Edoardo Persico a Torino, fautore del “Gruppo dei Sei”
Carlo Levi, Edoardo Persico che legge, 1928

Critico d’arte e intellettuale, fra luci e ombre, e una morte intrisa di misteri

Nel giorno della sua nascita, ricordiamo con un succinto ritratto l’uomo e l’artista Edoardo Persico e i suoi intrecci con Torino.

Carlo Levi lo ha ritratto, in un olio su tela, dimensioni cm 38x46,5, dal titolo “Edoardo Persico che legge”. Il quadro si trova alla GAM, Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Torino; ritrae il critico che indossa un impermeabile, con il volto pallido sotto la bombetta nera; è stata datata 1928 da Giulia Veronesi.

L’eclettismo è una regola nella vita di Persico, una delle personalità intellettuali più innovative e visionarie del primo Novecento. Critico d’arte e di architettura, gallerista, grafico, editore: la sua personalità vulcanica e anticonformista spazia ovunque e non conosce limiti né confini, in un’attività febbrile, consumata nell’arco di soli 13 anni della sua breve ma intensissima esistenza.

Edoardo Persico nasce a Napoli l’8 febbraio 1900, da Giovanni e Rosa Grimaldi.

Dopo gli studi classici si iscrive a Giurisprudenza, prima di partire per il fronte nel 1918. Arruolato in fanteria e poi in artiglieria, riprende il suo iter universitario e torna a Napoli; militante nel 1921 del Partito Democratico Sociale, fondato da Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, compagine a forte radicamento meridionale, è descritto alternativamente come «amendoliano» e come «vecchio amico di S. E. Bottai» in due successivi rapporti di polizia, rispettivamente del 1923 e del 1929 (1).

Nel 1923 sceglie di non conseguire la laurea e pubblica il racconto filosofico La città degli uomini d’oggi, (editore Quattrini, Firenze), pieno di suggestioni da L’homme di Ernest Hello e da scrittori religiosi come Domenico Giuliotti e Charles Péguy.

L’anno dopo lancia la rivista “Cattolici”, insieme al fratello Renato e con Erminio Cavallero; con il manoscritto Il porto lontano – che doveva far parte di un ciclo dal titolo Il giro del mondo, una sorta di storia privata del secolo memore della ‘commedia umana’ di Honoré de Balzac - prende contatti con Piero Gobetti, a Torino, fondatore del settimanale “La Rivoluzione Liberale”. Grazie a lui, collabora alle riviste “La Rivoluzione Liberale” e “Il Baretti”.

Nel 1925 sposa Cesira Oreste. Nel 1926 lascia la città partenopea per Torino, dopo scambi epistolari con Piero Gobetti (le lettere si sono perse, come molto altro della vita di Persico). A Torino, dove sognava di fare l’editore, si guadagna da vivere come manovale alla Fiat, esperienza di cui rimane testimonianza in un articolo del 1927: La Fiat: gli operai, sulla rivista “Motor Italia”, in cui è entrato come redattore.

L’importanza del rapporto con Gobetti, maturato in circostanze che possono sembrare occasionali o connesse alle ambizioni letterarie di Persico, crescerà alla distanza, manifestando i suoi effetti nel suo periodo milanese e interrompendosi solo con la morte di Gobetti.

Mario Gromo lo coinvolge nella direzione della nascente casa editrice Fratelli Ribet, per un breve periodo.

Fonda, finalmente, la casa editrice “La Biblioteca Italiana di Edoardo Persico”, che pubblica due soli testi: Il sarto spirituale (1928) di Giuseppe Prezzolini e Pretesti di critica (1929) di Lionello Venturi; questo secondo titolo è ceduto all’editore Hoepli per problemi economici

Nello studio di Alberto Sartoris inizia ad interessarsi di architettura e conosce gli artisti Carlo Levi, Gigi Chessa e Francesco Menzio, che lo introducono al mondo dell’arte, dove Edoardo inizia la attività di critico.

Egli sa dare concretezza ed organicità alle aspirazioni di una piccola cerchia di amici pittori che, grazie a lui, formeranno il gruppo dei Sei di Torino, finanziato con generosità dall’industriale e mecenate Riccardo Gualino. Nei primi testi critici, in sostegno di Menzio e dei Sei di Torino, Persico si mostra involuto e cerimoniale, quasi timoroso di scoprire le carte. In Francesco Menzio, testo che vorrebbe essere un elogio, rimprovera ironicamente l’esterofilia dell’amico e gli nega la patente di «europeo», cui Menzio tiene. Nei Sei Pittori di Torino corregge il tiro, chiamando Casorati e Soffici a fare i mentori. Venturi è nominato in apertura, interprete e garante del gusto più «europeo», «nobile», non «provinciale», e le singole valutazioni rendono omaggio al criterio antinovecentista della «semplicità».

La presentazione della personale di Menzio alla Sala Guglielmi di Torino e l’articolo sul gruppo pubblicato in “Le Arti plastiche” (1929) segnano l’inizio della sua attività di critico d’arte. In tale veste si fa promotore di una pittura moderna in contatto con le principali correnti europee, dall’impressionismo alla Scuola di Parigi.

Si sente osservato troppo da vicino della polizia e decide di trasferirsi a Milano, dove diventa direttore di una nuova galleria acquistata dai fratelli Ghiringhelli nel 1930, per la quale propone come nome “Il Milione”, ispirato al libro di Marco Polo.

Nel 2012 Skira ha ripubblicato il suo volume Profezia dell’architettura.

Può essere definito un uomo dai mille misteri, compresa la sua morte, ricostruita da Andrea Camilleri, come un giallo storico, nel suo libro intitolato Dentro il labirinto.

Edoardo Persico muore a Milano, nel periodo di maggior sviluppo e consenso del fascismo, l'11 gennaio 1936. Il suo cadavere viene scoperto nel bagno della sua casa, in totale disordine e caos. Le cause della morte di questo vero intellettuale, all'epoca assai noto e punto di riferimento per una generazione di artisti, non sono mai chiarite. Un’autopsia pasticciata e dal referto incompleto, tante carte che scompaiono, due ritratti diversi del cadavere, i suoi silenzi degli ultimi mesi e l’autoesclusione progressiva dalle amicizie sono ingredienti di un giallo destinato a rimanere senza soluzione.

Nella ristampa del 2012 del volume La città degli uomini di oggi (Hacca Edizioni), Gianni Biondillo scrive: «Persico fu un pensatore autodidatta, inquieto, che visse in povertà estrema, inseguendo le sue chimere, esempio perfetto di tardo bohème, candela che brucia da entrambi i lati, e perciò si esaurisce prima, ma con maggior luminosità dei suoi coetanei. Vita intensa, piena di luci e ombre, quella di Persico. Occorre rileggerlo, in quest’epoca così povera di slanci teorici, dandogli però l’onore e l’onere del tempo trascorso. Storicizzarlo, per poterlo fare a noi più contemporaneo.»

Note

(1) Cesare De Seta (a cura di), Edoardo Persico, pag. 12, Electa, 1987, Napoli.

 

 

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Articolo pubblicato il 08/02/2024