Populismo: dalla ragione alla pancia

Il 2015 è stato per molti versi l’anno dei populismi, dove troppo spesso parlare alla pancia vince su tutto

Questo 2015 è stato caratterizzato per diverse ragioni e da più parti dalle idee populiste dei partiti e dei movimenti dal basso.
Quando la politica non sembra dare le giuste risposte, attraverso i partiti tradizionali, ecco affacciarsi i movimenti nuovi (come il Movimento 5 Stelle, Podemos e Syriza) o più recenti (come Il Front National e la Lega Nord) allo scopo di scardinare la vecchia politica per dare voce direttamente al popolo e, soprattutto, puntando a un nazionalismo non sempre efficace.

Al populismo si è soliti attribuire un significato sostanzialmente negativo, nel senso di far riferimento a un’ideologia fondata su un rapporto diretto tra un capo carismatico e le masse, esaltando il popolo come unico depositario dei valori positivi in grado di farlo risollevare dalla crisi in cui si trova.

Che in un periodo come quello che stiamo vivendo da alcuni anni, con la crisi del lavoro, con un’Istituzione Europea non in grado di puntare su altro se non sulla moneta unica, con un’Unione Europea che non pare trovare soluzioni efficaci agli ingenti flussi migratori, con delle politiche di austerity che fanno l’esatto contrario di ciò che bisognerebbe fare (Keynes docet) e con una finanza dissennata che governa il mondo più che la politica, far leva sulle masse per provare a portare in campo idee nuove e politici nuovi non è di per sé dissennato: l’importante è riuscire a dire cose sensate, senza per forza e sempre far leva sulla “pancia” anziché sulla “testa”.

Per citare alcuni esempi, quando si sente dire che gli immigrati portano via lavoro (mentre spesso e volentieri in un’Europa dalla scarsa crescita demografica c’è bisogno di maggior manodopera soprattutto pensando al problema previdenziale per le generazioni future), quando si pone l’accento sul fatto che più immigrati significa più rischio terroristico (mentre col tempo è proprio attraverso una integrazione con islamici non fondamentalisti che si crea la cultura dell’accettazione e della cooperazione), quando dopo il caso banche delle ultime settimane si sente in tv parlare un avvocato che consiglia i risparmiatori di togliere i soldi dai conti e depositarli in cassette di sicurezza (rendendo quindi le banche impossibilitate a elargire quei prestiti che da sempre consentono alle imprese di crescere, investire e quindi assumere), quando si sente dire a gran voce che dovremmo tornare alla Lira (dimenticando che quando non c’era l’Euro non è che stavamo meglio perché la nostra moneta era più simpatica ma solo perché potevamo svalutarla di continuo invece che concentrarci su come migliorare burocrazia, investimenti e ricerca per aumentare l’export e l’economia in genere), quando si propone di bloccare gli immigrati là sulle loro coste del nord Africa (dimenticando di ricordare che per il diritto internazionale sulle acque territoriali non si può “comandare” sulle coste altrui facendo un muro di barchette davanti alle loro spiagge), ecco che in tutti questi casi non si fa che fare del peggior populismo perfettamente inutile nonché poco veritiero.

Se, invece, si vuole portare avanti una “rivoluzione” proficua, di rinnovamento della classe politica e contrastare certe politiche, soprattutto europee, attraverso movimenti, fondazioni, associazioni, “think tank” di nuova generazione, che portino in campo i problemi con soluzioni che vadano a beneficio di quella classe media sempre più schiacciata verso il basso, sostenendo l’investimento pubblico, invece che l’austerity, alleggerendo finalmente la pressione fiscale, parlando di reddito di cittadinanza, spingendo la green economy e le rinnovabili, al posto del petrolio, facendo della spending review un caposaldo della lotta allo spreco (ma che ce ne facciamo di due Parlamenti Europei, uno a Strasburgo e l’altro a Bruxelles?), in tal caso si fa un’operazione di “restyling” politico che, partendo e puntando sulle masse, le rende partecipi di un nuovo modo di procedere anziché renderle vittime di promesse basate su idee strampalate e demagogiche.

Sappiamo quanto, oggi, la politica degli Stati-Nazione sia sempre più schiacciata da una parte dai nuovi movimenti e partiti così detti populisti e dall’altra dalla governance globale che vede in prima linea l’Unione Europea e, in maniera più subdola, la grande finanza internazionale, per non parlare delle Società di rating che danno voti ai Paesi con criteri non sempre convincenti.

La vera sfida per il 2016, soprattutto da parte dei movimenti populisti, ci auguriamo non sia quella di una politica sorda verso l’Europa Unita, ma che rifondi la politica comunitaria su basi di cooperazione, sviluppo, investimenti, e perché no moneta unica, rispetto dei localismi, che metta al centro della ripresa i propri cittadini europei, e non una politica, come qualcuno vorrebbe, che faccia a meno dell’Europa: nel mondo globalizzato, in cui comanda la speculazione finanziaria, è solo l’unione che fa la forza ed è dalla coesione tra i Paesi del vecchio continente che si potrà migliorare il nostro modo di vivere e di prosperare.

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Articolo pubblicato il 11/01/2016