Stendhal, “il milanese”, non ha amato Torino e il Piemonte

Viaggio italiano. Appunti di viaggio di Henry Beyle ,“Stendhal”, 1828

Viaggio italiano è il titolo di un volumetto rilegato di 32 pagine, pubblicato dall’Istituto Geografico De Agostini di Novara nel 1961.

Non è un diario di viaggio, si tratta di appunti per accompagnare un viaggio altrui. Un cugino, tale Romain Colomb, ha deciso di visitare l’Italia, parte da Parigi nel marzo 1828 e si rivolge a Stendhal (Grenoble, 23 gennaio 1783 – Parigi, 23 marzo 1842), che in Italia è già stato più volte e ne ha ricavato un libro (in cui narra di Roma, Napoli e Firenze), per averne qualche informazione pratica. Stendhal, il cui vero nome è Maria-Henry Beyle, detta i suoi suggerimenti, il cugino li annota su un quaderno e li porta con sé. Il libretto pubblicato da De Agostini è la traduzione delle note che Stendhal detta al suo parente, quasi una scheda tecnico o logistica per il suo imminente viaggio in Italia.

Stendhal ha amato il nostro Paese, Milano più di altre città, probabilmente per gli amori intessuti in quella città, al punto che sulla sua tomba è scritto «Henri Beyle, milanese».

Il Piemonte e Torino sono sempre stati un luogo di transito, per lui, dopo aver varcato le Alpi.

Scopriamo che, fin da militare, è in Piemonte solo per ottenere un avanzamento, prima di lasciare l’esercito. Nel 1800, infatti, egli è sottotenente in un reparto di cavalleria. Dopo l'armistizio del 16 gennaio 1801, il 1º febbraio lascia il reggimento per assumere la veste di aiutante di campo: un incarico leggero, almeno in tempo di pace, che gli permette di leggere, scrivere, studiare: in quella primavera inizia a tenere un diario, il suo Journal, dal quale sappiamo che soggiorna a Bergamo, in estate a Brescia, studia l'italiano e il clarinetto, progetta commedie e va a teatro. Questa vita non gli basta: vuole diventare aiutante di un generale, per questo bisogna aver combattuto due campagne militari e così Stendhal raggiunge il VI Dragoni in Piemonte e lo segue nei suoi spostamenti a Bra, Saluzzo, Savigliano, nelle manovre e delle corvées. Nel mese di, dicembre chiede un congedo e torna a Grenoble.

Nel 1816, a causa dei tanti debiti, lasciò il suo Paese, deciso a «diventare» italiano.

Tornato a Milano, conosce il giovane avvocato piemontese Carlo Guasco, che lo presenta, nel mese di luglio a Ludovico di Breme, che a sua volta lo introduce nel circolo degli intellettuali romantici e  liberali che si raccolgono intorno a lui; il Pellico, il Berchet, Pietro Borsieri, oltre a lord Henry Brougham (1778-1868), che gli fece conoscere la Edinburg Review, una delle riviste britanniche la cui modernità e indipendenza di giudizio erano sconosciute nel resto dell'Europa, attraverso la quale conobbe alcune delle opere di Byron. Conobbe in ottobre lo stesso celebre poeta, un dandy circondato da un'aura di scandalo, espressione vivente, per Stendhal, del Romanticismo: fu un incontro piacevole, durante il quale Byron si mostrò molto interessato alle avventure «napoleoniche» di Stendhal.

Torniamo al nostro diario di viaggio.

L’itinerario da lui consigliato, varcate le Alpi, prevede: Susa, Torino, Genova, Livorno, Firenze, Roma, Velletri, Terracina, Capua, Napoli, Ischia, Terni, Cascata delle Marmore, Ancona, Bologna, Ferrara, Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Peschiera, Salò, Brescia, Bergamo, Milano (con una diversione al Lago di Como), Pavia, Saronno, Varese, Domodossola.

Come viaggiare, dove alloggiare e mangiare in ogni località, quanto spendere e cosa vedere, Spesso dettagliati, i consigli di Stendhal sono a volte illuminanti.  Su tutti, un esempio adatto a qualunque viaggio e a tutti i viaggiatori, anche oggi, in quanto bisogna vedere nell’andata molte cose «che non si guarderebbero più al ritorno».

A quasi due secoli di distanza, quando viaggiare è assai semplice e gli spostamenti intercontinentali non rappresentano più un problema, ci colpisce la difficoltà negli spostamenti. Da Genova a Livorno ci vogliono tre giorni e mezzo. Per andare da Firenze a Roma (via Perugia), ci vogliono cinque o sei giorni. Fra Roma e Napoli, Stendhal suggerisce di effettuare tre tappe: Velletri, Terracina e Capua. Da Ferrara a Venezia, con la diligenza veloce, servono venti ore La città cui vengono dedicate più pagine è Roma, seguita da Firenze.

Del nostro Piemonte, egli cita Susa e Torino, all’inizio dell’opera.

Susa, a pagina 9: «La diligenza mi lascia giù a Susa, vi devono essere delle antichità da osservare, preziose quando si va a Roma, e che non si guarderebbero più al ritorno.»

In questo contesto “susino” aggiunge il citato consiglio: «Ecco una delle principali norme di viaggio in Italia: bisogna vedere nell’andata un mucchio di cose, che farebbero alzare le spalle al ritorno.»

Torino è descritta in nove righe, sempre a pagina 9.

«Torino. Prendere alloggio da Dufour, in piazza Castello (la camera 30 o 47), pranzare secondo la lista. Soprattutto vale la pena di passeggiare lungo la via Po fino al ponte costruito da Napoleone su questo fiume (1). Se le gambe sono buone, si può andare fino a Superga, il Saint-Denis di casa Savoia: la chiesa non è gran che, ma la vista è superba. A Torino sono d’obbligo da 5 a 6 chiese, specialmente quella che ha una insolita cupola (2); se il Re è assente, si vedono i quadri pagando 1,50. (3)»

Nel percorso di ritorno, Stendhal consiglia una sosta sul Lago Maggiore (pagg. 2t6 e 27).

«Da Varese farsi portare a Laveno; lungo questo percorso si vedono 5 laghi. Qual è il panorama più bello? Questo o il golfo di Napoli o la riviera genovese? A Laveno si prende una barca per le isole Borromee: deve costare 3 franchi, si scende alla locanda del Delfino. Su un alloro, che ha tre piedi di circonferenza, sebbene cresca su due piedi di terra, Napoleone ha scritto la parola «bataille». Qua bisogna spararsi.

Se si vuole vedere il lago, verso le dieci ci si fa condurre gratis al battello che ha nome Verbano. Si va a dormire a Magadino, vicino a Bellinzona, ma preferirei dormire in un villaggio ad una lega di qua, perché in estate a Magadino c’è la malaria. Il giorno dopo il battello vi porta, per l’ora del riposo, ad Arona. Vedere il Colosso (4). Il giorno dopo il battello vi riporta alle isole Borromee. Chi ha lasciato il bagaglio al Delfino, va a riprenderselo con una barca.

Quando il bagaglio è riportato a terra si dànno 50 centesimi ai doganieri, perché il lago è zona neutrale. Ritornando da Arona a Baveno, far colazione a Belgirate. Da lì si scorge in lontananza, verso est, la Madonna del Monte.

Non bisogna nascondersi, lasciando Baveno per Domodossola, che il viaggio in Italia è terminato: si va verso il brutto. Si pagano 5 o 6 franchi per essere condotti a Domo, meno se si trova un vetturino di ritorno. Tre volte la settimana c’è la diligenza tra Baveno e Domo. A Domo si paga da 48 a 50 franchi un posto per Losanna.»

Non consiglierei questa guida, che ho comperato a un mercatino di libri usati e ho letto in un’ora, ai turisti che oggi frequentano Torino, provenienti da ogni parte del mondo per ammirare la ex capitale sabauda e italiana. Preferisco pensare che Stendhal non abbia compreso lo spirito torinese, prima che il valore delle sue opere ed architetture, preso da una girandola di vita mondana e salottiera che la nostra città non ha mai conosciuto.

Note

1) Il ponte Vittorio Emanuele I è il più antico fra i ponti torinesi; un tempo era il punto di ingresso in città dalla Strada di Genova. Progettato fra il 1802 e il 1808, viene costruito fra il 1810 e il 1813.

2) Possiamo immaginare si tratti della Real Chiesa di San Lorenzo, in piazza Catello.

3) Apprendiamo da Stendhal il sistema di visita alla Galleria Sabauda, la collezione d’arte voluta da casa Savoia.

4) La statua di San Carlo Borromeo (a San Carlone).

 

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Articolo pubblicato il 16/02/2024