27 gennaio: anche altre memorie nel giorno della Shoah

Un breve excursus sulla crudeltà della razza umana, ma con metodi diversi.Il massacro di 50 milioni di bisonti

Anche quest'anno, nel clima surreale di un crecente antisemitismo che serpeggia in Europa, il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio, perché in quel giorno del 1945, i soldati dell'Armata Rossa liberarono il lager di Auschwitz, ponendo fine alla agghiacciante “soluzione finale” pianificata dai nazisti nel corso del II conflitto mondiale. Una delle più vergognose pagine della storia e del “male” operato dalla razza umana. Purtroppo non l’unica

Il 27 gennaio, oltre a ricordare i 6 milioni di ebrei dapprima rinchiusi nei ghetti e quindi immolati con una metodologia "industriale" nei lager nazisti, è un giorno in cui si deve cogliere l’occasione per dedicare la memoria anche ad altri genocidi attuati con le stesse, sinistre finalità, ma spesso con modalità diverse. Non per questo meno crudeli, ma sovente dimenticati.

Il popolo armeno fu oggetto di un genocidio praticato dai turchi dal 1914 al 1918 e tuttora negato dagli eredi dell’impero ottomano. Il massacro, messo in atto per plurimi pretesti, costò al popolo armeno, tuttora oggetto di persecuzioni, da 1,7 a 2,1 milioni di morti.

Altro fu l’Holdomor, la deportazione di 600.000 agricoltori kulaki ucraini, ordita da Joseph Stalin e il resto del genocidio lasciato compiere alla carestia che tra il 1933 e il 1934 cancellò da 3,5 a 6 milioni di ucraini, poi sostituiti da contadini russi. Un argomento che andrebbe approfondito in questi tempi di una guerra russa sospinta da dispotiche pretese territoriali e false ideologie.

Nel dopoguerra l’oscura fobia del massacro si è spostata verso altre aree del mondo, dalla Cambogia di Pol Pot, con il 20% della popolazione trucidato in quattro anni, ai massacri degli Hutu e degli Tutsi del Ruanda nel 1994, con 1,14 milioni di morti in 100 giorni, e ovunque il volto del male, mai sazio di sangue, si è soffermato a riscuotere il suo tributo, Palestina inclusa.

Ma in questo 27 gennaio, dove ci si confronta con il lato diabolico della mente umana e il suo disprezzo "razziale”, si vuol fare un passo indietro, inoltrandosi in un XIX secolo dove la storia ci rammenta massacri perpetrati dall'uomo "civilizzato" senza subire alcun processo.

Tra i tanti peccati coloniali spiccano quelli di Sua maestà Leopoldo II che tra la fine dell’800 fino al 1960, nel Congo belga ha sfruttato le popolazioni con una sistematica brutalità costata 10 milioni di vittime.

Bazzecole rispetto ai coloni europei che, dopo essere sbarcati sul “Nuovo Mondo”, si sono macchiati del più smisurato genocidio rimasto impunito. Infatti, il numero di nativi eliminati in Nord America tra il 1500 e il 1900 è stimato in circa 100 milioni.

 

Lo sterminio dei bisonti pianificato per sterminare i nativi americani

In quelli che oggi sono gli Stati Uniti, lo sterminio dei nativi alla fine del XIX secolo fu reso sbrigativo con metodi ben più subdoli delle cariche di cavalleria. Uno su tutti fu il più rapido genocidio della storia: l’ignobile e programmato massacro dei bisonti effettuato soprattutto nel solo penultimo ventennio dell'ottocento, nelle pianure comprese tra il Wyoming, il Kansas e lo Huta, dove si muovevano non meno di 30 milioni di bisonti.

Totalmente, nell’arco di tutto l'800, dei circa 70 milioni di maestosi bovini che da 10.000 anni si erano insediati tutto il Nord America,dalle foreste del Canada fino alle praterie del Texas, dell'Arkansas e del new Mexico, a fine secolo ne restavano solo 600 esemplari. Nel 1894 il Governo Federale, forse infine consapevole o forse perché aveva raggiunto i suoi obiettivi, varò una legge che ne vietava la caccia, ma il delitto di massa era stato ormai compiuto.

Da sempre, le tribù indiane degli altipiani centrali vivevano al seguito delle enormi mandrie di bisonti, dalle quali ricavavano ogni sostentamento, dalle pellicce per tende e abbigliamento, alla sostanziosa carne. Perseguendo altri obiettivi, il Governo Federale intendeva convertire gli indiani all’agricoltura, spostandoli all’interno delle riserve, ma gli Sioux, i Kiowa, i Comanche e le altre tribù delle pianure erano di tutt’altro parere, etnie fiere e numerose, difficili da domare in battaglia senza subire perdite.

Gli ufficiali dell’esercito avevano capito che lo sterminio dei bisonti era il metodo più rapido per piegare quelle tribù, le più risolute del continente e anche le più benestanti, poiché per i nativi il denaro non aveva valore. La ricchezza era ciò che offriva la natura e il bisonte era un inestimabile patrimonio sfruttato con “devozione”.

La decisione di abbattere le mandrie fu presa nell’ottobre del 1868 dal generale Philip Sherman; sleale stratagemma per aggirare i “trattati di pace” stipulati a Fort Laramie appena un mese prima, con gli Sioux e altre tribù degli altipiani centrali. Una sentenza di "strage" che in una manciata di anni avrebbe portato i bisonti a un soffio dall'estinzione.

Le cronache del tempo sono fitte di mitici eventi marginali; l’obiettivo finale era liberare con qualsiasi sistema la regione dagli indiani, in modo che ferrovie, diligenze, telegrafo e nuovi insediamenti, icone del progresso americano, potessero svilupparsi indisturbate.

A est, non tutta l’opinione pubblica approvava il massacro, ma fu spacciato come necessario dall’intralcio che le mandrie provocavano alle ferrovie e altri pretesti, attirando molti avventurieri in cerca di fortuna. Nel 1870, una pelle di bisonte valeva $ 3,50. Un affare garantito con un solo colpo di winchester.

In quel periodo, molti giovani come William Cody avevano trovato il modo per far soldi. Cody, già guida dell’esercito, si guadagnò il soprannome di “Buffalo Bill” perché per rifornire di carne gli operai della Kansas Pacific Railway, in 18 mesi uccise 4280 bisonti.

I bisonti venivano anche cacciati per sport, organizzando audaci battute per annoiati ricconi newyorkesi, dei quali, Buffalo Bill divenne presto un’ambita guida. A sua volta, il generale Sherman ebbe l’idea di invitare alle battute di caccia nobili e sportivi inglesi, che divertendosi facevano il lavoro sporco, agevolando il proposito dell’esercito, che assisteva alla strage lasciando fare. Gli ufficiali sostenevano che i cacciatori di bisonti "facessero di più per piegare gli indiani rispetto a quanto avessero fatto i soldati in 50 anni”.

Nonostante ciò i bisonti erano ancora numerosi. Nel 1873 però, una crisi economica colpì il paese e un lavoro per la sopravvivenza tornò ad abbattersi sugli sfortunati bisonti. Migliaia di improvvisati cacciatori furono attirati nelle pianure, armati con fucili e munizioni forniti dall’esercito. Ognuno poteva riuscire a uccidere fino a 50 bisonti al giorno, ai quali veniva tagliata la gobba e spellata la carcassa, lasciando il resto a marcire nella prateria, orrendo cimitero a cielo aperto. Scioccante prova del massacro è riportata dalle immense cataste di teschi e di ossa dei poveri bestioni, raccolte in un secondo tempo. Un'altra pratica ancor più vile, messa in atto da prezzolati cowboy, era lo spingere interi gruppi di bisonti a sfracellarsi nei precipizi. Un vero macello senza sparare un colpo.

Infine, l’eccesso delle preziose pelli fece cadere il prezzo sul mercato, cosicché molte di queste rimasero accatastate e invendute, moltiplicando l’onta dello scempio.

L’olocausto “a doppio effetto” di bestie e per riflesso, di nativi, si è consumato in un clima di insuperata vergogna. Nel 1875 il Congresso approvò un disegno di legge per tutelare i bovini; il presidente Grant rifiutò di firmarlo. In quell’anno l’esercito piegò la strenua, affamata resistenza di Comanche, Kiowa, Cheyenne e Arapaho, forzandoli ad abbandonare le pianure e convergere nelle riserve.

Studi conseguenti hanno dimostrato che la mattanza dei bisonti e relativa carestia, ha portato le nuove generazioni di nativi a perdere 2-3 centimetri di altezza e a elevati tassi di mortalità infantile nei primi decenni del XX secolo.

Secondo un censimento del 2010 i nativi americani che vivono nelle riserve di tutto il Nord America, sono circa 9,7 milioni. Dei bisonti invece, un tempo animali sacri, simbolo di prosperità e di protezione che incarnava anche aspetti spirituali, 500.000 vivono in tenute agricole, 45.000 sono in riserve e parchi nazionali e solo 15.000 pascolano ancora liberi nelle praterie.

L’uomo bianco ha vinto, ma per come stanno andando le cose sulla Grande Madre Terra, le profezie di Toro Seduto, temuto condottiero degli ultimi Sioux, massacrato a tradimento nella sua tenda da agenti della polizia indiana il 15 dicembre 1890… con molta probabilità, avranno ragione.

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Articolo pubblicato il 27/01/2024