La strategia di distruzione dell’Italia produttiva e industriale. 2ª parte
Roma, 28 giugno 1977. Stretta di mano tra Moro e Berlinguer. Il compromesso storico

Cronologia del perché dovevamo morire. Il boom economico, la crisi, le stragi. Il delitto Moro, Bankitalia vendesi....

La guerra terminata nel '45 aveva lasciato il ricordo di un'Italia aggressiva e fascista, partita impreparata e castigata duramente sul campo di battaglia. La penisola faceva gola ai  vincitori per la sua posizione strategica. Nella suddivisione del mondo tra Est e Ovest eravamo più fortunati della Germania. Non ci divisero in due e il piano Marshall ci diede una mano, ma poi si fece da soli. 


Gli anni del miracolo economico, la prima crisi energetica, 

la strategia della tensione: complotti e misteri 


 L’Expo del centenario Italia61 tenutasi a Torino, aveva mostrato al mondo un’Italia democratica, moderna ed efficiente che, in una avveniristica vetrina architettonica, ospitava gli altri paesi, ma dando bella mostra di sé. 

Durante la sua visita aveva sorpreso persino Ted Kennedy e la qualità del miracolo economico non era piaciuta del tutto ai freschi vincitori, ora concorrenti. Ancor meno alla Germania che, anch'essa in fase di sviluppo, non serbava di noi voltagabbana, un buon ricordo. 

l'Italia esprimeva un periodo di grande fermento produttivo, soprattutto nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova. Un periodo di sogni, speranze e realtà che videro il tessuto sociale del nostro paese cambiare, attraversato da esodi di manodopera attratta verso nord dal boom industriale. 

Migliaia di "migranti interni" si spostarono dalle regioni segnate dalla guerra, soprattutto quelle del sud, arretrate e prive di sbocchi. Un flusso di forza lavoro che, superata una primitiva diffidenza, avrebbe trovato integrazione e benessere, mantenendo i vari livelli di accumulo economico del Paese, in Italia. Non venivano delocalizzate né le aziende, né piccoli risparmi o grandi capitali. 

Periodo che fino agli anni 70, avrebbe segnato un progressivo sviluppo. Fase cui l’Italia costruì una rete autostradale tra le prime in Europa, i servizi pubblici funzionavano, la sanità era puntuale e garantita, le aziende statali erano italiane, l’Alitalia tra le migliori al mondo, la siderurgia d’eccellenza, la disoccupazione ai minimi storici e l’edilizia in piena espansione. 

Epoca in cui gli operai si comperavano casa e il risparmio era un fluido che si depositava in solidi istituti di credito: foraggio per investimenti e per la circolazione cumulativa del Paese. Un Paese a trazione liberista, ma aperto a interazioni Keinesiane, in un sistema di economia mista, capace di sostenere se stesso, ma scomodo ad altri. Un paese che avrebbe dovuto interrompere il suo ingombrante progredire.  

Italia presto interessata da imprevisti eventi mediorientali e tensioni sociali interne, più indotte da forti e opposti interessi politico-macroeconomici, che non da una quotidianità che godeva di una certa serenità esistenziale. 

Periodo segnato nel 73 dalla guerra del Kippur, dalla crisi energetica di un paese che ne era privo (Enrico Mattei aveva ragione), dalla crisi industriale, dai licenziamenti, dalla dura e violenta lotta sindacale. Fenomeni che, insieme alle nuove scenografie industriali-bancarie, avrebbero invertito la curva di sviluppo dell’Italia. Nel 1975 la lira vedeva perdere il suo valore sul cambio internazionale e il rapporto Pil-debito pubblico, che fino ad allora era rimasto in equilibrio iniziò a divergere a sfavore di quest’ultimo.

 

L’assassinio di Aldo Moro, l’uomo scomodo

a troppi interessi internazionali. 


Alla fine degli anni 60 quell’Italia di “felice” stampo “cattoamericano” si era trovata a fare i conti con l’avanzare della sinistra. Italia dai troppi interessi, funestata dagli anni delle “stragi di Stato”, ordite da complotti interni, logge e formazioni di estrema destra. Periodo buio della Repubblica ancora in attesa di luce. Strategia della tensione (termine per una tecnica di controllo deviato, coniato dal giornalista inglese Leslie Finer), che fino agli anni 80, avrebbe contribuito a immobilizzare la politica democratica italiana, depistando dall’attenzione, le vere responsabilità delle stragi nelle piazze. Un’Italia in bilico e in aria di destabilizzazione.

È in questo contesto sociopolitico che, attento all’avanzare del Pci e al lato interessante delle sue motivazioni, il leader della DC, Aldo Moro, intuì possibile una collaborazione con l’avversario storico. Lungimirante visione terribile sia per i vertici del proprio partito, sia per scenari internazionali di ben altro spessore.

Nel 1978, il sequestro Moro e la strage di via Fani, furono delitti più che di ''Stato'', originati da un timore che il compromesso storico con Berlinguer potesse rompere degli equilibri sia ad est che ad ovest. Negli USA era impensabile accettare che il comunismo potesse trovare un punto di convergenza col capitalismo. Moro dava fastidio a personaggi molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger, infuriato delle “convergenze parallele” aveva minacciato apertamente Moro di morte poco tempo prima».

Allo stesso tempo, nell’Urss lo scenario era inaccettabile per motivo uguale e contrario. Il “cattocomunismo” sarebbe stata una scelta destabilizzante a livello internazionale. Altrettanto a livello interno, sia per le visioni più intransigenti della DC, sia per la lotta armata delle BR, ultimi killer comodi a tutti.

L’assassinio di Aldo Moro, attuato dalle “seconde Br” di Mario Moretti, collegate con deviazioni dei servizi segreti e con i servizi americani e israeliani è un episodio “strategico” per il futuro della Repubblica.

A quarant’anni di distanza si tenta di scrivere la giusta storia. Le commissioni d’inchiesta istituite dal 2014, e precedenti interpellanze, ridisegnano quei fatti, chiamando in causa nomi eccellenti quali: Steve Pieczenelick, consulente USA dell’allora ministro dell’interno Francesco Cossiga, oltre ad alti funzionari del SISMI. La verità ancora sfugge, ma pare ormai assodato che, sul luogo della strage erano presenti agenti della C.I.A, del Mossad e del KGB. Troppi nemici per un uomo solo che doveva morire e lo sapeva. 

Il futuro non sarebbe stato lo stesso e forse l'Italia avrebbe trovato il suo equilibrio sociale e produttivo se quel compromesso storico fosse andato a buon fine. Oggi l'Italia è in svendita, a quel tempo sarebbe rimasta quel competitor di troppo sullo scenario internazionale? Dovevamo andare al fallimento. Così è stat.


Un Paese di risparmiatori e la sua banca di Stato


Vi sono numerose interpretazioni della vicenda, ma sta prendendo molto credito che la stabilità monetaria dell’Italia ha subito il primo colpo fatale nell'81, dopo la decisione del governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi, pressato dal ministro Beniamino Andreatta (patrocinatore delle privatizzazioni), di togliere l'obbligo d’acquisto dei titoli di Stato alla Banca centrale, mettendo in circolo i titoli invenduti a tassi altissimi. 

All’industria non fu più conveniente reinvestire nella modernizzazione degli impianti quanto nell’acquisto dei titoli di Stato. Il 50% del capitale industriale fu dirottato verso un rendimento più immediato e sicuro. Allo stesso tempo, le banche private acquisirono titoli; si spezza il rapporto fiduciario banca-imprenditore, a nessuno dei due conviene prestare-investire con percentuali di ritorno più basse. 

  

La Banca d’Italia infine, smise di essere proprietà del Paese quando, nel ‘92, dopo la legge 35/92 del ministro del Tesoro Guido Carli, inizia la privatizzazione della banca stessa, acquistata da altre banche. Vista nell'ottica d’uno Stato sovrano, è lecito affermare che l’istituto, proprietà dello Stato, e come da definizione, dei cittadini, è stato travasato nelle tasche di gruppi bancari privati senza far rumore.

 


    

  

Il colpo del ko, arrivava otto anni dopo, con il crollo del Muro di Berlino. La Germania si giocò la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: d’accordo con i francesi, per riunificarsi con l’Est i tedeschi accetteranno di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo togliesse dalla scena il loro concorrente industriale più ingombrante: l’Italia.

Inizia subito dopo il tormentato momento di Tangentopoli e “mani pulite”. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.

Fine 2ª parte 

 Nella 3ª prossima parte: approfondimenti sugli argomenti precedenti. Fine della prima Repubblica, altri lutti nell’imprenditoria italiana 

https://www.youtube.com/watch?v=XxC2AL8Opw

https://www.youtube.com/watch?v=i8FmIkw2qQI

https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/11/13/caso-moro-gli-americani-e-i-pezzi-di-puzzle-che-si-compongono/1208887/ 

https://www.youtube.com/watch?v=JL_HTATY8o4 

https://www.youtube.com/watch?v=3SB4aO3lC1k

https://keynesblog.com/2012/08/31/le-vere-cause-del-debito-pubblico-italiano/ 


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Articolo pubblicato il 26/02/2018