Quando si volevano deportare gli ebrei in Madagascar

Mentre si avvicina il giorno della memoria e il conflitto in Medioriente si espande, un excursus su una folle pagina di storia poco nota

Secolari antefatti della “questione ebraica”

Il 14 maggio 1948, il presidente del Consiglio nazionale ebraico Ben Gurion proclamò la fondazione dello Stato di Israele. Un lembo di “Terra promessa” individuato nel ‘47 dall’Assemblea dell’Onu con una ripartizione della Palestina in uno Stato arabo e uno ebraico, peraltro già coinquilini da sempre e in perenne conflitto. Un lembo di presenza Occidentale, messo a bella posta alla confluenza di ben quattro ritagli dell’impero ottomano. Poliziotto in terra araba, dove l’Europa dalla coscienza sporca, dopo la II Guerra Mondiale, trasmigrò i reduci della Shoah dove il primo Stato di Israele era sorto già nel 10º secolo a.C.. Parve un atto dovuto e riparatore, ma non fu un regalo.

Da quei tempi biblici la Palestina è passata di mano tra babilonesi e persiani, greci e romani, per poi confluire in quel perpetuo scontro arabo israeliano, che dal giorno seguente alla creazione dello Stato di Israele in poi, tra la guerra dei 6 giorni, a quella del Kippur e alle “intifada” si è trascinato fino all’attuale resa dei conti che sta facendo tremare soprattutto gli infedeli occidentali.

Dopo la mostruosa incursione terroristica di Hamas e la violenta reazione israeliana nella Striscia di Gaza, le cronache quotidiane ci riportano inquietanti reportage sull’espandersi di un conflitto che ha riacceso focolai di propositi antisemiti europei che sembravano relegati ai misfatti del “Secolo Breve”, sperando in un oblio nel tempo.

La storia ci riporta che in Europa, dalla Spagna alla Russia, le persecuzioni nei confronti della razza ebraica risalgono al medioevo, e dunque, anche nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, era un’etnia che non gradiva nessuno.

Il piano Madagascar

Partendo da reperti di archivio da poco disponibili, la questione ebraica rimbalza fino ai giorni nostri, passando per il cosiddetto “Piano Madgascar”, ordito negli anni '30 dal governo polacco, con il benestare di Francia e Inghilterra, per una deportazione in massa nel Madagascar dei milioni di ebrei che risiedevano in Polonia. Un piano condiviso tanto da Stalin e l’Urss quanto dalla Germania nazista, dove il Piano Madagascar fu poi seriamente preso in esame per una relegazione “altrove” della popolazione ebraica che già stava rastrellando in Europa.

L’opinione del movimento sionista non era certo favorevole a un esilio tra pappagalli, malaria e scimmie, in una terra fuori dal mondo, ma la proposta fu presa in esame perché in quel trentennio la Giudeofobia era aumentata nel Vecchio Continente, dove gli ebrei erano accusati di fomentare discordia e interferire con le politiche regionali, cospirando una dominazione del mondo. Per loro tirava brutta aria.

Il termine “sionista” fu coniato da Theodor Herzi, un giornalista austroungarico inviato a Parigi nel 1895, per seguire l’ “affaire Dreyfus”; una vicenda che tra il 1894 e il 1906 aveva originato un subbuglio sociopolitico in Europa. Osservando i fatti, il cronista aveva preso atto di quanto gli ebrei fossero malvisti in tutta Europa, scrivendo che fosse basilare riunirli in uno Stato ebraico nel Madagascar, accampando fantasiose origini storiche e geografiche di quella etnia.

L’idea di spostare gli ebrei europei in Madagascar era già balenata a Paul de Lagarde, uno studioso biblico tedesco del XIX secolo. Idea condivisa dopo la Grande Guerra, da numerosi politici antisemiti britannici e non solo.

Anche una proposta inglese del1903, che proponeva di creare uno Stato ebraico in Uganda sotto il protettorato inglese, era stata dibattuta tra ebrei sionisti e territorialisti, questi ultimi, disponibili a creare uno Stato di Israele in un luogo vasto ed ospitale, anche lontano dalla Palestina. L’opzione Madagascar,  in quell'occasione non fu presa in considerazione.

La meta Madagascar riprese quota nel ‘37, sotto la spinta del governo polacco e di una commissione francese. Il progetto iniziale ipotizzava di trasferire da 5000 a 7000 famiglie ebree sull’isola nell’oceano indiano, non di più, causa problemi di adattamento.

Il proposito non dispiacque ad Adolf Hitler, che nel 1938 ne aveva già parlato con autorevoli ideologi nazisti e anche  Himmler ed Eichmann erano d’accordo, ritenendo il piano meno impegnativo rispetto al dover risolvere il problema in Europa. Nel 1940 il piano fu preso sul serio, e Hitler lo sottopose anche a Benito Mussolni. In quel momento storico anche la Francia sconfitta e quindi ritenuta prossima a trattati di pace, fu ipotizzata come nazione favorevole a spedire in Madagascar gli ebrei europei.

Recenti ricerche ritengono che il piano sarebbe andato a termine se la battaglia d’Inghilterra avesse avuto un altro vincitore. Nel 1940 Hitler era a un passo dalla vittoria e dava per scontata una resa del Regno Unito, con la cui flotta, assieme a quella italiana, si sarebbero trasferiti in Madagascar 1 milione di ebrei all’anno, tagliando corto per il Mar Rosso. Ma le cose andarono diversamente.

L’Inghilterra tenne botta e la guerra sul suolo europeo sarebbe continuata, ma spostandosi per lo più sul fronte orientale fino al D Day. Dalla fine del 1940, vista l’impossibilità di trasferire gli ebrei in Madagascar, le deportazioni e la costruzione dei ghetti, al momento interrotti, presero la via di quella soluzione finale della questione ebraica, alla segreta Conferenza di Wannsee, stabilita in modo definitivo nel gennaio del 42 e terminata il 27 dicembre del 45, con l’arrivo ad Auschwitz dell’armata Rossa.

“Del senno di poi sono piene le fosse”, ma ripensando alla indelebile pagina della Shoah, all’avvicendarsi delle guerre in Palestina e all’attuale resa dei conti che rischia di trascinare nello scontro il mondo arabo e quello occidentale, un’inutile idea fine a se stessa, indugia nel chiedersi come sarebbe andata la storia del mondo se il ripugnante, folle piano Madagascar fosse andato a compimento.

La destinazione è ancora un’isola inospitale, dove si presume che i deportati sarebbero stati lasciati a se stessi in un enorme ghetto a cielo aperto, condividendo una regione malsana assieme ai Malgasci, 10 milioni di nativi ai quali nessuno aveva chiesto un parere. O forse la resiliente popolazione ebraica, col tempo avrebbe trasformato il Madagascar in un’isola prospera e influente? Domande inutili, mentre intanto si continua a bombardare in Medioriente.

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Articolo pubblicato il 20/01/2024