La potenza del virtuale

Luoghi, quadri, città: ormai si può ammirare tutto senza averlo fisicamente davanti

C’è differenza tra avere dinnanzi a noi un quadro di Caravaggio o vederlo anche se in alta definizione sul Web? Quanto perdiamo a osservare un bel paesaggio su una foto digitale invece che viverlo dal vero?

Il web ha indubbiamente aperto molte possibilità, in tema di conoscenza a disposizione di tutti, ma ci ha portato anche a fare a meno del reale poiché il virtuale costa meno fatica.

Quando mi capita di dover organizzare una vacanza nei minimi dettagli, il web certamente mi consente di avere tutte le informazioni del caso, e in termini di trasporti, orari di visita (per musei ad esempio), costi e foto delle stanze degli alberghi presso cui soggiornare sono quanto di più utile ci sia, rispetto a un tempo quando spesso, soprattutto per vacanze all’estero, era quasi d’obbligo appoggiarsi ai tour operator.

Nel momento in cui, però, mi lascio prendere la mano e cerco di vedere su internet anche foto di luoghi, palazzi, musei, panorami del luogo di villeggiatura, mi accorgo che la possibilità di vedere tutto prima, in virtuale, rischia di togliermi molto delle emozioni e delle sorprese che mi verranno riservate una volta giunto sul luogo e questo è proprio ciò che rischia di impoverirci l’efficace mondo del virtuale.

Lo stesso discorso vale anche per le opere d’arte che nel corso della nostra vita non riusciremo ad ammirare completamente e che spesso ci accontentiamo di vedere su una foto digitale ad alta definizione.

Recentemente, mi è capitato di recarmi alla nuova mostra allestita presso la Promotrice delle Belle Arti di Torino che ha portato anche nel capoluogo piemontese l’itinerante “Van Gogh Alive”, nei cui spazi è possibile ritrovarsi immersi tra enormi immagini dei quadri del celebre pittore olandese, il tutto avvolto da luci e musiche certamente coinvolgenti.

La mostra, che tra l’altro credevo maggiormente multimediale, magari con zone diverse a seconda dei temi trattati dall’artista, è costituita da cinque o sei sale nelle quali i mega schermi sono disposti in maniera leggermente diversa ma in ognuna delle quali vengono proiettati gli stessi quadri con la stessa musica.

Con la prevendita on line, per questa mostra, si vanno a pagare circa diciassette euro di biglietto e se si pensa che agli Uffizi per vedere dal vivo centinaia di opere tra le più importanti al mondo l’ingresso è di poco più di venti euro e al museo del Prado è di quattordici euro, c’è da domandarsi perché si debba pagare un prezzo piuttosto sostenuto per una proiezione di quadri che si potrebbero vedere anche su Web, eppure, alla mostra vi erano moltissime persone con lunghissime code all’ingresso.

L’idea ormai di confondere il virtuale con il reale talmente permea la nostra quotidianità, che la differenza tra un quadro visto dal vivo e una sua proiezione pare poca cosa, tanto è che ormai mostre di questo tipo sono sempre più diffuse, a partire dalle stesse gallerie virtuali messe a disposizione dagli stessi grandi musei del mondo, molti dei quali, mettono on line tutte le proprie opere.

D’altra parte, un cambio di fruizione delle opere d’arte era già stato compiuto quando le grandi città hanno iniziato a radunare le opere d’arte all’interno di spazi comuni denominati musei.
Sono sempre meno, infatti, le grandi opere d’arte mantenute laddove erano state collocate, portando così a una loro decontestualizzazione che in parte le svilisce.

A Firenze, ad esempio, davanti a Palazzo Vecchio si vedono frotte di turisti (per lo più cinesi) che scattano centinaia di foto a quella che è la copia del David di Michelangelo, il cui originale risiede nella Galleria dell’Accademia, ma in effetti quella copia sta all’originale un po’ come l’immagine virtuale che volessimo ammirare sul web: non importa trovarsi davanti all’opera vera, l’importante è coglierne l’idea anche attraverso una sua riproduzione o virtualizzazione.

Roma resta ancora una delle poche città in cui, oltre alle innumerevoli opere d’arte presenti nei suoi musei,  si possano trovare opere ancora nel loro contesto originale, come le splendide pale di Caravaggio in San Luigi dei Francesi, il Mosè di Michelangelo in San Pietro in Vincoli e l’Estasi di Santa Teresa in Santa Maria della Vittoria.

Togliere ad esempio l’Estasi di Santa Teresa dal proprio contesto significherebbe privarla dell’effetto del raggio di luce in bronzo, del senso teatrale con scolpiti di fianco i personaggi che osservano l’evento come dai palchi di un teatro e il tutto immerso in uno splendido contesto barocco quale è la Chiesa.

Le mostre o i musei a cui solitamente siamo abituati ad andare, spesso pongono tutti i quadri molti vicini tra loro, talvolta in ambienti in cui sono presenti solo fonti di luce artificiale che colpendo in “malo modo” le tele creano dei riflessi che non consentono una loro completa visione, a differenza di quanto accade nelle Chiese presso cui spesso si trovavano, dove la luce soffusa e naturale le illuminava attraverso le finestre o i rosoni (da questo punto di vista la Galleria dell’Accademia di Venezia con grandi finestre sui soffitti è tra i pochi musei a garantire una eccellente fruizione dei quadri).

Oggi, dalla decontestualizzazione stiamo passando alla digitalizzazione, o alle copie (come recentemente visto per alcune opere presenti, anzi a questo punto non presenti, nella mostra su Raffaello terminata pochi mesi fa alla Reggia di Venaria).

A Torino, credo, sia la prima volta che sia stata allestita una mostra virtuale come quella su Van Gogh, e ancora negli ultimi tempi le varie mostre su Impressionisti, Matisse, Tamara de Lempika, Monet, Modigliani sono stati allestimenti ricchi di opere reali, originali degli stessi artisti, e di questo non possiamo che essere felici per una città che in passato non era in grado di offrire tutto ciò con questa frequenza, per cui ben venga una mostra differente come quella della Promotrice delle Belle Arti, ma speriamo non sia solo l’inizio delle mostre virtuali che dal web passano dentro agli edifici e il diminuire delle mostre che portano al pubblico le reali opere d’arte dove la granulosità dell’immagine, l’energia della pennellata e il realismo del colore non vengano “mediati” dal media attraverso cui vengono proposti.




Marco Pinzuti



Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 06/04/2016