La fantascienza lenta nel mondo veloce

L’uscita del nuovo Blade Runner si è rivelata un piccolo flop, ma certo non per demerito del regista

Questo sabato  sono andato a vedere Blade Runner, dopo essermi rivisto quello del 1982 e aver anche letto il romanzo di Philip Dick da cui era stato liberamente tratto.

Con stupore, la sala ospitava solo una ventina di persone, di cui una buona parte non certo dei teenagers e la stessa scarsità di platea è capitata anche ad alcuni amici andati a vedere il film la settimana dell’uscita nelle sale.

A guardare il seguito del film di Ridley Scott, qui affidata alla regia di Denis Villeneuve, si può facilmente intuire il perché di un tale esiguo successo ai botteghini.

Come era accaduto al Blade Runner interpretato da Harrison Ford ben 35 anni fa, anche questo sequel viene caratterizzato dalla lentezza, che era stata una dominante dei più grandi film di fantascienza del secolo scorso, come appunto Blade Runner e 2001 Odissea nello Spazio,  ma che evidentemente ai tempi nostri, fatti di velocità e sintesi (non solo nei lungometraggi, ma anche sul web con i 140 caratteri di Twitter o nell’informazione cartacea col proliferare dei giornalini tipo Metro o Leggo) ne deve aver disincentivato la visione.

Questo Blade Runner 2049 è certamente un bel film, soprattutto per chi ha amato il vecchio episodio. Se in quello del 1982 si indagava l’uomo, sul suo futuro minacciato dagli androidi empatici che temevano la morte, in quello di Villeneuve è la scomparsa dell’uomo ad essere filo conduttore.

I temi della morte, dell’autoriproduzione, dell’umano che lascia il posto all’inumano sempre più desideroso di umanizzarsi, continuano, 35 anni dopo, ad essere pervasi da quel senso di lentezza, inquietudine, solitudine, freddezza e minimalismo di scenografia che contraddistinse il Blade Runner del secolo scorso.

Il film di Villeneuve ha il grande pregio di far riflettere su come più passi il tempo (quello che vede gli androidi sostituire gli umani) e più la Terra diventi un non luogo, in cui ci sarà pure tecnologia, ma una tecnologia che non fa migliorare gli individui, che non crea un mondo migliore e che, a differenza della maggior parte dei film o telefilm di fantascienza nei quali il nocciolo è la guerra tra il bene e il male, crea ancor più desolazione, smarrimento tra i post umani, gli androidi sempre più consapevoli di potersi anche riprodurre, ma altrettanto consci delle loro paure, della loro memoria indotta e non reale, della difficoltà di poter amare veramente.

Il rapporto uomo-macchina, che nel vecchio Blade Runner avveniva tra il cacciatore di androidi Rick Deckard e l’androide Rachel, nel sequel diventa quello androide-ologramma tra il cacciatore di androidi, anch’egli androide, l’agente K e una donna virtuale che vuole raggiungere quella materialità che le consentirebbe di amare veramente l’androide, quasi a volerci dire che questa continua ricerca di androidizzazione della società sposta il problema a un meta livello diverso (uomo-androide prima e androide-ologramma poi) ma senza modificarne il fine ultimo che è quello del relazionarsi con l’altro attraverso l’empatia e la fisicità, in un mondo, come anche quello in cui viviamo, nel quale le giovani generazioni sembrano sempre più propense alle amicizie virtuali dei social, rispetto a quelle reali.

Blade Runner 2049 è un film di fantascienza ben lontano dagli standard dei nostri tempi, in cui l’azione e la velocità sono tutto; è un film che ci riporta alla fantascienza di Dick, Asimov e Clarke, quella fantascienza fatta più di riflessione psicologica e sociale sulle nostre inquietudini interiori, piuttosto che sui grandi effetti speciali tipici non solo dei film ma anche dei libri dei nostri tempi (si pensi a Dan Brown e a Glen Cooper).

Blade Runner 2049 è un film che segue la scia di lungometraggi come 2001 Odissea nello Spazio e Metropolis, pur non riuscendo (probabilmente) ad avere la fortuna di entrare nella storia del cinema come gli altri, poiché anacronistico nella forma, ma non certo nella sostanza, all’apparenza molto futuristica ma in realtà più attuale e lungimirante di quanto si possa credere.

Se ci eravamo abituati a prequel, sequel e remake, da Star Wars alle saghe della Marvel, in cui si tende a un linguaggio spesso "rumoroso" del cinema di massa, o ai recenti telefilm (si pensi a Netflix con i nuovi e con meno spessore supereroi Marvel o alle battaglie dell'ultima serie di Star Trek dove siamo lontani dalle ricerche scientifiche di Kirk e dalle riflessioni di Spoke), Blade Runner 2049 ha uno stile più raffinato da lungometraggio vecchio stampo che indubbiamente ci vuole più riflessivi che impressionabili.



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Articolo pubblicato il 17/10/2017