Intra, 1842 – Torino, 1904). 


 

A Torino, da oltre un mezzo secolo esisteva la trattoria del Fagiano.  

Tutti gli esercenti che l’avevano gestita avevano sempre rispettato quell’uccello e l’avevano mantenuto come insegna, dipinta in modo più o meno artistico.  


 

Nel 1870, però, in città è scoppiata una vera febbre per Roma e al nuovo proprietario quell’insegna col fagiano appariva come una cosa meschina. Così, forse insuperbito per i soldi guadagnati, ha deciso di «diventare padrone di Roma» ovvero di cambiare l’insegna intitolando il locale a Roma.  

Come scrive il cronista giudiziario Curzio, con garbato umorismo, il proprietario della trattoria, «… ucciso il vecchio fagiano, sul suo cadavere la lupa inalberò con Romolo e Remo». 


 

La nuova insegna viene commissionata al laboratorio del signor Soave che affida questo lavoro al pittore Giuseppe Rollini, perché elabori il disegno e la coloritura. 


 

Giuseppe Rollini, al tempo nemmeno trentenne, è un pittore molto legato all’ambiente salesiano. Rimasto orfano di padre, è stato accolto all’Oratorio di San Francesco di Sales a Torino ed ha così potuto studiare all’Accademia Albertina, dove si è iscritto nel 1860 e dove è stato allievo di Andrea Gastaldi.  


 

Rollini è uno dei pittori di fiducia di don Bosco: il futuro santo, nel 1869, gli ha commissionato gli affreschi della cappella dedicata ai Sacri Cuori di Gesù e di Maria, nella Basilica di Maria Ausiliatrice.  


 

Torniamo ai più modesti lavori che il signor Soave affida a Rollini: oltre all’insegna con la lupa di Roma, gli chiede di eseguire due ritratti, uno suo ed uno della moglie, ed ancora un cofanetto o buffet che la Società di Bagat di Torino utilizza per riporvi le proprie pipe. Su questo cofanetto Rollini doveva dipingere un milite della Guardia Nazionale sdraiato a terra ubriaco mentre l’Italia lo guardava ridendo. Rollini comincia con l’esecuzione dell’insegna di Roma e del cofanetto della Società di Bagat.  


 

Ma, quando li consegna,  il signor Soave non è soddisfatto di questi lavori e li giudica non ben fatti: Soave sostiene che la poppa sinistra della lupa è più lunga della poppa destra, «… mentre non risulta dalla storia che quella bestia avesse le poppe diseguali, e nemmeno risulta che l’uno dei due puttelli succhiasse il latte più avidamente dell’altro», come ironizza Curzio.  


 

Romolo, inoltre, è stato dipinto con una gobba, «la quale cosa non si addiceva a quel puttino che doveva col tempo diventare il primo guerriero della città eterna: pazienza fare una gobba a Remo; ma una gobba a Romolo non poteva tollerarsi!», sempre secondo il sarcastico commento di Curzio. 


 

Nell’insegna di Roma, Soave rileva questi difetti di esecuzione. Altri li riscontra nel cofanetto per la Società di Bagat: a suo dire, la caricatura del milite della Guardia Nazionale e dell’Italia non è molto azzeccata perché il milite non è abbastanza ubriaco e l’Italia non ride con naturalezza. 


 

Ma questo, secondo il commento ironico di Curzio, non sarebbe un difetto perché esprime il difficile momento attraversato dall’Italia (stiamo parlando del 1870, sia ben chiaro!): «L’autore aveva ragione a dipingere il cofanetto in tal modo perché l’Italia, ai tempi che corrono, non può ridere con naturalezza ed il milite con pochi soldi in tasca non può prendere una sbornia completa». 


 

Comunque sia, il signor Soave non vuole lasciar uscire dal suo negozio i lavori, che giudica inadeguati al suo standard produttivo. Scrive perciò a Rollini di passare in negozio a ritoccarli, ma il pittore è assente da Torino e Soave, dopo aver aspettato qualche giorno, fa ritoccare le pitture del cofanetto per la Società di Bagat da Giuseppe Falchetti, e quelle dell’insegna da Giovanni Saccone. 


 

Saccone toglie con qualche pennellata la gobba a Romolo ma usa una tinta troppo scura che stona con gli altri colori dei gemelli capitolini. 

Finalmente Rollini ritorna da Intra e, il 9 gennaio 1871, va nel laboratorio di Soave in compagnia del pittore Luigi Capello. Quando Rollini vede i suoi lavori ritoccati, va su tutte le furie e inizia a insultare Saccone il quale, per non litigare, finge di non sentire.  

Rollini si rivolge poi a Soave e gli dice che non vuole più eseguire lavori per lui. 

- «Come le piace - gli risponde Soave - ma e il mio ritratto e quello della moglie?…». 

- «Questi sono già iniziati sul modello delle fotografie che mi ha consegnato; per finirli occorre che lei e sua moglie vengano a fare una posa nel mio studio».

- «Prima di tutto noi dobbiamo intenderci bene sul prezzo, perché con lei…».

- «Dagli altri pretendo cento lire per ritratto, come me le pagò il padrone della casa in cui si trova la fotografia Schemboche, per lei lo faccio a lire 60, siccome siamo stati intesi».

- «Abbiamo convenuto il prezzo di lire 40 e non 60».

- «No, l’abbiamo stabilito in lire 60».

- «No, è in lire 40».


Rollini e Soave discutono calorosamente, si infervorano e si arrabbiano.

Rollini si lascia sfuggire una parola ineducata all’indirizzo di Soave, che lo  schiaffeggia in faccia, facendogli sanguinare il naso e le labbra.


Rollini sporge subito querela per percosse, e giovedì 16 febbraio 1871, compare con Soave davanti la Pretura Urbana di Torino.

Rollini, al momento di esporre i fatti, non si esprime con molta chiarezza mentre Soave si dimostra un buon parlatore e fa una lunga declamazione in sua difesa.


Tutti gli artisti e gli operai che lavorano nel laboratorio Soave sono chiamati a testimoniare e, nel descrivere gli atti violenti del loro padrone nei confronti di Rollini, ci forniscono una interessante pagina del dizionario dei sinonimi piemontesi: alcuni dicono che Soave ha dato a Rollini un scuffiòt, altri dichiarano che gli ha dato un scopas, altri testimoniano che ha dato uno sgrognon , altri una bòta sul muso ed altri un sgiaflet.


«Questa vertenza deve essere aggiustata alla amichevole - dice il pretore - Rollini ha il torto di avere menato la lingua, ed il Soave di aver menato le mani: ciascuno confessi in pubblico il proprio torto, si paghino all’erario le spese giudiziarie e tutto sia finito».


Rollini e Soave appaiono titubanti a riconciliarsi ma i loro avvocati li sollecitano.

Rollini si dichiara spiacente di aver pronunciato parole sconsiderate e Soave, a sua volta, si dichiara spiacente di aver alzato le mani e si offre di pagare le spese del processo. Si dà atto di queste dichiarazioni ed i due litiganti, a quanto pare, ritornano amici, così Curzio conclude la sua cronaca pubblicata sulla Rivista dei Tribunali della «Gazzetta Piemontese» del 18 febbraio 1871.


Curzio non ci dice se Soave abbia affidato a Rollini altri lavori e se si sia fatto fare il ritratto suo e della moglie.


Rollini ha sicuramente continuato a lavorare per don Bosco: nel 1885 ha eseguito il ritratto di Margherita Occhiena, la mamma del Santo.

Nel 1889, don Rua, successore di don Bosco, gli ha affidato gli affreschi della cupola della basilica di Maria Ausiliatrice.


Tra il dicembre 2006 e aprile 2007, la Fondazione Torino Musei - Borgo Medievale ha dedicato a Rollini la mostra “Giuseppe Rollini. Il Quattrocento piemontese e l'invenzione neogotica”. Rollini, infatti, negli anni 1882-84 ha eseguito, con Alessandro Vacca, la decorazione pittorica del Borgo Medievale. In seguito, ha decorato in stile medievale il Duomo di Pinerolo e il castello Bonoris di Montichiari, in provincia di Brescia.

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Articolo pubblicato il 12/04/2014