L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Otranto (LE). Il martirio di ottocento cristiani vittime dei mussulmani

Era il 1460, ma come oggi Maometto insanguinava l’Europa

Anche quest’anno i mussulmani stanno mietendo vittime innocenti in Europa. Nei giorni scorsi ci siamo intrattenuti sulla carneficina di Barcellona e sulla scia di altre azioni, per fortuna limitate negli effetti devastanti.

Siamo in estate, ove ci capita di viaggiare un po’ frettolosi e superficiali,  ma le perversioni dell’islamismo lasciano il segno e qualche indicazione stradale o turistica, non passa inosservata.

Così una gentile lettrice, in viaggio tra le perle del Salento, ci ha chiesto notizie sui martiri di Otranto.

Sul momento la voglia di bagni e sole, ha prevalso sulla cultura, ma la curiosità e la consapevolezza, hanno avuto il sopravvento.

In effetti, poco prima di ferragosto, ricorreva la memoria degli 813 martiri di Otranto, canonizzati il 12 maggio 2013.

Per la canonizzazione risultò decisivo un miracolo avvenuto nel 1980, nel quinto centenario dal martirio, quando il monastero delle clarisse di Otranto chiese la loro intercessione per la consorella Francesca Levote, affetta da un tumore già in metastasi.

La monaca ebbe una guarigione “rapida, completa e duratura”, inspiegabile per la medicina, e visse per altri 31 anni. Ma al di là della guarigione miracolosa della clarissa, sono innumerevoli i prodigi attribuiti nei secoli all’intercessione dei martiri otrantini, la cui storia merita di essere ricordata, perché mirabile testimonianza di un’epoca in cui i cristiani erano consapevoli del dono della fede in Cristo e del loro dovere di trasmetterla intatta alle nuove generazioni.

Il martirio di Otranto si svolge nel 1480, ventisette anni dopo la presa di Costantinopoli da parte degli Ottomani e la caduta dell’Impero Romano d’Oriente.

Mentre gli staterelli della nostra penisola si fronteggiavano per questioni territoriali, i turchi progettavano di approdare e conquistare il meridione, risalire fino a Roma, sede del papato e perciò obiettivo principale del sultano Maometto II, e poi dilagare nel resto d’Europa ricongiungendosi con i musulmani di Spagna, dove ancora non era del tutto completata la “Reconquista”.

Rispetto a ieri, nulla pare cambiato e gli spietati terroristi islamici, intendono sgominare cristianesimo e civiltà europea.

Prima meta dell’attacco sarebbe dovuta essere Brindisi, ma il vento costrinse la poderosa flotta turca – forte di circa 150 navi e 18 mila uomini – ad attraccare il 28 luglio a poca distanza da Otranto, uno dei primi centri della Puglia a convertirsi al cristianesimo e dove i monaci avevano profondamente inciso sulla fede e sulla cultura.

Abbandonata per la paura da buona parte dell’esigua guarnigione del Regno di Napoli, Otranto si ritrovò a essere difesa dai suoi soli abitanti, ai quali il comandante turco Gedik Ahmet Pascià inviò un messaggero: se non avessero opposto resistenza, sarebbero stati liberi di rimanere o andare via.

“Se il Pascià vuole Otranto, venga a prenderla con le armi, perché dietro le mura ci sono i petti dei cittadini”, fu la risposta dell’anziano Ladislao De Marco che ben rappresentava le intenzioni del popolo.

Iniziò l’assedio. Durò due settimane, durante le quali Otranto fu cannoneggiata sia da terra che da mare, mentre molti abitanti si rifugiavano nel castello.

I musulmani aprirono una breccia nelle mura e iniziarono un massacro per le strade e per le case. Si realizzava così la profezia di san Francesco da Paola, che qualche mese prima aveva messo in guardia i governanti: “Ah infelice città, di quanti cadaveri ti veggo piena! Quanto sangue cristiano s’ha da spargere sopra di te”.

Ma Ferrante d’Aragona non credette alla profezia e anzi accusò il santo di disfattismo.

I musulmani violarono pure la cattedrale, dove diversi otrantini avevano trovato rifugio.

Era l’11 agosto. Come racconta il contemporaneo Antonio De Ferrariis (1444-1517) nel suo De situ Japigiae, “durante la notte precedente quello sventurato giorno, l’arcivescovo Stefano [...] aveva confortato tutto il popolo col divino sacramento dell’Eucarestia per la battaglia del mattino seguente, che lui aveva previsto”. All’arcivescovo fu intimato di non nominare più Cristo, ma lui non si piegò e con fermezza li ammonì alla conversione: un istante dopo gli fu staccata la testa con un colpo di scimitarra.

Nel frattempo, anche il castello venne espugnato, le donne ridotte in schiavitù, alcune violentate e uccise.

Lo storico islamico Ibn Kemal (1468-1536) descrive così la conquista turca: “I soldati dell’Islam, combattuto per un po’ di giorni con quelli di fede errata, avendo trasformata in un cimitero la città agli occhi degli infedeli, con la forza presero la fortezza; nell’interno spazzarono via tutto e ottennero migliaia di prigionieri, donne, bambini, vecchi, giovani”.

Il 13 agosto, il pascià chiese la lista dei prigionieri dai quindici anni in su, con esclusione delle donne, e tra i superstiti risultarono esserci poco più di ottocento uomini.

Il pascià ordinò la condanna a morte e il mattino dopo, 14 agosto, gli ottocento vennero condotti sul colle della Minerva, legati e seminudi.

Ahmet ordinò che il primo a essere decapitato fosse il vecchio Primaldo, che fino all’ultimo incoraggiò i compagni dicendo di vedere gli angeli e il cielo aperto.

Le cronache raccontano che il suo corpo balzò in piedi subito dopo la decapitazione e, nonostante gli sforzi dei musulmani, rimase immobile fino al martirio dell’ultimo compagno. Il miracolo fu tale che uno dei carnefici, di nome Berlabei, si convertì professandosi cristiano. Anche lui fu martirizzato poco dopo.

L’eroica resistenza degli otrantini non si rivelò vana, perché consentì all’esercito del re di Napoli di avvicinarsi a Otranto, mentre Sisto IV promosse una tregua tra i vari stati italiani.

Alla fine, anche per le difficoltà conseguenti alla morte di Maometto II e al richiamo in patria del pascià, i turchi furono costretti a ritirarsi l’8 settembre 1481.

Il 13 settembre furono ritrovati i corpi dei martiri che, come racconta Pietro Colonna detto Il Galatino (1460-1540), erano “illesi e integri (come io vidi) […] e, ciò che è più mirabile, furono trovati tutti con gli occhi rivolti al cielo; nessuno di essi accennava tristezza di sorta; anzi mostravano un così lieto ed ilare volto, che sembrava ridessero”.

Fu un martirio di popolo, che stride con la fede stanca e molle che oggi pervade l’Europa, sempre più scristianizzata e dimentica del passato. Un’Europa che ha rinnegato a tal punto le sue radici da credere che il cristianesimo possa essere accantonato senza contraccolpi per la nostra civiltà, da ritenere che le religioni siano ugualmente orientate alla pace e che basti la parola talismano “accoglienza” per integrare culture profondamente differenti, nonostante la realtà continui a mostrarci il contrario.

Gli oltre ottocento martiri idruntini erano consapevoli dell’unicità del cristianesimo, ben lontano dagli slogan sull’accoglienza indiscriminata che si sentono oggi, gridati o per ingenuità o spesso per interesse, ma che di certo non fanno il bene di nessuno.  

Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 20/08/2017