Quando la democrazia diretta può essere un rischio

Dopo il referendum che ha sancito la Brexit, aumentano i dubbi sulla democrazia diretta, fulcro delle decisioni del Movimento Cinque Stelle

Oggigiorno è più che mai in discussione il rapporto tra i cittadini e i loro rappresentanti, siano essi amministratori locali o europarlamentari, e tutto questo a partire, soprattutto, da quando esiste l’Unione Europea e da quando è iniziata la crisi del 2008.

Pochi giorni fa, abbiamo assistito all’uscita della Gran Bretagna dalla UE, conseguenza di quanto i britannici hanno deciso sul proprio futuro attraverso il referendum del 23 giugno.

Il referendum era stato voluto dalla stesso Cameron che, facendo evidentemente mal i suoi conti, pensava di indire una votazione popolare il cui esito sarebbe stato scontato: i britannici non sarebbero mai stati così sprovveduti da uscire dall’Unione Europea in un mondo globalizzato nel quale chi è troppo piccolo rischia di trovarsi in serie difficoltà, soprattutto dopo la crescita dei paesi emergenti.

Eppure, il Premier inglese, ora dimessosi dall’incarico, non aveva previsto che il timore per l’immigrazione, la disoccupazione e le politiche di austerity di Bruxelles avrebbero condotto la maggioranza dei propri connazionali a votare in favore dell’uscita dalla UE.

Dalla mappatura sulla distribuzione dei voti, si è notato come le zone più elitarie e svliluppate (Londra, Cambridge, Oxford), le fasce più istruite e i giovani abbiano votato in favore del “remain”, mentre i restanti abbiano preferito l’indipendenza dalla UE.

E’, quindi, evidente che la maggior parte della popolazione, o per incompetenza, o per paura del futuro (immigrazione e lavoro) o per conservatorismo legato all’età anagrafica, ha dato un voto per così dire “di pancia”. Se Cameron non avesse indetto il referendum, oggi la Gran Bretagna sarebbe ancora nella UE, mentre ora rischia anche una grossa frattura al proprio interno, dal momento che Scozia e Irlanda del Nord vorrebbero restare in Europa e ora pensino di dividersi dal Regno Unito.

Tutto questo per dire come sarebbe importante valutare se e quando chiedere al popolo cosa vuole, dal momento che in democrazia i cittadini delegano a chi è più esperto, preparato, con il “know how” giusto, con il curriculum più adatto a governare le situazioni, il compito di guidarli sino alle elezioni successive.

Nel caso di Cameron, invece, il doversi togliere in un certo senso una responsabilità chiedendo ai cittadini cosa fosse meglio per loro, rischia di condurre la Gran Bretagna, e forse all’Europa tutta, verso un periodo molto difficile e di instabilità.

In Italia, il Movimento Cinque Stelle ha a cuore il sistema della democrazie diretta, attraverso anche votazioni, proposte, scelte fatte sul web.

Qualche giorno fa, è venuta a galla la possibilità che, per via di mancati o ritardati pagamenti da parte del Comune di Torino alla Gtt, a partire da settembre potrebbe accadere che alcune linee vengano tagliate , ridotte, o anche solo cancellate delle fermate (ad esempio per la linea 4).

Lo staff di Chiara Appendino ha fatto sapere che, fatte le opportune verifiche, metterà in “chiaro” eventuali magagne della precedente Amministrazione comunale e poi insieme ai cittadini vedrà quali scelte portare avanti.

Sebbene ad oggi non si conoscano i dettagli, mi domando se l’idea sarebbe quella di far parzialmente decidere ai Torinesi come riorganizzare il sistema dei trasporti.
E’ chiaro che decisioni di questo tipo richiedono una conoscenza approfondita del bilancio, delle linee presenti sul territorio, di statistiche sull’utilizzo dei bus, e di molti altri parametri che solo una Amministrazione comunale dovrebbe prendere in esame poiché delegata a farlo attraverso le recenti elezioni comunali.

L’idea di prendere decisioni facendo sempre più spesso scegliere (o via web o attraverso un referendum) i cittadini rischia di diventare un’arma a doppio taglio, che, per mancanza di competenze e di una corretta visione dell’esistente e del futuro, può portare a far intraprendere ai cittadini scelte non necessariamente migliori e lungimiranti, ma solo di pancia e a breve termine.

Il fatto di avere oggi rappresentanti che consideriamo non all’altezza nelle Istituzioni Europee, non significa dover avere meno Europa, ma sforzarci di eleggere una classe dirigente più capace di soddisfare i nostri bisogni.

Allo stesso modo, non è con diversi strumenti democratici (referendum, web, …) che la democrazia si possa esercitare in maniera più efficace nel perseguire i nostri obiettivi, ma anche in questo caso passando dall’individuare politici ed intellettuali più capaci e che sentano il peso di quanto abbiamo loro delegato senza che questi ci coinvolgano di continuo nelle decisioni da prendere, che sia per uscire dall’Europa o per la nuova attuazione del piano dei trasporti di Torino.

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Articolo pubblicato il 01/07/2016